Angeli e Demoni

Cap. I

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  1. Farangis
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    L'incidente

    Non era una buona giornata per volare. Il cielo grigio e cupo prometteva tempesta, mentre il tuono già rotolava rombando in lontananza tra le nubi minacciose.
    All’aeroporto gli avevano vivamente sconsigliato di decollare, ma Tôma non aveva ascoltato ragioni. Aveva bisogno di volare.
    La manica a vento bianca e rossa se ne stava tesa e gonfia nell’aria, quando il piccolo aereo da turismo si era staccato dal suolo ed aveva preso quota.
    Incurante degli scossoni inferti dal vento al suo apparecchio e delle urla gracchianti che scaturivano dalla radio a intimargli di tornare indietro, Tôma prese a volare attraverso il temporale. Sentiva impellente il bisogno di restare in aria. Su, nel cielo. Il cielo...
    Tenku no Tôma, Tôma del Cielo. Da quanto tempo nessuno lo chiamava più così?
    Un fulmine saettò tra le nubi, proprio davanti a lui, seguito dallo scricchiolio secco del tuono. Tôma rabbrividì al ricordo di altre nubi, nere e possenti, gravanti sulla città, e di altri fulmini. Lingue di fuoco nero.
    Da quante notti quell’incubo lo tormentava?
    A volte Tôma si svegliava nell’oscurità, coperto di sudore freddo, con il cuore che batteva all’impazzata nel petto.
    Quanto tempo era passato? Mesi, anni... eppure ogni volta che Tôma si trovava a passare dal centro di Shinjuku provava sempre la stessa sensazione di gelida paura. Se alzava gli occhi, credeva quasi di poterlo ancora vedere, lassù, tra le nubi, imponente e terrificante: il palazzo di Arago.
    È finita, si diceva allora, mentre allungava il passo per allontanarsi dal grattacielo sulla cui sommità si era svolta l’ultima battaglia contro il demone venuto dal passato. È finita! si ripeté nel riprendere il controllo dell’aereo scosso da una violenta raffica di vento. Abbiamo vinto, è finita per sempre. Ristabilì l’assetto e scese di quota.
    « Sarà meglio che atterri » ammise infine ad alta voce, rivolto a se stesso, al secondo fulmine che gli saettò vicino.
    Era sempre così quando l’incubo tornava a tormentarlo. Quel senso di disagio, che gli lasciava al risveglio, lo spingeva a prendere l’aereo e volare via.
    « Dove scappi, Tôma? » ridacchiò tra sé, mentre, tornato indietro, cominciava a scendere di quota.
    Decollare con quel temporale era stata una follia, dovette riconoscere. Rischiare di danneggiare il suo prezioso Piper PA-40 blu solo per un incubo. « Sono un idiota » si rimproverò mentre accarezzava i comandi.
    Ancora poche rate e il piccolo aereo sarebbe stato davvero suo. Era un vecchio aereo da turismo del ‘73, un pezzo da museo, come lo chiamava Shû, ma lui lo adorava. Era riuscito a comprarlo grazie al suo lavoro di istruttore di volo. Un lavoro che gli piaceva e gli permetteva di guadagnare discretamente; in più poteva arrotondare portando in giro i turisti nei giorni di festa e nella bella stagione.
    Purché non gli chiedessero di sorvolare Shinjuku.
    I fari a terra segnavano il nastro della pista. La giornata era già buia, nonostante fosse appena pomeriggio. Tôma regolò i comandi e si preparò ad atterrare. Le ruote stridettero nel toccare terra. Il giovane pilota aveva compiuto quella manovra centinaia di volte, ma qualcosa non andò come sempre.
    Dalla torre di controllo videro l’aereo perdere il controllo. Il piper blu scivolò di muso per un lungo tratto in una pioggia di scintille, poi si inclinò di lato spezzando un’ala e uscì dalla pista in una nuvola di fumo nero.


    Il telefono prese a squillare nel minuscolo appartamento e, quasi subito, si attivò la segreteria telefonica: risponde la segreteria telefonica di Sanada Ryo, lasciate un vostro messaggio dopo il segnale acustico. Il trillo acuto durò pochi secondi.
    « Ryo, vuoi piantarla di nasconderti dietro questo dannato aggeggio?! Vieni subito all’ospedale dell’aeroporto, Tôma ha avuto un incidente! »
    Ryo balzò dal letto ed afferrò la cornetta del telefono. « Shû! »
    « Ah, ci sei! Lo sapevo. »
    « Cosa è successo? »
    « Te l’ho detto » la voce di Shû vibrava di irritazione. « Vieni subito qui, Tôma ha avuto un incidente con il suo maledetto aereo! »
    « Arrivo. »
    Bayuken, accoccolata ai piedi del letto, mugolò incuriosita dall’improvvisa agitazione di Ryo.
    « Tu aspettami qui » ordinò il giovane.
    La tigre bianca appoggiò la testa sulle zampe e lo guardò uscire in fretta.
    Arrivato in strada, Ryo fu investito dalla pioggia torrenziale. Infradiciato fino al midollo, si diresse di corsa alla stazione della metropolitana e salì sul primo treno che portava verso l’aeroporto turistico della città.


    Appena ricevuta la telefonata di Shû, Date Seiji chiamò un taxi e scese ad aspettarlo. Le mani nelle tasche erano strette a pugno, ma il volto del giovane appariva del tutto impassibile.
    Il taxi non arrivava.
    Seiji estrasse la sinistra dalla tasca, scosse il polso e osservò l’orologio. Sempre impassibile, rimise la mano in tasca e mosse un passo verso il marciapiede, badando a restare al riparo del cornicione dalla pioggia scrosciante.
    Strinse le labbra a contenere l’impazienza che sentiva crescere dentro. Molte auto passavano davanti a lui, alzando schizzi d’acqua dal fondo stradale.
    Finalmente il taxi arrivò. Una grossa auto bianca e nera, con i fari accesi nella pioggia, si accostò al marciapiede nello sfavillio intermittente del segnalatore di direzione.
    Rapido, Seiji Date percorse il tratto che lo separava dal suo riparo alla macchina appena sopraggiunta e si gettò sul sedile posteriore attraverso lo sportello aperto.
    « All’ospedale dell’aeroporto da turismo, presto! » ordinò.
    L’auto si mise in moto e si immetté nel traffico cittadino.
    Date chiuse gli occhi e si abbandonò sul sedile.
    « Qualche guaio, Seiji? »
    Quella voce lo fece sobbalzare tanto che quasi sbatté la testa contro il soffitto dell'abitacolo.
    L’autista si voltò leggermente verso di lui e sollevò la visiera del berretto scuro, calcato sulla fronte. « Non ci si vede da un po’, ragazzino. »
    Seiji s’irrigidì appiettendosi contro lo schienale del sedile. « Anubisu... »
    Il demone di Arago gli rivolse un sorriso sornione. Il suo viso sfregiato appariva abbronzato, come Anubisu fosse appena tornato da una vacanza al mare.
    « Tu, cosa?... cosa diavolo ci fai qui? »
    « Guido un taxi, non lo vedi? » rispose il demone, con tutta la tranquillità del mondo.
    D’un tratto a Seiji non sembrò strano che il Demone dell'Oscurità scorrazzasse per la città alla guida di un taxi. Si chiese anzi, come avesse fatto a dimenticare che lo faceva ormai da tempo. Ma sì, era proprio così. Si vede che, da quanto li detestava, Seiji aveva rimosso dalla mente il fatto che Anubisu e gli altri suoi colleghi fossero ricomparsi un giorno, non rammentava quando, come liberi cittadini di Tokyo.
    Eppure non avrebbero dovuto tornare. Qualcosa non andava, ma Seiji non riusciva a capire bene cosa fosse. Come a schiarire le idee dal vago senso di confusione, che tutto d’un tratto sembrava offuscargli la mente, passò una mano a scostare a falda di capelli biondi che la pioggia gli aveva appiccicato al viso.
    « Allora? Vuoi dirmi cosa è successo? » insisté Anubisu, tornato a guardare la strada.
    Seiji represse l’istinto di rispondergli di farsi i fatti suoi e di fermarsi subito per farlo scendere dalla macchina. Non aveva tempo da perdere.
    « Tôma ha avuto un incidente. Devo raggiungerlo all’ospedale dell’aeroporto al più presto » disse. Si rese conto di aver parlato troppo in fretta e si irritò con se stesso per aver tradito la propria agitazione. Sperò che Anubisu l’attribuisse alla preoccupazione per l’amico.
    Senza preavviso alcuno, Anubisu spinse l’auto nella corsia di lato, con una manovra così brusca che Seiji scivolò rovinosamente sul sedile e dovette aggrapparsi per non cadere.
    Mentre il taxi si lanciava in una folle corsa per la città, accompagnato dalle proteste di un coro di clacson, Seiji sentì rizzarsi i capelli sulla testa, ma non disse una parola. Ricordò che a Tokyo i tassisti venivano soprannominati “kamikaze”, mai fino ad allora aveva però trovato tanto azzeccato quell’appellativo.

    Cap.II
    Un viso da luna piena

    Quando Tôma riprese i sensi, la prima cosa che vide fu un viso da luna piena, incorniciato da una cuffietta bianca, intento ad osservarlo.
    Lentamente il giovane prese coscienza della gamba immobilizzata e di avere le braccia stese lungo il corpo, sulle coperte del letto su cui si trovava sdraiato. Strinse le dita e cercò di muoversi.
    Il viso da luna piena parve allarmarsi. « No, no stia fermo! » esclamò l’infermiera cui apparteneva il volto liscio e rotondo.
    Tôma ebbe una smorfia di dolore e sentì qualcosa tiragli la pelle su di una guancia. Sollevò una mano e scoprì di avere quasi mezza faccia bendata.
    « Ha avuto un gran brutto incidente, sa? » Il viso dell'infermiera sparì dal campo visivo di Tôma.
    Infastidito dalla luce a neon del soffitto asettico, il giovane girò la testa e si trovò a guardare una ragazza con indosso la divisa bianca dell'ospedale e cuffietta in testa. Piuttosto piccola e di corporatura tarchiata aveva un aspetto gentile e rassicurante, mentre armeggiava con un carrello metallico, pieno di boccette, arnesi vari e medicinali.
    « Ci sono i suoi amici qui fuori e tutti impazienti di vederla. Vado a chiamarli » disse l'infermiera, sorridendo compassionevole. Senza attendere risposta si mosse di lato e scomparve di nuovo dalla vista di Tôma. Il rumore della porta che si apriva suggerì al giovane che dovesse essere uscita.
    Tôma cercò di nuovo di sollevarsi, ma il dolore rovente che gli percosse il corpo lo fece desistere. Chiuse gli occhi un istante, poi li riaprì.
    « Cosa diavolo è successo? » borbottò con la gola secca.
    Quasi sobbalzò all’irrompere di Shû nella stanza. L’amico gli fu subito accanto, blaterando qualcosa a proposito di imprudenza; irresponsabilità; ossa del collo rotte e altre cose del genere, accompagnando ogni parola con ampi gesti.
    « Piantala, Shû. Mi fa male la testa » si lamentò Tôma, accorgendosi appena dell’ingresso di Ryo, seguito da Nasti, entrambi con i volti tesi e preoccupati. Per ultimo entrò Seiji, la faccia atteggiata a un'espressione di fastidio.
    « Potevi rompertela quella testa! » replicò Shû, incrociando le braccia sul petto con aria offesa.
    « Come è successo? » domandò Nasti, mentre sedeva a lato del letto. Ryo e Seiji si posero alle sue spalle.
    « Non lo so... una mia distrazione, temo » Tôma guardò verso la porta, aspettandosi di veder arrivare anche Shin, ma, al posto dell’amico, scoprì Anubisu che lo osservava, appoggiato indolentemente con una spalla contro lo stipite e le mani ficcate nelle tasche di un paio di jeans all'ultima moda.
    Tôma sgranò gli occhi e spalancò la bocca senza trovare voce per parlare. Anubisu rispose con un ghigno ironico alla sua espressione stupefatta.
    « Ma... ma... e lui cosa ci fa qui?! » riuscì infine a sillabare Tôma.
    « Ha accompagnato me. In taxi » rispose Seiji, con tono seccato. « Adesso però potrebbe pure andarsene, dato che non intendo salire sulla sua macchina una seconda volta. Guida come un indemoniato. »
    « Grazie » sogghignò Anubisu con un lampo di luce divertita negli occhi.
    « E cosa ti aspettavi? » rincarò Shû, rivolgendo al demone uno sguardo in tralice. « Vorrei sapere come ha fatto ad ottenere la patente! »
    « Chi ti dice che ce l’abbia, la patente? » replicò Ryo e non vi era nota di scherzo nella sua voce.
    Nasti sorrise, ma aveva una espressione strana, come confusa nel rincorrere un pensiero che le stesse sfuggendo.
    Tôma passò lo sguardo da Anubisu agli amici e viceversa per un paio di volte, senza riuscire a capire di cosa stessero parlando e perché fossero così tranquilli, mentre il Demone dell'Oscurità era lì, con loro, quando non avrebbe dovuto esserci e, soprattutto, non avrebbe dovuto di certo guidare un taxi.
    Poi d’un tratto, un altro pensiero gli balzò alla mente con prepotenza e dimenticò ogni altra cosa, compreso Anubisu.
    « Il mio aereo! » esclamò Tôma affondando una mano nei folti capelli scuri. « Maledizione » gemette, mentre un dolore sordo si insinuava nella sua coscienza. Si coprì gli occhi e contorse la bocca in una smorfia. Sentì le dita di Nasti stringergli il polso, mentre Shû sbuffava e borbottava qualcosa.
    « Non prendertela così, lo rimetterai a posto » cercò di incoraggiarlo Ryo.
    Tôma tolse la mano dal viso e lo guardò poco convinto. Non ricordava granché di quanto accaduto, ma era certo che il suo aereo era pressoché andato distrutto nel disastroso incidente. « Dov'è Shin? » domandò, cercando di pensare ad altro per non cedere al desiderio di piangere.
    « Già, dov'è Shin? » si intromise Anubisu.
    Tutti si girarono verso di lui a guardarlo in cagnesco. Solo Nasti mantenne un'espressione neutra.
    « Ho provato a chiamarlo, ma non risponde » affermò la ragazza.
    « Quando lo avete visto l'ultima volta? » chiese Anubisu raddrizzandosi sulla porta.
    Seiji lo fulminò con gli occhi. « Non credo la cosa ti riguardi » rispose brusco.
    Anubisu sollevò le mani in segno di pace, ma il suo viso dai lineamenti duri aveva un'espressione sardonica tutt'altro che rappacificante.
    Tôma riuscì a sollevarsi leggermente sul cuscino. « Perché lo chiedi? » domandò.
    Qualcosa nella voce del demone lo aveva messo in allarme. Non si rese nemmeno conto di aver dimenticato il suo stupore di poco prima nel vederlo. Adesso, era certo, ricordava del ritorno di Anubisu e degli altri, anche se non rammentava quando ciò fosse accaduto, e del loro essersi adattati a vivere in città, come niente fosse.
    Nasti si agitò sulla sedia e si girò a guardare Anubisu con aria preoccupata. Ryo aggrottò la fronte.
    « Devi dirci qualcosa, per caso? » domadò Shû, bellicoso.
    « No, ma credo dovreste dire qualcosa voi a me » replicò Anubisu, piuttosto seccamente, « qualcosa che non sia un insulto, intendo » precisò dopo un attimo, davanti all'espressione feroce di Shû e l'occhiata funesta di Seiji.
    Prima che qualcuno potesse rispondergli, l'infermiera ricomparve sulla porta.
    Tôma la vide spuntare alle spalle di Anubisu e gli parve minuscola, in confronto alla figura alta e muscolosa del demone. La giovane donna esitò ad avvicinarsi, finché Anubisu si accorse di lei e si fece di lato per lasciarla passare.
    La ragazza strisciò contro lo stipite, nel tentativo di varcare la soglia senza toccarlo, ma non poté evitare di sfiorargli un gomito. « Scusi » sussurrò, evidentemente a disagio, mentre infilava nella stanza a passi rapidi e nervosi. Il suo viso tondo da bianco si era fatto purpureo.
    Anubisu la guardò con indifferenza.
    La ragazza si schiarì la gola. « Adesso devo pregarvi di uscire, il paziente ha bisogno di riposo » disse in tono malfermo.
    Nasti si alzò obbediente e rivolse a Tôma un sorriso carico di affetto. « Torneremo a trovarti domani » promise.
    Ryo le pose una mano sulla spalla e annuì a confermare le sue parole.
    « Ti porteremo anche Shin » disse Shû mentre si avviava per uscire assieme a Nasti e Ryo.
    Seiji mosse un cenno che voleva essere un arrivederci e seguì gli altri.
    Anubisu arretrò lasciando libero il passo ai quattro ragazzi, poi rivolse un saluto a Tôma e chiuse la porta.
    Tôma si rilassò sul cuscino. Sentì un vocio confuso provenire da fuori la camera e capì che nessuno dei suoi amici era disposto a farsi accompagnare a casa da Anubisu.
    Deve guidare davvero come un cane, si disse con un sospiro. Una voce lontana, stranamente familiare, da qualche parte dentro la sua testa, osservò che il Demone dell'Oscurità non avrebbe dovuto guidare per niente, ma il movimento dell'infermiera venuta a chinarsi su di lui lo distrasse prima che riuscisse a realizzare chi stesse parlando.
    « Ha bisogno di qualcosa? » domandò la ragazza.
    Tôma guardò il suo viso tondo, da luna piena. « Sì, di riavere il mio aereo come nuovo » rispose cercando di scherzare, mentre lottava contro l'amarezza che lo invadeva. « Posso però accontentarmi di un po' d'acqua, per ora. »
    L'infermiera rise, la bocca nascosta dietro una mano. « Temo dovrà accontentarsi di inumidirsi leggermente le labbra, almeno per questa sera. » Prese un fazzoletto di cotone bagnato e lo passò sulle labbra aride del giovane ferito. « Un po' di pazienza. »
    Tôma sospirò e si abbandonò nel letto. L'infermiera stava adesso trafficando con il tubicino della flebo attaccato al suo braccio. Un liquido trasparente scorreva lungo il piccolo condotto e gli penetrava nel sangue, attraverso l'ago infisso nella vena. Tôma sentiva l'oggetto metallico nella pelle e gli dava fastido, ma non si lamentò.
    Quasi non si accorse di sprofondare nel sonno.


    Cap. III
    L'incubo

    La pioggia cadeva ininterrottamente da ore, mentre un violento temporale incendiava il cielo notturno sopra la città, illuminata dalle sue innumerevoli luci che brillavano, come liquefatte in riflessi iridescenti, nel diluvio incessante.
    Steso sul letto, nel buio della sua camera, Ryo non riusciva a dormire.
    Rientrato dall'ospedale, bagnato fradicio per aver rifiutato un passaggio da Anubisu, il giovane si era infilato sotto una doccia rovente e cercato di lavare via, assieme al freddo, il senso di angoscia che l'opprimeva.
    Si era quasi ustionato la pelle, ma non era servito. Una sensazione strana, simile a un miscuglio di allarme e angoscia, continuava a pizzicargli la nuca. Adesso, come non bastasse, si era aggiunta l'ansia per Tôma e lo strano incidente che gli era occorso.
    Non era da lui commettere errori ai comandi di un aereo. Qualcosa doveva averlo distratto, o, peggio ancora, aveva addirittura causato l'incidente stesso.
    Ryo socchiuse le palpebre al bagliore abbacinante di un fulmine che lacerò l'oscurità. Lo schianto secco del tuono gli percosse i nervi come una scarica elettrica.
    Il giovane scattò seduto sul letto e affondò una mano nei folti capelli neri. Era certo che se pure fosse riuscito ad addormentarsi, sarebbe caduto in uno dei suoi incubi. Quella sembrava proprio la notte adatta.
    Rinunciò a dormire e si alzò. Con indosso solo i pantaloni del pigiama, raggiunse la cucina e mise a scaldare del latte sul fornello elettrico, sotto lo sguardo attento di Bayuken che lo aveva seguito silenziosa.
    Dopo aver riempito la ciotola della tigre con il liquido fumante, ne versò un bicchiere per sé e si allungò sul divano del minuscolo appartamento. Mentre la tigre bianca gustava avida lo spuntino inatteso, Ryo accese distrattamente la televisione e la sintonizzò su di una edizione notturna del telegiornale.
    Sbadigliò assonnato, mentre le immagini scorrevano e le voci dei giornalisti si avvicendavano con i servizi delle ultime ore: questioni politiche; problemi economici; allarme ecologico; notizie dall'estero.
    Ryo ascoltava senza interesse. Carezzò distrattamente la testa di Bayuken, venuta ad accoccolarsi vicino a lui dopo aver vuotato la ciotola dall’ultima goccia di latte. La tigre rispose alle sue carezze con un ronfare soddisfatto.
    Forse fu il suono delle fusa di Bayuken che riuscì infine a quietare un po' l'animo del giovane samurai. Davanti alle immagini sul teleschermo, che gli ricordavano la realtà della vita quotidiana, e con la presenza rassicurante della grande tigre bianca al suo fianco, Ryo sentì infine la tensione allentarsi.
    « Sono un vero idiota, Bayuken » mormorò d'un tratto. « In fondo è solo un maledetto sogno. »
    La tigre emise un suono gorgogliante e si appallottolò sul tappeto.
    Ryo sbadigliò di nuovo. Passò una mano sugli occhi pesanti di sonno e guardò verso la porta della camera, come a valutare la distanza che lo separava dal letto. Troppo lontano, decise.
    Afferrò la coperta che giaceva gettata disordinatamente in fondo ai suoi piedi scalzi e la tirò su, a coprirgli le spalle nude. Mosse la mano sul telecomando e spense la televisione, poi si voltò su di un fianco e finalmente si addormentò.
    Come aveva temuto, si svegliò qualche ora più tardi, urlando.


    All'alba l'azzurro del cielo apparve a tratti, fra cumuli di pesanti nuvole nere, retaggio del temporale precedente e foriere di nuova tempesta.
    Il suolo del grande parco di Tokyo era coperto da una foschia azzurrognola, che conferiva all'ambiente un'atmosfera irreale. Gli unici suoni erano dati dallo scorrere dell'acqua nel ruscello e dal cigolio sommesso delle altalene nella brezza. A quell'ora del mattino, nel cuore del parco, non giungeva il rumore della città.
    Incapace di chiudere nuovamente occhio, Ryo era uscito di casa prima del sorgere del sole e aveva preso a camminare, senza meta, con Bayuken al suo fianco, muta e perplessa per quella passeggiata nell'aria fredda e umida di inizio autunno.
    Senza badare a dove stesse andando, Ryo aveva diretto i suoi passi verso il grande parco, forse guidato da una istintiva necessità di solitudine e di quiete. Perso nei suoi pensieri, carichi di angoscia di dubbio, il giovane si era infine immerso nella pace frusciante della enorme area verde nel cuore della metropoli.
    Gli occhi blu, fissi al suolo, guardavano senza vederle le volute azzurrognole che la nebbia sottile formava al passaggio dei suoi piedi sull'erba bagnata. Completamente assorto nei suoi pensieri, Ryo si diresse verso il ruscello, inconsciamente attirato dal rumoreggiate sommesso dell'acqua.
    Sentiva ancora la profonda inquietudine attanagliargli il cuore e non riusciva a dimenticare l'incubo che non cessava di tormentarlo.
    Sapeva di non essere il solo a soffrire d questi sogni angoscianti. Tôma gli aveva confidato di svegliarsi a volte in preda ad un vero e proprio terrore, come pure Shin. Shû non aveva fatto mistero dello stesso problema, mentre Seiji aveva sarcasticamente osservato che avevano più paura di Arago ora che era scomparso, di quando avevano dovuto affrontarlo realmente.
    Ryo aveva sorriso a quell'affermazione, allora non avevano tempo per la paura. In alcuni momenti erano stati davvero terrorizzati, ma la vera paura fatta di sorda angoscia, capace di insinuarsi nel più profondo dell'anima, non l'avevano mai provata.
    Durante la battahglia contro Arago ed il suo esercito, c'era sempre un modo concreto di ragire, anche nel terrore, poiché la sua fonte, per quanto orribile, poteva essere affrontata e sconfitta.
    Ma adesso?
    La presenza che veniva a turbare il loro sonno non era un nemico tangibile, che si potesse combattere con armature e spade. Essa era simile ad un'ombra minacciosa, presente in qualche angolo della loro coscienza. Stava lì acquattata quasi a voler ricordare di esistere ancora, in attesa soltanto del momento propizio per il ritorno.
    Se tornerà lo batteremo ancora! aveva sentenziato Shu, quasi un anno dopo la sconfitta del demone e l'affacciarsi del primo incubo. Tutti e quattro avevano calorosamente approvato l'affermazione del loro compagno. Si sentivano davvero invincibili, tanto più che adesso Arago aveva perduto i suoi quattro demoni e Kayura. Avevano persino riso, allora, a questa idea, tanto erano sicuri di loro stessi. Ma poi gli incubi avevano preso a tormentarli, a volte per più notti di seguito, più spesso dopo lunghi intervalli. Non parlavano più fra di loro di questi sogni. NOn ce ne era bisogno, bastava un'occhiata per capire.
    Il ruscello si trovava ormai molto vicino, Ryo poteva sentirlo chiaramente. Alzò la testa, emergendo a quel rumore dai suoi pensieri e rimase sorpreso nello scorgere qualcuno fermo sulla riva.
    Bayuken mosse le orecchie ed emise un sordo borbottio, Ryo le accarezzò la testa mentre guardava perplesso la figura immobile vicino al ruscello.
    Nel giro di pochi istanti la sua perplessità si fece stupore, poi sconcerto.
    Non può essere mormorò incredulo. Avrebbe riconosciuto quella figura tra mille, anche fra cent'anni. Un senso di timore si mosse dentro di lui, mentre ricordi di antiche battaglie crudeli gli invadevano la mente.
    D'un tratto Bayuken si staccò dal suo fianco con un ruggito e in tre salti raggiunse la persona sul ruscello che si era voltata verso di loro ed ora, mentre si chinava a carezzare la testa ronfante della grande tigre bianca, lo guardava con uno sguardo verde che Ryo non avrebbe mai potuto confondere con quello di nessun altro.
    Con uno sforzo di volontà, il giovane samurai si trattenne dall'arretrare.


    Cap. IV

    Il demone.


    « Non può essere » ripeté Ryo, « Shuten... tu sei... » balbettò senza riuscire a completare la frase, mentre fissava confuso la figura del demone di Arago con i lunghi capelli lisci e ramati sciolti sulle spalle ampie.
    Shuten piegò il ginocchio a terra, accanto a Bayuken e prese a gratterle dietro le orecchie. La tigre si strofinò contro di lui, ronfando come un gatto.
    « Già in piedi a quest'ora, Ryo? »
    Alla domanda tranquilla di Shuten, Ryo si sentì improvvisamente uno sciocco. Preso dai suoi pensieri e colto di sorpresa nel trovare l'ex generale di Arago lì nel parco all'alba, per un istante aveva dimenticato di averlo già visto, in giro per Tokyo con Anubisu e gli altri.
    Doveva essere ancora più scosso di quanto pensasse, per non ricordare. Quelli che erano stati i demoni di Arago, i suoi nemici e avversari più temibili, erano tornati da un pezzo, e, chissà come, viveno tranquillamente in città, dove scorrazzavano di quando in quando, in abiti civili, moderni e di gran moda.
    Il più elegante era sempre Rajura, si ritrovò a pensare, senza sapere perché, come se quell'idea gli fosse stata suggerita da qualcuno.
    « Scusa, non mi aspettavo di trovarti qui » disse, confuso avanzando ancora titubante. Passò una mano tra i capelli, che aveva trascurato di pettinare, e si rese conto di star fissando Shuten quasi fosse un fantasma. A quell'idea qualcosa, come un dubbio, si mosse nella sua testa, ma subito scivolò via, così rapidamente che il giovane non riuscì ad afferrarlo.
    « Non hai di cosa scusarti » rispose Shuten. Passò una carezza sotto la gola di Bayuken che gli leccò il viso, e si rialzò.
    Ryo gli rivolse un sorriso stentoreo. Trovarselo davanti, pensò, gli faceva sempre un certo effetto. D'un tratto si rese conto di essere cresciuto di parecchi centimetri dalla prima volta in cui si erano incontrati, da nemici. Allora il demone di Arago gli era parso un gigante, imponente e terribile nella sua armatura scura. A quell'epoca, per guardarlo in viso Ryo doveva alzare la testa, ma ora era alto quasi quanto lui.
    « Anubisu mi ha detto di Tôma, mi dispiace » disse Shuten, mentre con le dita ancora sfiorava la pelliccia folta di Bayuken. La tigre sembrava voler diventare tutt'uno con il lungo soprabito scuro del demone tanto gli stava appiccicata contro, manifestando una contettezza quale Ryo raramente le aveva visto.
    Di nuovo il giovane samurai si sentì un idiota. Shuten non era più suo nemico, anzi, tutt'altro. Era stato l'antico condottiero a proteggere Nasti e Jun, quando i due ragazzi erano rimasti soli, ed era stato anche grazie al suo intervento disperato se erano riusciti a sconfiggere Arago; infine, era stato lui a pagare il prezzo più alto di quella vittoria.
    Per un attimo, ancora una volta, Ryo ebbe la sensazione che qualcosa gli sfuggiva, ma subito la sua mente tornò a Tôma ed a ciò che gli era successo.
    « Si è trattato di un malagurato incidente » rispose cupo. Nel tentativo di scaldarle, infilò le mani nelle tasche della giacca sportiva che aveve indosso. Un vento freddo si era levato all'improvviso e trascinava ovunque le foglie morte degli alberi, ormai quasi spogli. « È stato fortunato, non si è fatto niente di grave, però ha distrutto l'aereo. Ci teneva moltissimo, e poi, sai... è strano, non riesco a credere che abbia sbagliato: non è da Tôma essere distratto o commettere errori del genere! »
    Ryo si mosse nervosamente. Sentiva la testa pesante e gli occhi gli bruciavano per la mancanza di sonno. « È tutta colpa di quel dannato incubo che ci perseguita! » sbottò colpendo col piede una piccola pietra, che volò nell'acqua del ruscello in un tonfo leggero.
    L'espressione sul viso di Shuten si fece attenta, ma Ryo non lo notò. L'irritazione andava crescendo dentro di lui. Era stanco di svegliarsi gridando e di avere paura ad addormentarsi. Quell'incubo era divenuto una vera ossessione. e questa volta lo aveva scosso con ancora più violenza del solito. La presenza misteriosa e oscura che lo tormentava in sogno aveva persino riso.
    Ryo aveva sentito la risata sommessa e raschiante crescere lentamente di tono e farsi sempre più forte. Era balzato su dal letto con ancora quel suono nelle orecchie; poteva sentirlo anche adesso. Tremando, si passò una mano gelata sugli occhi. « Non tornerà, vero? »
    Shuten non parve sorpreso dalla sua domanda. « Non lo so » rispose con voce improvvisamente tesa.
    Ryo alzò la testa di scatto e lo guardò ad occhi dilatati. Adesso la risata gli rimbombava feroce nel cranio. Si portò le mani alla testa e strinse i pugni contro le tempie. Udì la sua stessa voce gemere in un lamento e gli parve di trovarsi sul punto di perdere i sensi, quando si sentì afferrare per le spalle e scuotere con forza.
    « Cosa ti succede, Ryo? »
    Il giovane udì la voce di Shuten giungergli come da lontano. Si aggrappò con disperazione al demone, che lo tratteneva in piedi e gli impedendiva di rannicchiarsi su se stesso e finire a contorcersi per terra. La risata gli lacerava la mente; poteva sentire anche delle parole, dure e brucianti, ma non riusciva a distinguerle. L'incubo lo stava dunque tormentando anche ora che era sveglio?
    Shuten lo scosse più forte obbligandolo ad aprire gli occhi. Ryo avrebbe voluto urlare, ma riuscì a trattenersi. Era sul punto di cedere, quando il suono che gli torturava la mente sparì all'improvviso, come se non ci fosse mai stato, lasciandolo spaventato e confuso.
    Il giovane sbattè le palpebre e guardò le proprie mani, serrate sul risvolto del soprabito dell'amico. Impiegò qualche istante prima di tornare del tutto in sé; schiuse le dita quasi a fatica e si ritrasse, ma subito vacillò, travolto da una violenta vertigine.
    « Si sta impossessando di me... » realizzò di colpo, in preda all'orrore.
    Shuten lo lasciò andare e arretrò. Attraverso lo sguardo velato dal dolore e dallo sconcerto, Ryo lo vide irrigidirsi sulla difensiva e allora, d'un tratto, si accorse di un'altra presenza nella sua mente che cercava di raggiungerlo, ma veniva soffocata e respinta dalla voce rombante del sogno.
    « Ora capisco... » mormorò Ryo, in preda al tormento, mentre ogni cosa gli pareva adesso chiara e lampante. « Siete voi. Tutto questo non è reale. Anubisu... tu... voi non... » Si interruppe in un gemito, trascinando alcuni passi all'indietro, poi si voltò in un gesto convulso, la testa stretta tra le mani. « In tutto questo tempo... si è insinuato nella mia mente, notte dopo notte... quell'incubo. Ah! Sì... ora, solo ora capisco! Tu non sei qui; non sei reale! Tu sei morto, sei solo un fantasma! »
    Il corpo di Ryo fu scosso da un violento tremito, poi d'improvviso il giovane rovesciò la testa all'indietro e proruppe in una risata isterica. « E noi che credevamo di aver vinto! »
    Bayuken emise un ringhio sordo ed arruffò il pelo, mentre Ryo continuava a ridere e ripetere frasi sconnesse, finché Shuten lo afferrò di nuovo e lo voltò verso di sé per colpirlo impietoso con uno schiaffo in pieno viso.
    Ryo si piegò di lato, sotto la violenza del colpo che gli aprì un taglio sul labbro, e rimase immobile, silenzioso per un lungo istante. Poi passò lentamente una mano sulla bocca a tergere il sangue. « Niente male, per un fantasma » disse con una voce sardonica che non era la sua, prima di scattare, fulmineo, contro il demone.


    La mente di Shuten turbinava, mentre Ryo continuava ad attaccare.
    Erano arrivati troppo tardi, si rimproverò. Avevano esitato ed ora sembrava che l'irreparabile fosse accaduto. L'Entità si era impadronita di Ryo, e di certo non si sarebbe accontentata del giovane samurai. Qualunque cosa essa fosse, Shuten era certo non si trattava di uno degli Spiriti del Male di Arago, come aveva temuto il primo istante, ma dunque cos'era?
    Il volto di Ryo era contorto in una espressione feroce ed i suoi assalti avevano una forza quale il giovane non aveva mai posseduto.
    Con una mossa disperata, Shuten riuscì a bloccargli le braccia. « Ryo! Torna in te! » esclamò con il solito tono di comando, ma si rese conto, con un certo disappunto, che, più di un ordine, il suo era sembrato una supplica a cui fece eco il ringhio lamentoso di Bayuken.
    Gli occhi di Ryo guizzarono verso la tigre bianca che si era raggomitolata sotto ad un cespuglio di rovi come un gatto ferito. Per un istante nel suo sguardo vacillò una luce di coscienza, subito però scomparve e le sue iridi azzurre tornarono dure e fredde, prive di altra espressione che non fosse di cruda ferocia.
    Shuten lasciò la presa ed evitò d'un soffio il calcio scagliato contro di lui. Si piegò su se stesso e colpì Ryo al di sotto dello sterno, gettandolo contro un albero a qualche passo di distanza. Quel colpo avrebbe dovuto lasciare il samurai piegato in due, senza respiro, invece Ryo si alzò di nuovo, e rise.
    Una risata gelida, raschiante, che saliva lentamente di tono proruppe dalle sue labbra. « Sei sempre stato il migliore. »
    Shuten si irrigidì al suono di quella voce inumana. « Chi sei? » domandò guardingo.
    Ryo infilò una mano sotto la giacca e ne estrasse la Sfera di luce palpitante che custodiva la sua armatura. « Dov'è la tua yoroi, demone? Forse tenendola lontano da te puoi illuderti di cancellare quello che sei? » chiese con un sorriso feroce sulle labbra insanguinate. Rigirò la Sfera luminosa tra le dita, studiando la reazione dell'avversario.
    Questi rimase impassibile. « Chi sei? » domandò ancora, con tutta la freddezza di cui fu capace.
    La smorfia crudele sul volto di Ryo si allargò e gli occhi brillarono maligni. « Dimmi, come mai sei vivo? Quell'imbecille di Badamon non ti aveva ammazzato? »
    Shuten si mosse, preparandosi ad attaccare, mentre registrava il fatto che l'Entità fosse al corrente del suo scontro fatale con il ministro di Arago.
    « Scommetto che è stata quella piccola strega indemoniata » ghignò Ryo. « Ti ha voluto ringraziare, per averla liberata. Per aver dato la tua vita per lei. »
    Di nuovo Shuten vide lo sguardo un tempo familiare del giovane samurai fissarlo con attenzione e osservare le sue reazioni. E di nuovo, rimase impassibile, come non avesse udito le parole che l'Entità gli aveva appena rivolto.
    « Non mi hai risposto. Chi sei? » insisté, invece di replicare alla provocazione.
    Ryo assunse un'espressione distratta, mente rimirava la sfera palpitante di luce tra le sue dita. « La ragazzina ha imparato in fretta a servirsi dei poteri del suo clan. Il Gioiello delle Vita, del resto, non ha questo nome per caso » disse con tono vago, poi fissò Shuten e i suoi occhi brillarono di una luce maliziosa. « Cos'altro ha fatto, per mostrarti la sua gratitudine? »
    Al tono lascivo dell'entità, Shuten dovette fare uno sforzo in più per restare impassibile, e quasi sentì saltare i nervi davanti al ghigno che si dipinse sul volto di Ryo.
    Il samurai che non era più lui fece una faccia delusa. « Peccato, un così bel bocconcino » chiocciò. Mosse di nuovo la sfera davanti a sé e un fremito lo percorse, mentre la sua espressione si faceva d'un tratto confusa.
    « Ryo... » Shuten avanzò di un passo. Sentiva la coscienza del giovane amico che ancora lottava contro l'Entità impossessatasi del suo corpo, e cercò di raggiungerla.
    Subito i viso di Ryo tornò a torcersi in una espressione crudele. « Vuoi salvare il tuo amichetto come salvasti Kayura? Vieni e provaci, ma ti avverto, io non sono Badamon! »
    Shuten si mosse di lato e ricambiò sprezzante lo sguardo alieno di Ryo. « Ora che hai detto chi non sei, deciditi a dirmi chi accidenti saresti. Perché, ti avverto anch'io, mi sto stancando di te! »
    Ryo passò la lingua sulle labbra e sembrò gustare il sapore del sangue. « Ma bene » disse, « ora ti riconosco, generale Shuten Doji. »
    Tra le sue dita la Sfera avvampò come un piccolo sole e Shuten dovette proteggersi gli occhi, accecato dal suo bagliore improvviso. Avrebbe dovuto allontanarsi, invece rimase dov'era. Davanti a lui, l'Armatura del Fuoco avvolse e vestì il corpo di Ryo, aderendogli addosso con la sua antica magia.
    Dal cielo tornato completamente grigio, riprese a cadere la pioggia. Le grosse gocce gelate si trasformavano in vapore sulla superficie rovente dell'armatura rossa.
    « Che splendore! » esclamò l'Entità nel corpo di Ryo. Estratte le spade dai rispettivi foderi, le mosse nell'aria davanti a sé, con fare ammirato.
    Shuten lanciò tra i denti un'imprecazione antica di secoli, ma sempre espressiva, e si scostò dalla figura lucente del samurai. Ryo seguì il suo movimento con gli occhi.
    Il giovane samurai levò le due spade sopra la testa. « Vattene. »
    Bayuken emise un mugolio basso, doloroso. Era la voce di Ryo, quella che aveva appena parlato. Shuten la udì e al contempo si accorse che lo sguardo del giovane era limpido, cosciente e pieno di lacrime.
    « Vattene... avverti gli altri... sono tutti in pericolo!» implorò ancora Ryo, parlando a fatica, come lottasse contro se stesso.
    Dimentico di ogni prudenza, Shuten avanzò verso di lui. « Devi riuscire a liberarti! » esclamò. Adesso che la coscienza di Ryo era riemersa, non aveva alcuna intenzione di lasciarla sprofondare di nuovo. Si avvicinò ancora, a poco meno di un passo dal samurai, immobile a spade levate nella pioggia ormai scorsciante. Il demone si rendeva conto che quanto più si avvicinava, tanto più Ryo lottava per riprendere il controllo su se stesso. Forse, si disse, il giovane samurai poteva ancora sfuggire all'Entità.
    Ma si sbagliava.
    « Va' via! » Le parole di Ryo si persero in un grido angosciato, che mutò di colpo in un ringhio feroce mentre le lame scattavano nel bagliore di un lampo. Con un balzo Shuten si sottrasse alla loro traiettoria, ma non fu abbastanza veloce: un dolore rovente gli percosse il braccio sinistro. Portò d'istinto la destra la braccio offeso e sentì scorrere copioso il sangue caldo. Soffocata un'imprecazione di rimprovero verso se stesso per la sua imprudenza, volse lo sguardo alla figura in armatura e si avvide della tigre bianca, che la fronteggiava impedendole di raggiungerlo.
    « Bell'animale » la voce raschiante parlò di nuovo attraverso le labbra tese e tumefatte di Ryo.
    « Bayuken... » simile a un lamento fu la voce del ragazzo.
    Il suo corpo ebbe un moto convulso, dalla sinistra gli scivolò la spada mentre egli si piegava su se stesso. Una bolla di energia rovente si formò intorno a lui, sfolgorò abbagliante per un istante e scomparve, portando Ryo con sé.
    Bayuken emise un lamento lacerante. Nel punto in cui Ryo era scomparso era rimasta una traccia sferica di erba bruciata. La spada scintillava là dove era caduta. Shuten la raccolse; nel piegarsi verso di essa grosse gocce di sangue caddero dal suo braccio sull'erba annerita.


    Cap. V

    Tenebre sulla città


    L'allegro tintinnio delle campanelline sulla porta del locale salutò la brusca entrata di Shû. Intirizzito e di pessimo umore, il giovane samurai tolse l'impermeabile gocciolante di pioggia e l'appese all'attaccapanni posto a lato dell'ingresso.
    Qualcuno si voltò a guardarlo, quando sedette al bancone trasciando rumorosamente lo sgabello sul pavimento.
    « Beh! Cosa deve fare un uomo per avere qualcosa di caldo da buttar giù in una giornata come questa? » sbraitò Shû e sbatté la mano sul piano di legno lucido, a sottolinerare la sua impazienza.
    « Arrivo, non c'è bisogno di urlare. »
    Shû la riconobbe dalla voce, prima ancora di vederla uscire dalla porta a spinta della cucina con in braccio un vassoio di paste calde.
    « Kayura... » balbettò, sgranando gli occhi sulla figura esile della ragazza.
    Lei lo guardò a sua volta, inclinando leggermente il capo da una parte con espressione perplessa. « Cosa c'è? Ho qualcosa che non va? » domandò e, come a volersi accertare di essere a posto, lisciò il grembiale bianco, poi passò una mano sui capelli neri, raccolti in una coda che le ricadeva sulla schiena fin sotto la cintura.
    Shû fece per rispondere, ma la vista di Nâza che usciva dalla porta della cucina, recando un secondo vassoio di paste fumanti, gli fece morire la voce in gola.
    « Chiudi quella bocca, sembri un idiota » sbottò il demone, lasciando scivolare il vassoio davanti a lui, mentre Kayura sistemava i suoi dolci nella vetrina.
    Al profumo intenso di cioccolata e crema che gli inondò le narici, Shû sentì salire l'acquolina in bocca e si affrettò a richiudere la mascella. Le paste erano magnifiche, le più belle e invitanti che avesse mai visto. Le fissò come ipnotizzato, poi un pensiero orribile gli passò per la mente.
    « Le hai fatte tu? » domandò, scrutando con sospetto quello che aveva conosciuto come il Demone del Veleno, ora vestito di bianco e profumato di vaniglia.
    « Sei sbronzo, bamboccio? Certo che le ho fatte io, come sempre » sibilò Nâza seccato, e prese a spolverare i dolci di zucchero a velo con fare esperto.
    Kayura si avvicinò a versare un caffè nero e bollente nella tazza che tese a Shû, inondandogli il viso di vapore tiepido. « Ecco, come piace a te » disse con un sorriso gentile che le illuminò gli occhi limpidi e profondi. « Sei arrivato presto stamani. »
    Shû prese la tazza e guardò il liquido scuro e fumante, dalla superficie vellutata percorsa da striature nocciola. Forse fu il profumo del caffè o la golosa fragranza delle paste, ma tutto d'un tratto gli parve di risvegliarsi da una sorta di torpore confuso e ricordò che da tempo veniva a fare colazione in quel locale. Come si chiamava? Quello non lo rammentava, strano. Qualcosa si agitò nella sua testa. Non era poi così importante, quello che contava erano il caffè caldo ed i dolci che sembravano aspettare solo lui.
    « Scusate, ma questa mattina mi sento un po' strano » disse infine e ghermì una delle paste, ficcandosela quindi in bocca. Allo sciogliersi del cioccolato sulla lingua, il giovane emise un mugolio di piacere. « Sei un vero demonio con i dolci, Nâza. Non lo avrei mai sospettato » disse afferrando una seconda leccornia, grondante di crema.
    « Grazie » rispose l'altro, strofinando le mani dalle lunghe dita nervose con fare soddisfatto. « Ho tentato un po' di esperimenti con ingredienti di vario tipo, prima di realizzare questi miei capolavori. »
    Shû quasi si strozzò con il bignè che aveva appena infilato in bocca. Tossì un paio di volte, colpendosi il petto con il pugno, poi tracannò un lungo sorso di caffè bollente, cercando di non pensare a quali ingredienti ed a quali intrugli si stesse riferendo Nâza.
    Sospirò e appoggiò i gomiti al bancone. Quella mattina si sentiva nervoso, a disagio e non era bastata le golosa colazione a fargli tornare il buonumore. AVeva la sensazione che qualcosa non andasse, ma non riusciva a capire che cosa.
    Quella notte, non aveva nemmeno vissuto il solito incubo ricorrente. Perciò, cos'era che lo turbava?
    Si guardò intorno, c'erano poche altre persone nel locale, sedute ai tavolini, tutte intente chi a leggere il giornale, chi a fare colazione e chiacchierare. Solo allora si accorse dell'ometto dall'aria anonima seduto in fondo alla stanza e lo riconobbe. Era un medico e lui era stato qualche volta nel suo ambulatorio a farsi ricucire qualche ferita o curare un osso contuso.
    Lo aveva già visto lì, rammentò, e mentre seguiva la direzione del suo sguardo nascosto dietro gli occhiali rotondi dalle lenti spesse, comprese che il piccolo dottore non veniva per il buon caffè o i dolci di Nâza.
    L'ometto non perdeva di vista Kayura un solo istante, sul viso un'espressione sognante fin troppo eloquente.
    Shû scosse la testa con commiserazione e sorbì l'ultimo sorso di caffè. Pulì le labbra col dorso della mano, rivolse un paio di motteggi a Nâza, il quale gli rispose con una smorfia, poi spostò la sua attenzione ai dolci superstiti. Stava per chiedere a Kayura di mettergliene un po' in un sacchetto, per portarli con sé, quando alle sue spalle i campanellini della porta presero a squillare, seguti quasi subito dall'alzarsi dei pochi presenti in un mormorio tra il confuso e lo spaventato.
    Il giovane samurai si girò di scatto, mentre tutto il suo essere vibrava di una viva sensazione di allarme.
    Grondante di pioggia, la spada di Ryo stretta in pugno, Shûten lasciò che la porta si richiudesse dietro di lui con un secondo debole scampanio. Bayuken scosse il pelo bagnato e si mosse verso Shû con un borbottio lamentoso.
    « Ma cosa...? Cosa diavolo è successo? » esclamò Shû, mentre l'angoscia gli attanagliava dolorosamente lo stomaco. Aveva riconosciuto subito la spada di Ryo. Il suo sguardo corse dalla lama a Bayuken, alla manica squarciata del soprabito di Shûten, ed al sangue che gli scorreva lungo il braccio, fino a gocciolare per terra. E poi di nuovo tornò alla spada lucente. « Dov'è Ryo? » la domanda uscì dalla gola del giovane samurai in un urlo rauco.
    « È scomparso. » Shûten represse un sussulto quando Nâza, saltato il banco per raggiungerlo, gli tamponò la profonda ferita con un lembo di stoffa strappato al grembiale di cucina.
    « Scomparso? Che vuol dire scomparso? » con un solo balzo, Shû superò la distanza che lo separava da Shûten e lo afferrò per il soprabito. « Cosa gli è successo? Dimmelo! »
    « Shû,lascialo! » Kayura, accorsa veloce come il pensiero, gli afferrò i polsi tentando di fargli allentare la presa, mentre lo Nâza fulminava con lo sguardo. Bayuken soffiò, agitando la coda.
    « Dov'è Ryo, maledizione! » insisté Shû furioso, fece per strattonare Shuten ma questi, con un gesto rabbioso lo prese per la gola, soffocando le sue urla e lo sollevò da terra di qualche centimetro, lasciandolo a penzolare nel vuoto.
    « Avreste dovuto parlare di quell'incubo! » gli ringhiò sul viso, poi lo sospinse via, scagliandolo contro lo sgabello rimasto vicino al bancone.
    Shû lottò per restare in piedi, mentre le gambe dello sgabello si schiantavano con suono secco. Annaspò nell'aria e si raddrizzò a fronteggiare il demone. « Cosa ne sai tu del nostro incubo? » scattò irosamente.
    « Cosa ne so? So che si è impossessato di Ryo! » rispose Shuten e lanciò furibondo la spada a Shû, il quale l'afferrò al volo.
    Il samurai guardò l'arma tra le sue mani, confuso e incredulo, poi fissò Shuten. Il demone era caduto in ginocchio; tra le mani di Nâza la stoffa, con cui questi aveva cercato di tamponare la ferita dell'amico, era intrisa di rosso. Con un'imprecazione che fece sobbalzare i presenti, Nâza si strappò il grembiale bianco e lo premette sul profondo squarcio, quasi a voler ricacciare indietro il sangue che ne sfuggiva.
    « Ma come... chi? » balbettò Shû, « era solo un sogno, un maledetto sogno... » si sorprese a tremare come un tempo davanti allo sguardo feroce di Shuten e, per un attimo, pensò che la versione pacifica del generale di Arago in fondo non lo aveva mai convinto.
    Il movimento dell'ometto con gli occhiali tondi che si avvicinava titubante attirò il suo sguardo.
    « Scusate... io sono un medico. Credo... credo di potevi aiutare » balbettò il dottore, indicando con l'indice che gli tremava la ferita sul braccio di Shuten.
    In quel momento le lampade elettriche che illuminavano il locale fremettero e poi si spensero.


    Una dopo l'altra tutte le luci della città si oscurarono. L'energia venne a mancare dappertutto; le auto si fermarono; gli orologi elettronici al polso della gente smisero di funzionare.
    Nasti scese dalla sua auto inspiegabilmente bloccata, come tutte le altre nella grande arteria della città. Il sapore acido della paura le salì alla bocca. La folla rumoreggiava intorno a lei, qualcuno imprecava, qualcun altro cercava di telefonare, ma i cellulari giacevano irrimediabilmente spenti.
    Nasti non poté trattenersi dall'alzare lo sguardo al cielo cupo, da cui la pioggia continuava a cadere fitta e gelata. « Dio mio, non di nuovo... » pregò tra sé in preda all'angoscia.
    La voce di Jun la fece sobbalzare. Guardò nella direzione da cui gli era giunto il suo richiamo e lo vide correre verso di le, zigzagando tra le auto bloccate.
    Con la cartella scura della scuola che gli sobbalzava sulla schiena, il ragazzo corse da lei, continuando a chiamarla a gran voce. Nella divisa nera, impeccabilmente abbottonata sotto il cappotto, Jun sembrava ancora più cresciuto di quanto lo fosse veramente in quegli anni. Il suo viso aveva perso quasi completamente la tenera rotondità infantile, le membra si erano allungate e, dopo le dure esperienze vissute, gli occhi di Jun avevano assunto un'espressione diversa, più seria di quella degli altri ragazzini della sua età. Nasti si era rattristata di questo molte volte.
    « Nasti! È lui, è tornato! » con un ultimo balzo Jun le fu accanto, il volto arrossato dalla corsa. Infilò una mano nel colletto della divisa della scuola, allentando un bottone ed estrasse il Gioiello della Vita. « Ma io l'ho ancora con me! » esclamò levando in alto l'oggetto prezioso, in un gesto di sfida.
    Il Gioiello scintillò alla luce del fulmine che saettò dalle nuvole nere. Lo schianto del tuono che seguì fu tale da far vibrare i vetri di tutti gli edifici circostanti. Nasti rabbrividì nell'improvviso levarsi di un vento gelido che prese a soffiare con sempre maggiore violenza. I capelli le svolazzarono sul viso. La giovane afferrò Jun e lo strinse a sé. Tutto intorno la gente si rinchiudeva nei propri mezzi inutilizzabili, o correva qua e là in cerca di un riparo. Il vento trascinava ovunque foglie secche, pezzi di carta, ombrelli strappati alle mani dei passanti.
    Nasti si guardò intorno. Doveva togliersi da lì, portare Jun al sicuro. Stava per muoversi verso il marciapiede quanto sentì alto e nitido un fischio di richiamo. Sorpresa si voltò: qualcuno si stava muovendo verso di loro, balzando da un'auto all'altra fra le proteste e le imprecazioni dei proprietari.
    Nell'attimo stesso in cui Nasti lo riconobbe, Anubisu fu su di loro e, afferrati lei e Jun, li trasportò fuori dal groviglio di auto, verso gli edifici lungo il marciapiede. Li sospinse quindi in un vicolo, al riparo dal vento furioso e dalla pioggia.
    Un barbone mezzo ubriaco si volse a guardarli dal suo giaciglio di carta straccia e immondizie.
    Nasti cercò di divincolarsi dalla stretta ferrea di Anubisu, inutilmente. Una sfera di energia rovente si formò intorno a loro, l'asfalto bagnato sfrigolò al suo contatto, poi la sfera collassò su se stessa e scomparve con i sui occupanti.
    Il barbone sbatté gli occhi arrossati dall'alcool, scosse la testa e tornò a raggomitolarsi nella spazzatura.


    Cap. VI

    La Luce che si spense


    In preda alla vertigine, Nasti riuscì a non cadere per terra aggrappandosi a Anubisu con la stessa forza con cui prima aveva cercato di liberarsi dalla sua stretta.
    Impiegò diversi istanti per rendersi conto di essere stata teletrasportata in una stanza fredda e semibuia. Stordita da quel modo di spostarsi che odiava, sbatté più volte le ciglia: prima per abituare gli occhi alla penombra, poi per lo stupore: pochi passi davanti a lei, al chiarore pallido di alcune candele, la spada di Ryo ardeva di strani bagliori.
    In piedi davanti al basso mobile laccato su cui l'arma era deposta, Jun fissava l'antica katana come ipnotizzato dalla sua stessa immagine, riflessa sulla lama affilata e lucente.
    Al mugoloio doloroso di Bayuken, accoccolata a terra, Nasti avvertì l'ansia serrarle il cuore. Si guardò intorno e, dopo lo sconcerto, si sentì travolgere dalla rabbia.
    Si scostò da Anubisu con una mossa sgarbata e quasi si avventò su Rayura, seduto su alcuni cuscini, le spalle contro la parete, a testa bassa e il viso nascosto dai lunghi capelli chiari.
    « Non urlare, per favore » la prevenne Rayura sollevando su di lei uno sguardo stanco e teso. « Ho già mal di testa, gradirei tu evitassi di peggiorarlo. »
    Nasti provò l'impulso di prenderlo per il collo, ma si trattenne. « E così, è tutta opera tua. Aubisu col suo taxi... il vostro ritorno qui, a Tokyo, come fosse una cosa normale! Sei stato tu a farcelo credere. »
    Rajura raddrizzò le spalle e sorrise. « Sono stato bravo, vero? Ci siete cascati come allocchi. »
    « Uccidilo, Nasti » bofonchiò Shû, emergendo da un angolo buio con una coperta gettata sulle spalle a proteggersi dal freddo. « La sua illusione è svanita nel momento in cui è andata via la corrente elettrica e ogni cosa si è fermata. Ora è tutto chiaro: ci ha presi in giro. Mi viene il voltastomaco all'idea di averlo avuto nella mia testa. »
    Rajura si alzò con un movimento fluido delle membra agili. « Ti assicuro che la tua testa è il posto meno gradevole che abbia mai visitato, e quelle dei tuoi compagni non sono più piacevoli » replicò in tono di fastidio, aggiustando la piega della camicia di un candore impeccabile.
    Nasti vide Shû digrignare i denti e protendersi furioso verso il Demone dell'Illusione. « Come hai fatto? Come ci sei riuscito, dannazione a te! » imprecò il giovane samurai con la voce alterata dall'ira.
    « Avete lasciato la porta aperta, razza di stupidi. Eravate così convinti di voi stessi, della vostra vittoria, da non accorgervi nemmeno della mia intrusione; ma peggio ancora, non vi siete accorti di quella Entità che vi stava consumando il cervello » rispose Rajura, sprezzante.
    « Di che cosa stai parlando? » domandò Nasti. « Quale entità? »
    « Quella che mi ha cacciato a pedate dalla testa del vostro amico Ryo » bofonchiò Rayura massaggiandosi le tempie. « Mi ha fatto venire l'emicrania, dannazione. »
    Nasti ebbe un sussulto, ma prima che potesse parlare, Jun si volse e avanzò verso il Demone dell'Illusione. « Dov'è Ryo? » chiese il ragazzo. Senza mostrare alcun timore, alzò gli occhi a guardare Rajura in viso. « Cosa gli è successo? »
    « Questo dovete chiederlo a lui » rispose il demone e tese il braccio a scostare con la mano la porta semichiusa alla sua destra, fino ad aprirla su di una camera illuminata dalla luce dorata di alcune candele.
    Per prima Nasti vide Kayura, in piedi con la mano alzata a sorreggere una fiamma tremolante. La ragazza si girò verso di lei e le rivolse un sorriso timido, ma Nasti già non la vedeva più. I suoi occhi erano ora fissi sulla figura di Shuten, seduto sul bordo del letto, che la guardava da sopra la spalla di un buffo ometto magro, con uno spesso paio di occhiali sul naso, intento a trafficargli intorno a un braccio stando appollaiato su di una sedia.
    Nasti spalancò la bocca in una esclamazione muta. Aveva appena realizzato la scena che Jun la superò di corsa e, senza una parola, corse dal demone e lo abbracciò stretto, incurante delle deboli proteste dell'ometto con gli occhiali. Shuten sorrise e arruffò i corti capelli neri sulla testa del ragazzino. In quel momento Nasti si accorse della fasciatura attorno al suo braccio sinistro e delle garze insanguinate sul tavolino a fianco dell'uomo sulla sedia.
    « Non ho fatto in tempo a dirtelo » borbottò Shû, « e nel caso te lo stia domandando: no, non è un'illusione. Purtroppo » aggiunse, massaggiandosi la gola su cui nereggiavano alcuni lividi.
    « Ma... come... » balbettò Nasti, voltatasi verso il samurai. La sua espressione interrogativa ottenne come risposta solo un'alzata di spalle, poi una nuvola di vapore caldo le si levò davanti agli occhi e un delicato profumo di tè le invase le narici. Stupefatta si trovò tra le mani una tazza colma di un liquido bollente di uno misterioso colore azzurrognolo.
    Si volse per vedere chi l'avesse portata e sussultò di spavento nel trovarsi davanti Naza, spuntato da chissà dove, che la fissava con i suoi strani occhi scuri, resi ancora più grandi dal chiarore pallido del lume delle candele.
    « Tè al gelsomino » disse Naza, tranquillo, « con l'aggiunta di un mio ingrediente segreto. Assaggialo, ti piacerà. »
    A stento Nasti si trattenne dal gettare via la tazza con tutto il suo contenuto e mettersi a urlare.


    « Signor Rei Fang, potrei parlarle un attimo? » domandò il piccolo dottore, avvicinandosi a Shû nell'uscire dalla camera.
    Ci siamo, ecco il momento delle spiegazioni pensò Shû. Annuì e si rassegnò a seguire di malavoglia il medico nella stanza da bagno, che Kayura gli aveva indicato perché potesse lavarsi la mani.
    Il freddo si faceva sempre più intenso, mentre la pioggia sembrava non voler cessare mai. Senza elettricità il riscaldamento non era in grado di funzionare, e l'appartamento era privo di camino o anche solo di una stufa a legna con cui poter sopperire all'emergenza. Dai rubinetti uscì un'acqua gelida, ma il medico non sembrò badarci mentre puliva con cura le mani, insaponando ben bene le dita.
    « Signor Rei Fang... »
    « Shû, dottore. Mi chiami Shû » lo interruppe il samurai.
    L'ometto sorrise cordiale. « Shû, lei mi conosce, sono il dottor Hajime Yatate. È stato da me, qualche volta, si rammenta? »
    Shû mosse un cenno di assenso con la testa. Aveva un orecchio teso ad ascoltare il parlottare di Rayura, Anubisu e Naza in salotto, ma non riusciva a cogliere una sola parola. Il fatto che stessero confabulando nel loro giapponese antico non gli era d'aiuto.
    Il dottor Yatate finì di sciacquare le mani, chiuse il rubinetto e prese un asciugamani. « Mi dica, Shû: lei quanto pesa? »
    Il samurai lo guardò sorpreso. Che razza di domanda era quella? « Io... credo settanta chili, o giù di lì. Perché? »
    « Quando l'ho visitata, circa un mese fa, lei pesava ottanta chili » precisò Yatate.
    Shû si mosse infastidito. « Sì, beh... sono ingrassato. E allora? »
    « E allora mi domando: come ha fatto quel suo amico di là a sollevarla con una mano sola e poi gettarla lontano, a più di due metri, come fosse un pupazzo di stracci? » chiese infine il medico fissando il samurai attraverso le lenti degli occhiali.
    Shû guardò altrove. « Beh, se è per questo, mi ha fatto anche di peggio » borbottò.
    Yatate ripiegò l'asciugamano e lo rimise a posto, a fianco del lavandino. « Vorrei parlarle di un mio sogno, Shû » disse in tono pensieroso. « A volte mi capita di sognare un grande palazzo antico, tutto nero, che galleggia sulle nubi, sopra la città. E la città sembra morta, proprio come oggi. »
    Shû represse un brivido e guardò la porta, pensando di svignarsela con qualche scusa.
    « Sogno poi di trovarmi in qualche luogo, dentro a quel palazzo, assieme a molta, moltissima gente. Intorno a noi dei tipi strani, in armature scure dalla foggia antica » proseguì Yatate, « Ma più strani ancora sono quattro guerrieri, con armature davvero straordinarie. Compaiono confusamente nel sogno, come pure gli altri cinque. Ed un gattone, come quello che se ne sta di là tutto depresso. A proposito, siamo sicuri sia un gatto? »
    I piedi di Shû si mossero verso la porta. « Uno strano sogno, dottore. »
    « Già, molto strano davvero. Nel mio sogno appare anche una ragazza, molto bella, con lunghi capelli neri. Proprio come la signorina che mi ha fatto luce mentre ricucivo il braccio al tuo amico. A proposito, quel tizio, con tutto il sangue che ha perso, avrebbe dovuto essere morto » insisté il medico, muovendo una mano in un gesto appena accennato a indicare la stanza adiacente.
    Shû si passò una mano sudata fra i capelli; quell'ometto lo stava mettendo alle strette. Ma in fondo perché non dirgli la verità? Parlarne con qualcuno avrebbe fatto star meglio pure lui. « E va bene... quel suo sogno in realtà è un ricordo » iniziò. Gli occhietti di Yatate scintillarono dietro le lenti. « Io sono uno dei quei cinque guerrieri che lei rammenta. Shuten il mio... ehm... amico è...era uno dei demoni di Arago, era questo il nome del padrone di quel palazzo che lei ricorda. Gli altri sono quei tre tipi strani di là. Sono loro i quattro del suo sogno... ehm... ricordo. »
    L'ometto rimase in silenzio, come ritirato in se stesso. Vagò con lo sguardo intorno a sé, dai ninnoli sotto lo specchio alla tenda della doccia. Parve considerare il tutto con attenzione. « Questo spiegherebbe molte cose. Li immaginavo diversi però, i demoni. Sì, più, come dire, demoniaci » mormorò tra sé.
    « Le assicuro che quei quattro sanno essere più demoniaci di quanto lei immagini! » sbottò Shû, la voce carica di vecchio rancore.
    Yatate lo guardò con espressione d'un tratto preoccupata. « Anche la ragazza è un demone? »
    « Kayura? No, lei no » rispose Shû e di nuovo provò un moto di commiserazione per il piccolo medico, quando lo vide sospirare di sollievo e illuminarsi in viso. Poi, d'un tratto, si stupì di quanto facilmente Yatate sembrasse accettare quanto lui gli stava dicendo. « Lei non mi pare sorpreso, dottore. »
    Yatate sorrise. Aprì la bocca per rispondere, ma il ruggito feroce di Bayuken che fece vibrare improvvisamente tutti i vetri, rimbombando per la casa, lo ammutolì.
    Shû si precipitò fuori dalla stanza, mentre l'ometto faceva appena capolino da dietro l'angolo della porta. Un potente bagliore verde lo accecò e il samurai dovette farsi schermo agli occhi con una mano, per riuscire a vedere.
    « Seiji! »
    L'urlo di Nasti si perse nel nuovo ruggito della tigre bianca, raccolta su se stessa, pronta a balzare sulla figura nella lucente armatura verde apparsa al centro del salotto.
    « Non è Seiji, non più! » avvertì Anubisu, afferrando la ragazza per impedirle di avvicinarsi al samurai.
    L'elmo chiuso della yoroi verde nascondeva i lineamenti del volto di Seiji. solo gli occhi chiari e la bocca, tirata in una linea dura, erano visibili.
    Le labbra del samurai si schiusero e ne uscì una voce che non era la sua. « Il Fuoco, il Cielo, la Luce, l'Acqua... » gli occhi gelidi si puntarono su Shû, « la Terra... » mosse un passo verso di lui. « Vieni, i tuoi amici ti aspettano. »
    Colmo di orrore, Shû sentì qualcosa di estraneo muoversi nella sua coscienza, come in risposta alla voce inumana che lo chiamava, spingendolo all'abbandono. Gli parve di sprofondare nel buio, mentre alla sua identità se ne sovrapponeva un'altra. Avrebbe voluto ribellarsi, reagire, ma si sentiva del tutto impotente. Con terrore, si rese conto di essere rimasto immobile, mentre Seiji avanzava verso di lui, una mano tesa fin quasi a toccarlo.
    Il balenare improvviso di una luce dorata gli indicò la via nella tenebra. Riemerse lentamente, a fatica, lottando contro l'altra identità, come indebolita dal provvidenziale chiarore. La zona di luce si allargò davanti ai suoi occhi e finalmente riuscì a vedere di nuovo.
    Come in una scena al rallentatore vide Seiji caricare di energia la spada e prepararsi a liberare il suo potere. Seguì la direzione del suo sguardo fino ad identificarne il bersaglio: dritta sulla porta della camera, c'era Kayura, con il bastone di Kaousu fra le mani acceso come un sole.
    Alla potente scarica che scaturì dalla lama di Seiji, il bastone mistico reagì irradiando la sua calda luminosità dorata. La deflagrazione dello scontro tra le due energie scagliò Kayura all'indietro, mentre l'edificio vibrava, scosso fin nelle fondamenta. Fiamme altissime divamparono tutto intorno attaccando ogni cosa.
    Seiji tornò a voltarsi verso Shû. « Vieni! »
    « No! » Shû arretrò e agguantò Yatate, paralizzato dal terrore sulla porta del bagno alle sue spalle. La bolla di energia della sua yoroi sfavillò intorno a loro. « Fuori di qui! » urlò il samurai, rivolto agli altri.
    Anubisu sparì in un lampo, con Nasti che si divincolava nel suo abbraccio, gridando il nome di Jun.
    Naza afferrò al volo la spada di Ryo, prima di svanire nel nulla, mentre Rayura, affondate le dita nella collottola di Bayuken, si dileguava con la tigre.
    Tra il fumo e le fiamme, con Yatate avvinghiato addosso, Shû ebbe la rapida visione di Shuten che scompariva con Kayura e Jun, aggrappato al fianco.
    Il samurai rimase qualche istante nell'appartamento tramutato in un rogo. Davanti a lui Seiji continuava a fissarlo con quello sguardo glaciale.
    « Scappa pure, ti troverò ovunque andrai a nasconderti. Non puoi sfuggirmi, Shû. Verrò a tormentare ogni tua notte finché non cederai! »
    Le ultime parole rimbombarono nel cranio di Shû quando già si era allontanato con la sua sfera di energia.


    Cap. VII

    Un'amara sorpresa


    Allo schianto del fulmine, Tôma sobbalzò nel suo letto d'ospedale.
    Confuso e inquieto per il brusco risveglio, cercò l'interruttore della luce per accendere il neon sul soffitto e illuminare la stanza semibuia. Il tasto dell'interruttore scattò sotto la pressione delle sue dita, ma il neon rimase spento.
    Nel silenzio della camera, Tôma udì delle voci provenire distanti dal corridoio: parlavano di black-out generale; di generatori di emergenza che non funzionavano; apparecchi elettronici tutti fuori uso. Poi scomparvero, inghiottite dai meandi dell'edificio.
    Poi Il giovane rabbrividì, mentre gocce di sudore freddo gli imperlavano la fronte.
    Lottando contro il senso di paura e sgomento che minacciava di sopraffarlo, si sollevò sulle braccia e guardò la finestra chiusa, a poca distanza da lui. Tese la mano per raggiungere la cinghia sulla parete che avrebbe sollevato la tapparella di plastica, ma era troppo lontana.
    Tôma si sporse ancora, inutilmente. Il dolore alla gamba ferita lo costrinse a desistere.
    « Guardare fuori, perché? » mormorò tra sé, abbandonandosi sui cuscini, « sto diventando pazzo. È solo un dannato black-out » cercò di convincersi.
    Ma allora perché provava quel senso di profonda angoscia che gli consumava i nervi? Stava accadendo qualcosa là fuori, stava accadendo qualcosa dentro di lui, lo sapeva, era inutile cercare di illudersi.
    Il giovane samurai sentì un gran desiderio di fuggire da se stesso, di essere qualcun altro, una persona qualunque, ignara di armature stregate; demoni venuti dal passato e spiriti maligni. Come sarebbe stata la sua vita se non fosse stato quello che era? Si chiese quasi con disperazione.
    Portò le mani al viso e affondò le dita nei capelli scuri, sorpreso dai suoi stessi pensieri.
    Aveva considerato un grande onore indossare l'Armatura del Cielo e combattere il male. La sua famiglia, gli Hashiba, vantava una antica tradizione guerriera e lui era cresciuto con un'educazione finalizzata a maturare una coscienza da autentico samurai, per essere degno del proprio nome. Alla sua famiglia era appartenuto per secoli il segreto della Yoroi Blu, a lui era toccato il privilegio di indossarla.
    D'improvviso si vergognò di se stesso. Si sentì un vigliacco, come se avesse tradito il suo sangue di samurai col solo pensiero di cedere ad una allettante, tranquilla esistenza comune.
    Tôma strinse i denti e si sollevò di nuovo, finché riuscì a sedersi sul letto. Non sarebbe rimasto lì fermo, mentre stava accadendo qualcosa che forse richiedeva il suo intervento.
    Tirò via le lenzuola e guardò la gamba destra, immobilizzata da una specie di imbracatura fatta di sottili stecche metaliche e bende. Muoverla gli era impossibile, ma provò comunque a trascinarla giù dal letto.
    Il dolore fu sopportabile finché non tentò di poggiarla per terra. Tôma dovette mordersi le labbra per non urlare mentre, testardamente, si protendeva verso la finestra chiusa. La stanza prese a ondeggiargli intorno. Ancora uno sforzo ed avrebbe potuto vedere fuori.
    In preda alla nausea, il giovane riuscì a far scorrere la cinghia dell'imposta, che finalmente si sollevò. Aggrappato convulsamente al davanzale della finestra, Tôma guardò la città spazzata dal vento e dalla pioggia. Una città completamente buia sotto una coltre di nubi nere.
    « Sei tornato a prenderti la rivincita? » sussurrò mentre lottava per non perdere i sensi, travolto dal dolore e dalla vertigine. Tutto il suo essere era così teso verso l'esterno, che non sentì l'infermiera entrare alle sue spalle.
    La voce della ragazza lo colse di sorpresa. « Cosa fa? » In un attimo ella gli fu accanto e lo sorresse, trascinandolo verso il letto dove lo spinse a distendersi di nuovo.
    « È la fuori, lo sento! I miei amici, devo andare da loro! » farfugliò Tôma, esasperato dalla propria debolezza.
    L'infermiera sorrise, mentre traeva qualcosa dalla tasca della divisa. « Si calmi. Presto sarà con i suoi amici » disse in tono carezzevole.
    Tôma la guardò, sorpreso da quelle parole e fissò il viso tondo, quasi da bambina, della ragazza che si era presa cura di lui fin dal primo istante in cui aveva ripreso i sensi in quella stanza.
    « Che cosa vuole dire? » domandò. I suoi occhi si fissarono sulla siringa, carica di liquido trasparente, apparsa fra le dita della donna.
    « Il giorno della pace è vicino. Non devi temere più nessuno ormai. Adesso riposa » mormorò l'infermiera. Con un gesto delicato e premuroso, scoprì l'avambraccio del ferito, tirandogli su la manica del pigiama.
    « No! » urlò Tôma e si sottrasse bruscamente alle sue mani. La punta dell'ago gli graffiò la pelle. « Cosa significa tutto questo? »
    « Ti prego, non vogliamo farti del male. È anche per il tuo bene. » La giovane aveva quasi un'espressione supplichevole, mentre tentava di riprendergli il braccio.
    Rapido, Tôma afferrò il polso della ragazza e strinse fino a strapparle un gemito di dolore e farle cadere la siringa. « Cosa è quella roba, accidenti? Voglio delle spiegazioni! »
    Un rumore di passi nel corridoio attirò la sua attenzione. Tôma spinse via l'infermiera e scivolò giù dal letto. Il dolore lo accecò per un lungo istante, ma lui non aveva intenzione di cedere. Le parole farneticanti della donna lo avevano messo definitivamente in allarme. Adesso era certo che stava accadendo qualcosa di grave e, chiunque fossero quelli che si avvicinavano nel corridoio, voleva essere pronto ad accoglierli.
    Sostenendosi alla testata metallica del letto, Tôma si mise in piedi a fronteggiare la porta. Quando questa si spalancò, il giovane ebbe un sussulto. « Ryo! »
    Alla vista dell'amico, fu scosso dalla sorpresa. Ma ciò che lo lasciò allibito fu l'acuto senso di sgomento che la sua presenza gli causò, anziché portargli sollievo.
    Ryo avanzò nella camera, seguito da due uomini vestiti da infermieri, sul suo volto un sorriso strano, quasi una smorfia.
    « Ryo... » al margine della sua visuale, Tôma scorse il movimento dell'infermiera che si rialzava dall'angolo contro cui l'aveva sospinta.
    « Non ci sono riuscita, chiedo perdono » mugolò la ragazza, piegata in due come in un inchino deferente verso il Samurai del Fuoco.
    Tôma guardò l'amico senza capire. « Ryo, cosa sta succedendo? »
    « Non preoccuparti Tôma, sono venuto a prenderti. »
    A quella voce Tôma sentì il sangue gelare nelle vene: il suono raschiante uscito dalle labbra del suo amico non aveva niente di umano, come pure la luce malvagia che brillava nei suoi occhi, divenuti crudeli ed estranei.
    Sopraffatto dalla sorpresa e dallo sgomento, Tôma tentò troppo tardi di sottrarsi al colpo che Ryo gli vibrò alla base del collo, con cattiveria.


    Cap. VIII

    Oceano di disperazione


    Shin depose la penna sul tavolino, accanto al foglio fitto della sua calligrafia elegante. La fiamma della candela appoggiata davanti a lui vacillò al suo lieve sospiro. Shin pose i gomiti sul pianale, incrociò le dita e vi appoggiò la fronte in un gesto stanco.
    Avrebbe voluto resistere, ma era troppo sfinito e quella presenza lo sapeva.
    Notte dopo notte, la presenza sconosciuta aveva logorato il suo spirito, negandogli il riposo e rubandogli la serenità. Si era insinuata strisciando nella sua coscienza, toccando i suoi punti deboli, scoprendo tutte le corde della sua anima. Adesso stava suonando per lui una dolce nenia di abbandono, così carezzevole e suadente da rendergli impossibile resistergli.
    « Sono così stanco... »
    Abbandonati, Shin. Basta lottare La voce dolcissima sussurrò piano nella mente del samurai. Riposati adesso, ne hai così tanto bisogno.
    Con uno sforzo di volontà Shin si alzò dalla sedia nel suo studio.
    « Riposare, sì... » vacillando si avviò verso la finestra chiusa sul buio della città morta e l'aprì. Il vento gelido gli frustò il viso rianimandolo un po'. « Riposerò, certo, ma non come vuoi tu. »
    Un balzo e precipitò nel vuoto.
    L'appartamento si trovava al quinto piano del palazzo alla periferia di Tokyo. L'altezza che separava la finestra di Shin dal suolo era più che sufficiente a rompersi l'osso del collo. I metri scivolavano via, mentre il giovane precipitava verso l'asfalto. Vicino, sempre più vicino.
    Resistere, solo ancora un po', si disse Shin, il tempo necessario per morire.
    Il suono basso di una risata crudele scosse la sua mente.
    « Cosa c'è da ridere? ti sto sfuggendo e tu ridi? » mormorò il ragazzo.
    L'asfalto occupa tutta la sua visuale adesso. Una macchia grigia, lucida di pioggia. Vicina, sempre più vicina. Shin può sentirne l'odore. Ancora due metri. Uno.
    Lo spazio si congela.
    Immobile a mezz'aria, il viso a pochi centimetri dal suolo, Shin chiuse gli occhi. Le lacrime caddero dalle sue ciglia sulla strada sotto di lui. Il samurai reclinò il viso sul petto e cominciò a ridere.


    Shû si materializzò con Yatate in un luogo chiuso che sul momento non riconobbe. La prima cosa che vide fu Rayura, comparso poco distante da lui, che veniva rovesciato da una zampata poderosa di Bayuken. La tigre si avventò sul Demone dell’Illusione, bloccandolo sotto la sua mole a ringhiargli il viso, come volesse sbranarlo.
    « Lascialo, Bayuken! » la voce di Shuten suonò autoritaria come al solito, nell'istante in cui il demone si materializzò a sua volta, con Jun e Kayura, nel tintinnio dorato degli anelli magici sul bastone di Kaosu che la ragazza teneva stretto a sé.
    « Sì, lascialo, Bayuken. Non mangiare schifezze » sibilò Naza, comparendo nel bagliore della sua Sfera. La Spada del Fuoco stretta in pugno.
    L'apparire di Anubisu fu accompagnato dallo schiocco sonoro dello schiaffo che Nasti assestò sul viso del Demone dell'Oscurità, prima di sfuggirgli e correre da Jun.
    « La prossima volta ti lascio arrostire » ringhiò Anubisu, massaggiando la guancia offesa, segnata dalla profonda cicatrice.
    Shû guardò Nasti e Jun, adesso abbracciati, e si districò dalla presa convulsa di Yatate. « State bene voi due? E lei, dottore? » domandò preoccupato.
    « Grazie per l'interessamento » bofonchiò Rajura, mentre si rialzava dopo che la tigre bianca, obbedendo al richiamo di Shuten si era allontanata da lui.
    « Noi stiamo bene » disse Jun, « ma tu? Shû, tu come stai? »
    Shû passò una mano sulla fronte sudata e scoprì che stava tremando « Ha preso Seiji... dopo Ryo, ha preso Seiji » mormorò sconvolto, « e stava per prendere anche me! Se non fosse stato per quel coso, avrebbe preso anche me!» esclamò infine, fissando la sommità dorata del bastone di Kaosu tra le mani di Kayura. Poi si scosse. « Devo andare da Tôma e Shin! Forse sono ancora in tempo ad aiutarli. »
    Il samurai era già sul punto di richiamare la sua Sfera per allontanarsi, quando Shuten gli afferrò il polso, bloccando il suo gesto. « Tu non sei in grado di aiutare nessuno » disse il demone. « Andremo Naza e io. Sei già quasi succube di quell'entità, non gli sfuggiresti una seconda volta. »
    Con uno strattone Shû si liberò della sua stretta. Shuten aveva ragione, ma il doverlo riconoscere gli bruciava l'anima. La risposta sgarbata che aveva già sulle labbra fu prevenuta da Anubisu.
    « Da Tôma vado io. Naza cercherà Shin » decise il Demone dell'Oscurità. Si rivolse a Shuten con un'espressione sul viso che non lasciava spazio a repliche. « Tu, con quella ferita, non puoi permetterti di affrontare nessuno dei due, se l'Entità dovesse avere già preso possesso di loro. »
    Senza lasciare tempo a obiezioni di sorta, Anubisu sparì in un tremolio d'aria, subito imitato da Naza.
    Shû fece appena in tempo a sorreggere Yatate a cui avevano ceduto le gambe.
    « Scusate... » gemette il medico. « Immagino per voi sia una cosa normale, ma veder svanire così quei due uomini mi ha fatto impressione... »
    « A me fanno impressione solo quando ricompaiono » mugugnò Rajura, intento a scuotersi di dosso i peli bianchi e neri di Bayuken.
    Yatate ebbe un sorriso impacciato a quella che doveva aver preso per una battuta. Sistemò gli occhiali sul naso e si guardò intorno. « Dove siamo? »
    Alla domanda del medico, Shû osservò per la prima volta il luogo in cui era venuto a trovarsi. Non aveva idea di dove fosse. La sua Yoroi doveva aver seguito l'aura di Kaosu, si disse, preferendo non pensare che avesse invece seguito le quattro yoroi dei demoni, le sue sorelle stregate da Arago.
    Quando il samurai vide tutto attorno a lui pareti scorrevoli in intelaiature di legno, decorate da pannelli in carta di riso finemente dipinte, illuminate da candelabri su supporti di ferro, comprese di non trovarsi più a Tokyo, e nemmeno nel suo mondo.
    « Ma guarda, sembra di trovarsi in un palazzo del periodo Momoyama! » esclamò d'un tratto Yatate.
    « Non lo sembra » mormorò Shû, « lo è. » Guardò Kayura e lei annuì a confermare il suo sospetto. « Mi avete riportato nel suo palazzo! » accusò.
    « Questo non è più l'impero di Arago, Shû. Lo hai dimenticato? » disse Kayura, avvicinandosi con il suo passo lieve. « È la nostra casa adesso, ed io ne sono la custode. Qui sarai al sicuro. »
    « Al sicuro? Con voi? » ribatté il samurai. Guardò Shuten e Rayura con aria poco convinta.
    « Puoi sempre andartene da quella cosa che ti sta dando la caccia, se preferisci » disse il Demone dell'Illusione, in tono di fastidio. « Fai come ti pare, basta che stai zitto. L'entrata a effetto del tuo amico Seiji ha peggiorato il mio mal di testa, e quella bestia ingrata non mi ha di certo aiutato prendendomi a zampate. » Sedette, piegandosi con eleganza sul morbido tatami che copriva il pavimento, e guardò torvo Bayuken. La tigre ricambiò con un ringhio sommesso l'ostilità della sua espressione.
    Shû serrò i pugni. Di nuovo si guardò attorno, l'atmosfera era cambiata da che era stato in quella dimensione l'ultima volta, quando quel luogo fuori dal mondo e dal tempo apparteneva all'Imperatore Arago, lo spaventoso Spirito del Male contro cui lui e i suoi amici avevano lottato duramente. Vi era più luce e l'aria era leggera, non gravida di odio e paura.
    Nasti e Jun sembravano aver già accettato di dover restare lì. Erano preoccupati per Ryo, Seiji e gli altri, ma avevano imparato a fidarsi di Shuten, tempo addietro, e Shû si rese conto che anche adesso erano pronti ad affidarsi di nuovo a lui.
    Shû osservò Kayura. Avrebbe dovuto essere lei ora a comandare in quel mondo. Era lei la Custode, l'ultima erede del clan di Kaosu, l’eterno avversario di Arago, perché allora taceva, e se ne stava lì, a occhi bassi, tenendo nel pugno delicato il bastone magico del suo predecessore come non sapesse che farne?
    « Kayura » chiamò. La ragazza sollevò lo sguardo su di lui. « Kayura, quella cosa è uno spirito del male? Dimmi, è venuta da qui? »
    « No, qui non vi sono più Spiriti del Male » rispose Shuten.
    « L'ho chiesto a lei! » scattò Shû.
    « Ma ti ho risposto io. Non ti basta? » ribatté duramente l'ex generale di Arago.
    « Andate a litigare da un'altra parte » gemette Rajura, massaggiandosi le tempie. Batté quindi le mani e, in risposta alla sua evocazione, apparvero dal niente due servitori avvolti in svolazzanti kimono bianchi e con un copricapo nero, allacciato sotto la gola. Tra le mani, così pallide da apparire quasi trasparenti, recavano un antico servizio da tè che deposero davanti al demone.
    « Qualcosa di caldo, proprio quello che ci vuole! » se ne uscì Yatate, strofinando le mani infreddolite. Rajura gli fece cenno di unirsi a lui. « Sono fantasmi questi? » domandò il medico con curiosità entusiasta, andando a sedersi di fronte al demone e osservando i due servitori che galleggiavano a mezz'aria.
    « No, soltanto spiriti » rispose Rajura, mentre I due servitori prendevano a servire il tè con grazia antica. Jun andò a unirsi a loro, senza alcun timore. Nasti lo seguì, un po' titubante. Bayuken si accoccolò al calore di uno dei bracieri.
    Vedendo gli amici che cercavano di rilassare la tensione, Shû decise di provare a tranquillizzarsi a sua volta. « Cosa facciamo adesso? » chiese.
    « Aspettiamo che tornino Anubisu e Naza » rispose Shuten, passò una mano sulla benda che gli stringeva il braccio ferito e, voltate le spalle al samurai, si avvicinò alla tigre bianca che prese a ronfare tristemente.
    Di nuovo Shû guardò Kayura. Era lei o il Generale dei Demoni redivivo a comandare lì?
    Kayura dovette accorgersi del suo interrogativo. Raddrizzò le spalle esili e mosse un passo verso il samurai. « Quando mi sono accorta di quella presenza estranea che si muoveva nel vostro mondo, ho mandato Shuten e gli altri controllare » disse. « Temevo uno degli Spiriti del Male di Arago fosse riuscito a fuggire dalla sua prigione, ma adesso sappiamo che non si tratta di questo. Quella Entità non viene dalla dimensione in cui ciò che resta dell'Imperatore e dei suoi seguaci sono confinati. »
    « Allora da dove viene? E cosa accidenti è? E cosa vuole da noi? » incalzò Shû.
    « Non lo so » ammise Kayura, « però sono certa che vuole voi cinque, le vostre Gemme del Cuore. Le vostre armature. Quello che non mi aspettavo era che avrebbe cercato di impossessarsi delle vostre persone, questo mi ha sorpresa. Se avessi saputo dell'incubo che vi tormentava, allora forse... forse avrei capito e agito in modo diverso. »
    Shû scosse la testa, incredulo. « Se vuole le nostre armature, perché non ci uccide, semplicemente, e ci strappa le Gemme? »
    « Non è così semplice » mormorò Shuten, come parlasse a se stesso. Nasti gli lanciò uno sguardo da sopra il bordo fumante della sua tazza di tè, ma non disse niente.
    Kayura avanzò ancora verso il Samurai della Terra e aveva in viso un'espressione di rimprovero. « Shû, abbiamo cercato di parlarvi... »
    « Ci avete ingannati » ringhiò Shû. « A voi proprio non piace agire alla luce del sole, vero? Non siete molto cambiati in questo! »
    « Deformazione professionale » rispose candido Rajura, sorbendo il suo tè.
    « Non ascoltarlo! » esclamò Kayura, mentre Shû già si preparava ad aggredire l'avversario di un tempo. « Ho deciso io di agire così, speravo quella entità non si accorgesse di noi. »
    « Non mi interessano le vostre ragioni! Ci avete ingannati e questo mi basta! » urlò Shû. « Avremmo dovuto parlarvi, dite? E come possiamo fidarci di voi? Io non mi fido, e a quanto pare ne ho ben ragione! Ma dici il vero, Kayura, se vi avessimo parlato di quell'incubo, avreste sicuramente capito subito cosa stava succedendo. I tuoi demoni si intendono fin troppo bene di queste vigliaccate! »
    Kayura abbassò la testa e sembrò rannicchiarsi su se stessa. Un silenzio gelido seguì la sfuriata del samurai, e quel silenzio lo fece arrabbiare ancora di più. Voltate le palle ai presenti, Shû attraversò di corsa la stanza, spalancò una delle porte scorrevoli e si precipitò fuori.
    Sorpreso, si scoprì a correre giù per una rampa di scale antincendio di un vecchio palazzo di Tokyo, mentre l'odore acre dello smog della metropoli gli invadeva le narici.


    Cap. IX
    L'intruso


    « Sono arrivato tardi » Anubisu guardò con rabbia il letto vuoto nella stanza di ospedale. Le lenzuola disfatte, gettate a metà sul pavimento.
    Nonostante l'oscurità, gli occhi del demone vedevano alla perfezione e coglievano ogni dettaglio. Nell'osservare quelli che parevano i segni di una colluttazione, Anubisu notò, tra le pieghe delle lenzuola a terra, una siringa. La raccolse e, premuto leggermente lo stantuffo, ne lasciò uscire qualche goccia sul palmo della mano. L'annusò, ma non avvertì nessun odore, nonostante l'acutezza del suo olfatto.
    Anubisu mise in sicurezza l'ago con un cappuccio di plastica, preso dal carrello dei medicinali lì vicino, e infilò la siringa in tasca. Si guardò ancora attorno nel buio. Posseduto o no, Tôma non poteva essersene andato con le sue sole forze. Aveva una gamba spezzata e altre lesioni, inoltre, non aveva con sé la sua Gemma del Cuore per poterne sfruttare i poteri.
    Il demone era certo di questo. Appena entrato nella camera del samurai, il giorno dell'incidente, aveva subito avvertito l'assenza della Gemma. Il perché Tôma non l'avesse con sé poco gli importava saperlo. Forse, si disse, chiunque avesse preso Tôma ancora non aveva messo le mani sulla sua armatura, o forse invece sì. Doveva accertarsene.
    Chiuse gli occhi e lasciò che l'energia della sua Gemma lo circondasse fino a farlo svanire.
    Non vi era una misura di tempo che potesse tenere conto degli istanti di nulla che il demone impiegò a teletrasportarsi dall'ospedale alla casa di Tôma. Accadeva quasi in simultanea, sparire da un luogo e ritrovarsi in un altro. Facile, e micidiale pensò Anubisu, a cui quel modo di spostarsi era sempre piaciuto per la sorpresa e lo sconcerto che provocava nei suoi nemici.
    Comparve nel salotto dell'abitazione del samurai in perfetto silenzio, come un fantasma.
    Un rumore, come di qualcosa che cadeva, attirò subito la sua attenzione. « C'è qualcuno » disse tra sé. Il pensiero di aver trovato il responsabile della scomparsa di Tôma, in cerca dell'Armatura del Cielo, gli attraversò la mente all'istante. La Sfera che condensava l'energia della sua Gemma gli sfavillò tra le mani e, nel tempo di un respiro, la possente armatura del Demone dell'Oscurità lo rivestì.
    Con un colpo dei suoi artigli, Anubisu fece a pezzi la porta che lo separava dalla stanza da cui aveva sentito provenire il rumore. Un urlo terrorizzato fece eco allo schianto del legno che si frantumava. Nel buio Anubisu si sentiva perfettamente a suo agio, i suoi occhi vedevano come di giorno e non ebbero alcuna difficoltà a cogliere il movimento di un'ombra che cercava di nascondersi. Con una mossa fulminea, le fu sopra bloccando l'intruso senza lasciargli via di scampo.
    Si ritrovò a stringere una figura minuta, così fragile che poté avvertire lo scricchiolio delle ossa tra le mani. Due occhi enormi, dilatati da un infinito terrore, lo fissarono da un volto piccolo e tondo, trasparente per il pallore.
    In una frazione di secondo, Anubisu riconobbe l'infermiera di Tôma, e sentì che aveva con sé ciò che lui era venuto a cercare.
    « Cosa ci fai tu qui?! Dov'è Tôma? » ruggì il demone.
    La ragazza urlò e cercò di divincolarsi, in preda al panico. Anubisu avvicinò il viso coperto dall'elmo a quello terrorizzato della ragazza e serrò ancora di più la presa su di lei, consapevole di farle male. « Rispondi! E consegnami la Gemma! » ordinò in un ringhio feroce.
    Il piccolo corpo esile della donna ebbe un sussulto violento e giacque riverso fra le braccia di Anubisu, gli occhi rovesciati nelle orbite.
    « È svenuta, maledizione » imprecò Anubisu. Lasciò cadere la donna sul pavimento in un tonfo impietoso.
    Qualcosa ruzzolò fuori dal pugno allentato della giovane accasciata a terra: una piccola sfera blu, palpitante di un tenue bagliore.
    Anubisu l'afferrò e la guardò reagire al contatto con la sua armatura in una luminosità più intensa, mentre la sua stessa Gemma sembrò muoverglisi nel profondo nel cuore, come a voler salutare la sorella di un tempo.
    « Non mi sbagliavo » mormorò Anubisu. Volse appena gli occhi al movimento della donna che si stava riprendendo ai suoi piedi. Si mosse, per tendere una mano e afferrarla di nuovo, ma al formicolio improvviso dei suoi sensi acuti bloccò il gesto a metà.
    Con un balzo si sottrasse alla pioggia di vetri che lo investì dalla finestra infranta alle sue spalle. Il lampo di luce verde lo accecò per un momento, ma fu rapido a adattarsi alla nuova luminosità. Evitò di un soffio il fendente della Spada della Luce che Seiji, piombato nella stanza, gli vibrò contro.
    Veloce pensò il demone.
    Il secondo colpo gli squarciò il mantello. Troppo veloce
    Un terzo colpo, parato con la sua spada, gli fece male al polso. « Non è possibile! » Anubisu si sorprese ad aver gridato.
    Seiji attaccava senza tregua, costringendolo a ricorrere a tutta la sua forza e abilità per tenergli testa. Vuole la Gemma di Tôma e mi ucciderà per averla realizzò il demone. Indietreggiò sotto l'incalzare degli assalti di Seiji e sentì l'orgoglio bruciare di umiliazione nel dover riconoscere di trovarsi in difficoltà.
    La stanza era ormai completamente devastata, il pavimento cosparso di relitti e polvere d'intonaco. In mezzo al quella distruzione, Anubisu colse il movimento dell'infermiera che si alzava da terra tossendo.
    Non deve sfuggirmi! Respinse un altro affondo di Seiji e si mosse verso la donna.
    L'infermiera nel vederlo avvicinare corse alla finestra e, mentre il samurai bloccava il demone, saltò oltre il davanzale. I vetri rotti le morsero le carni ma lei, atterrata sull'erba del giardino, si dette ugualmente ad una fuga precipitosa tra le case.
    « Dannazione! » imprecò Anubisu. Furente decise di disimpegnarsi da Seiji per raggiungerla. C'erano domande di importanza vitale a cui quella donna doveva rispondere. Non poteva lasciarla scappare.
    Nell'istante stesso in cui concluse questo pensiero, si rese conto di aver commesso un errore. Mi sono distratto...
    L'onda di energia scaturita della lama di Seiji lo centrò in pieno con una rapidità e una violenza tali da lasciare il demone esterrefatto. All'esplodere della scarica di potenza che lo scagliò all'indietro, Anubisu sentì bruciare la parte del viso lasciata scoperta dalla protezione dell'elmo. La parete contro cui venne a urtare, cedette all'impatto e gli rovesciò addosso cumuli di calcinacci.
    Anubisu cercò di muoversi, soffocato dalla polvere e con i polmoni in fiamme per il dolore. Seiji stava caricando la sua spada per il secondo, definitivo attacco. Raccolte le ultime energie, Anubisu riuscì a teletrasportarsi via nell'istante in cui la vampata di energia verde spazzava i resti della casa di Tôma in una esplosione abbacinante.
    La Gemma del Samurai del Cielo era ancora nelle sue mani.


    Tôma non riusciva a capire dove si trovasse. Era disteso su di un piano rigido, ed era legato da lacci robusti che gli stringevano i polsi e le caviglie.
    Intorno a lui c'era solo il buio. L'aria era umida e tiepida; da qualche parte il samurai sentiva provenire uno sgocciolio d'acqua. L'eco che produceva era inquietante, ma gli dava un'idea della vastità dell'ambiente.
    « Una grotta, o qualcosa di simile » si disse Tôma. Strattonò ancora una volta i lacci che lo imprigionavano, nell'ennesimo tentativo di liberarsi, ma al dolore delle ferite che lo torturava ad ogni movimento dovette desistere.
    Fatica sprecata, Tôma amico mio. La voce beffarda suonò nella testa del giovane samurai.
    « Chi sei? Mostrati! » gridò Tôma, ma si zittì subito. Perché stava urlando? Quella cosa era dentro di lui, conosceva ogni suo pensiero. « Questo è un incubo » gemette.
    « Un incubo? » la voce parve avere un eco fuori dalla sua mente, come stesse parlando dall'esterno e contemporaneamente nel cranio del giovane. « Sì, lo è. Ma non temere, finirà presto. Naturalmente, il bello deve ancora venire. »
    Una vampa di luce azzurrognola bruciò fredda nel buio, davanti agli occhi di Tôma. Terrificato, al suo inquietante chiarore, il ragazzo riconobbe i volti di Ryo, Seiji e Shin che lo guardavano, gli occhi gelidi e inespressivi fissi su di lui.
    « La tua yoroi, devo averla! » I tre giovani samurai avevano parlato assieme, con la stessa voce inumana che risuonava nel suo cervello in una eco insopportabile.
    Tôma non poté impedirsi di urlare.


    Cap. X

    Voci nell'oscurità


    Anubisu si materializzò nella stanza dell'antico palazzo appartenuto a Arago e crollò rumorosamente sulle ginocchia, facendo fuggire i servitori eterei di Rajura.
    Il Demone dell'Illusione sollevò la testa a guardarlo e si irrigidì, allarmato, sul punto di alzarsi. Shuten si mosse per primo, ma si fermò ad afferrare al volo la sfera luminosa che Anubisu gli lanciò con un movimento rapido del polso.
    Nasti gettò un grido nel riconoscere la Gemma di Tôma palpitare tra le dita del demone. Jun lasciò cadere la sua tazza di tè, mentre Yatate guardava esterrefatto l'armatura danneggiata di Anubisu, impiastrata di polvere e sangue.
    « Anubisu, dov'è Toma? » esclamò Kayura.
    « Lo avevano già portato via » rispose il Demone dell'Oscurità, sfilando l'elmo pesante dal capo. Passò il dorso della mano guantata sulle labbra a ripulire il rivoletto di sangue che gli scendeva da un angolo della bocca. Le bruciature sul viso gli fecero male al contatto. « Non l'ho trovato, ma sono riuscito a recuperare la sua Gemma. »
    « Ho trovato qualcosa anch'io » Naza apparve in un rapido bagliore di luce, accanto a Nasti che sussultò. Il Demone del Veleno gettò uno sguardo a Anubisu, come a valutare le sue condizioni, mentre tendeva a Nasti un foglio di carta, coperto da una scrittura fitta ed elegante. « Troppo tardi» disse poi, la fronte pallida aggrottata.
    « Questa è la calligrafia di Shin... » mormorò Nasti, guardando sgomenta il foglio che il demone le aveva consegnato. Scorse poche righe, poi lasciò cadere il pezzo di carta e affondò le mani nei capelli castani. « Non è vero, non è possibile... » gemette e si ripiegò su se stessa, come l'avessero colpita allo stomaco.
    Kayura corse a sorreggerla. Anubisu guardò Rajura e Shuten e, senza bisogno che Naza parlasse, comprese che, come lui, anche loro avevano già intuito l'accaduto: avevano perso Shin.
    Poi si rese conto di un'altra cosa, nello stesso momento in cui Shuten scattava verso una delle porte scorrevoli aperta sul lato della stanza.
    Rajura e Naza lo seguirono all'istante. Bayuken corse loro dietro, incurante dei richiami di Jun.
    Anubisu digrignò i denti nello sforzo di rimettersi in piedi, senza successo. « Shû. Dov'è Shû? » domandò, temendo già la risposta.
    Yatate tese un dito a indicare la direzione in cui i tre demoni e la tigre si erano appena precipitati.
    Anubisu si lasciò cadere seduto a terra. « Lo hanno lasciato solo, razza di idioti » ringhiò, affondando la fronte in una mano.


    Shû sentì che stava arrivando. Terrore e rabbia lo travolsero assieme alla consapevolezza che non avrebbe potuto sfuggirgli, sicuramente non da solo, lì su quelle scale che non si decideva a discendere né a risalire.
    Capiva di essere stato uno stupido a scappare via a quel modo, come un ragazzino. Così si era esposto come facile preda a quell'essere, lontano dall'unico mezzo di salvezza che conosceva: il bastone di Kaousu.
    D'un tratto ebbe l'impressione che qualcuno lo stesse chiamando. Shuten? Gli era sembrato di udire la sua voce, ma ora sentiva solo qualcuno che rideva. Era un suono osceno che gli rimbombava nel cranio, e fuori.
    « Sono io che rido così! » realizzò con orrore e credette di star urlando, ma quello che usciva dalla sua gola era solo un riso folle. Si afferrò le tempie con entrambe le mani e sbatté con forza la testa contro il muro, una, due, più volte.
    « Non cedo! Non cedo! » Il sangue gli colò sulla faccia.
    Shû sentì l'entità retrocedere, furiosa, dalla sua coscienza. « Non ti piace il dolore eh, maledetto schifoso! » La mano sinistra rotta in un pugno violento contro il muro scrostato. « Te lo faccio trovare a pezzi questo corpo, carogna! »
    L'entità lo attaccò furibonda contorcendogli l'anima. C'era qualcuno ora con lui. Chi era? Lo stavano afferrando. No, non si sarebbe lasciato catturare! La coscienza di Shû scivolò fuori da lui stesso. Da qualche parte c'era il suo corpo, che si dibatteva nelle convulsioni, e qualcuno che lo teneva e lo stava trasportando da qualche parte. Su per delle scale? E quello non era il ruggito di Bayuken?
    « Resisti! »
    Quella voce... « Ryo! »
    « Non cedere Shû! »
    « Seiji, dove siete? Voglio venire con voi! »
    « No! Ricorda questo: il dolore inferto a uno di noi si ripercuote su tutti gli altri fintanto che ci possiede. Ricordalo! Colpisci uno e ci colpirai tutti! L'Armatura Bianca, Shû, è l'Armatura Bianca che vuole, ma non deve averla! »
    « Shin! Shin resta con me! Non andare via, maledizione! »
    sto urlando. Il mio corpo urla, cosa mi trattiene ancora a esso?
    Dolore. Dolore dappertutto.
    Mi sto dibattendo come un ossesso. C'è qualcuno intorno a me. Chi siete?
    Lentamente Shû riprese possesso di se stesso, le membra presero a tremargli come dopo uno sforzo violento. Aprì gli occhi e sputò qualcosa che aveva tra i denti.
    « Temevamo ti mordessi la lingua. »
    « Kayura... » Shû sentì le mani della ragazza sulle guance in un contatto morbido e caldo. « Gli sono sfuggito ancora » mormorò con voce rauca.
    « Dannazione, moccioso, abbiamo dovuto tenerti in tre! Shuten, Naza e io! »
    « Rajura... » Shû mise a fuoco il viso del Demone dell'Illusione chino su di lui. « Rajura, sono contento di vederti. »
    Il demone lo fissò con l'unico occhio che gli restava dopo un'antica ferita al volto. « È impazzito » disse infine e si tirò indietro, sparendo dal campo visivo del samurai. Al suo posto apparve Yatate, sudato e scomposto. Il medico sollevò una palpebra a Shû, per controllare la reazione della pupilla, ma questi scosse la testa e girò intorno lo sguardo. Colse la visone di Naza, in ginocchio accanto a lui e intento a esaminargli la mano rotta. Ma non era Naza che Shû cercava. « Shuten, dove accidenti sei? » sbraitò.
    « Dietro di te. »
    Shû inarcò il collo per guardarlo dalla posizione distesa a terra in cui si trovava. « Ho sentito Shin, Ryo e Seiji, ma non Toma, non l'ha preso » si accorse che Shuten ora guardava qualcuno alla sua destra con espressione interrogativa. Perché diavolo si distraeva? E perché lui stesso stava riferendo a Shuten anziché a Kayura ciò che aveva saputo? Ci avrebbe pensato più tardi. « Ascoltami! » urlò, e tese il braccio all'indietro per afferrarlo. « Quando mi sono fatto male, quella cosa si è come ritirata e Shin mi ha detto che il dolore inferto a uno si ripercuote su tutti. »
    « Ha portato via Tôma, ma lo ha risparimato per non indebolire gli altri. »
    Alla voce affranta di Nasti, Shû sentì gelare il sangue nelle vene.
    « Ma allora... anche Tôma è nelle sue mani. » Delusione e sconforto scossero il suo animo. Aveva creduto che almeno lui fosse salvo. « Sono rimasto solo io... » gemette. Chiuse gli occhi e si abbandonò lì disteso sul futon come se le forze l'avesero abbandonato. Subito però si riscosse e serrò il pugno della mano sana in un gesto di rabbia disperata. « Sono rimasto solo io, ma non avrà l'Armatura Bianca fintanto che non avrà la mia! » esclamò e riaprì gli occhi bagnati di lacrime.
    « Non gli manca solo la tua » disse Shuten e sollevò la Sfera Blu di Tôma, in modo che Shu potesse vederla.


    Cap. XI

    La lettera


    Seduto a terra, le gambe incrociate, Shû mosse la mano fasciata e la guardò. Faceva male, ma non come si sarebbe aspettato.
    Era stato Naza a sistemargliela, così come gli aveva medicato e bendato la fronte escoriata, mentre Yatate cercava di occuparsi delle bruciature di Anubisu. Ma se Shû, nonostante lo sconcerto, si era lasciato curare da Naza senza protestare, il Demone dell'Oscurità non era invece stato facile da trattare.
    A quanto pareva non gli piaceva farsi toccare. Svanita l'armatura, di malavoglia Anubisu aveva lasciato che i servitori fluttuanti gli togliessero la camicia e, mentre Yatate lo curava, lanciava al povero dottore delle occhiate micidiali, ogni qualvolta questi gli faceva male.
    Alla fine, il piccolo medico si era scostato da lui tremando di paura, ma lo aveva medicato con meticolosità, dando prova di un grande coraggio. O forse solo di testarda devozione al lavoro, si era detto Shû, mentre guardava Yatate che sudava ad ogni movimento brusco di Anubisu e al guizzare dei suoi muscoli, che sembravano fasci di acciaio tesi sotto la pelle abbronzata.
    Shû sospirò e depose la mano bendata in grembo. Era stato Seiji a ferire Anubisu, come prima Ryo aveva ferito Shuten. Gli sembrava di essere tornato ai giorni della guerra contro Arago, quando i quattro demoni erano i suoi guerrieri, al servizio del Male, e loro cinque costretti a combatterli. Solo che adesso lui si trovava dalla parte sbagliata.
    Alzò la testa a guardare Nasti, accoccolata sul futon con un foglio di carta stretto tra le mani, il viso pallido e teso bagnato di lacrime. Jun, che le stava vicino, si avvide del suo sguardo e si alzò per venire sedersi accanto a lui.
    « Come stai? » domandò il ragazzino.
    « Meglio » rispose Shû. Si sforzò di sorridere. « Sono sorpreso, sembra che Naza sia tanto abile a rimettere a posto le ossa della gente, quanto lo è a romperle. »
    Come evocato, il Demone del Veleno comparve dal nulla, in piedi vicino a una lanterna accesa. Indossava la veste che chiamavano protoarmatura. La protezione leggera sui tono del verde gli aderiva al corpo snello e nervoso come una seconda pelle. In mano aveva la siringa che Anubisu gli aveva consegnato al suo ritorno.
    Naza lanciò a Shû uno sguardo di traverso. « Di solito alla gente preferisco romperle, le ossa » disse con voce atona.
    « Comunque... ehm...» balbettò Shû a disagio, « grazie. »
    Il demone lo ignorò.
    « Allora, hai capito cos'è quella roba? » domandò Anubisu, con la camicia insanguinata gettata sulle spalle. Infastidito, prese a grattare una delle medicazioni sul viso, Incurante del pigolio di protesta di Yatate, seduto vicino ad un braciere dove un servitore fluttuante gli stava versando del sakè caldo.
    Shû fece cenno al servitore di portarne anche a lui. Poco gli importava se, come narrava la leggenda, chi beveva i liquori o si nutriva dei cibi del mondo degli spiriti finiva per sempre prigioniero di esso. Lui era già prigioniero, si disse osservando la figura eterea dal sorriso misterioso che gli serviva il liquore. Schiaffeggiò però leggermente la mano di Jun, tesa a prendere il bicchiere che l'essere immateriale adesso porgeva al ragazzino. « Niente alcolici ai minorenni » sentenziò severo davanti al broncio di Jun.
    Il tremolio delle fiamme dei bracieri ai lati opposti della stanza lo informò che Shuten e Rajura erano riapparsi, dopo che erano andati via, qualche tempo prima a fare cosa Shû non aveva idea. Gli suscitò una strana impressione vedere Bayuken al fianco del generale di Arago, docile e tranquilla così come solitamente stava con Ryo.
    A quanto pareva, si disse, non era l'unico ad essersi ritrovato dalla parte sbagliata, solo che la tigre bianca pareva perfettamente a suo agio, al contrario di lui. Sbirciò Shuten e Rajura e, al vederli in armatura, sebbene privi di elmo, la mano sana accennò il gesto istintivo di richiamare la sua yoroi.
    « Si tratta di un anestetico » rispose infine Naza alla domanda di Anubisu, mentre il fruscio di una delle eleganti porte scorrevoli annunciava il ritorno anche di Kayura.
    Kayura avanzò nella stanza con il suo passo leggero, accompagnata dal tintinnare dorato degli anelli sulla sommità dello Shakujo, il bastone magico di Kaosu che teneva stretto nella mano. Aveva indossato un kimono dai colori tenui con semplici disegni floreali e raccolto i capelli in una acconciatura intrecciata sul capo. Niente di lei ricordava ciò che era stata ed era così bella che Shû non riusciva a staccarle gli occhi di dosso.
    Il samurai sussultò al dolore improvviso del pizzicotto che Jun gli assestò su di una coscia. L'incantesimo si ruppe del tutto, nel vedere Shuten e Rajura che affiancavano kayura e venivano avanti assieme a lei verso il centro della sala, come a scortarla.
    In mezzo a quei due, pensò Shû, Kayura sembrava una fragile bambola di porcellana tra le imponenti statue di bronzo di antichi guerrieri.
    L'unico a restare incantato fu Yatate che continuò a guardare Kayura attraverso gli occhiali appannati dai vapori del sakè bollente, la bocca semiaperta in una espressione sognante.
    « Un anestetico? » domandò Kayura, sollevando gli occhi su Naza.
    Il Demone del Veleno annuì e tese la mano a mostrarle la siringa. L'ago mandò un bagliore sottile alla luce della lanterna, mentre il liquido nel contenitore di plastica sembrò farsi iridescente tra le dita di Naza. « Esattamente, e in quantità e concentrazione sufficienti da stendere persino uno di noi » affermò girando lo sguardo su Anubisu, Shuten e Rajura.
    La vista del congegno medico sembrò riscuotere Yatate. « Lei come ha fatto a capirlo? Avete un laboratorio di analisi qui? » domandò il medico, la voce un po' impastata dal troppo sakè.
    Naza gli rivolse un sorriso ironico a labbra tese, senza rispondere.
    « L'ho trovata nella stanza di Tôma, immagino fosse per lui » disse Anubisu, infilando la camicia. « A quanto pare, volevano essere certi di renderlo inoffensivo. »
    « E di non fargli sentire dolore, in modo da evitare che indebolisse gli altri, nel momento in cui quella Entità ne avrebbe preso possesso » aggiunse Shû, rammentando le parole di Shin.
    Nasti si mosse e alzò finalmente la testa. Asciugò gli occhi e si fece attenta.
    « Ha degli umani al suo servizio. Come vi ho già detto, ho trovato l'infermiera di Tôma a casa sua che cercava di prendere la Gemma del Cielo. L'avevo catturata, quando Seiji mi ha attaccato » disse ancora Anubisu. I suoi occhi corrucciati corsero a Shuten. « Quando ho visto come ti aveva conciato Ryo, ho pensato che ti fossi rammollito. »
    Shuten lo guardò torvo. « Ora hai cambiato idea? »
    « Per niente, tu sei rammollito » rispose Anubisu muovendo un gesto sprezzante con la mano che strappò un sogghigno a Rajura. « Devo però ammettere che quella Entità ha dotato i samurai di una potenza e una crudeltà quali non avevano mai posseduto prima »
    « A proposito... » pigolò Yatate. Sbiancò quando tutti si girarono verso di lui. Schiarì la voce e si rivolse a Shuten con una timida aria di disapprovazione. «Lei... lei non dovrebbe andarsene in giro, ma stare fermo a riposare. Ha perso molto sangue e la sua ferita potrebbe riaprirsi. »
    Shuten lo guardò come si rammentasse di lui solo in quel momento. « Sto bene, grazie » rispose e si girò verso Nasti, che lo guardò a sua volta, restando in silenzio.
    Yatate emise un debole suono di protesta che voleva per essere l'inizio di un discorso, ma, alla seconda occhiata aggrottata del demone giratosi di nuovo verso di lui, desistette e infilò il naso nel bicchiere che il solito servitore si premurava riempire di sakè, appena il dottore lo svuotava.
    Shû vide Kayura rivolgere a Shuten uno sguardo di rimprovero a cui il demone rispose con una espressione interrogativa, come a chiederle cosa avesse fatto di sbagliato. Il samurai scosse piano la testa e imitò Yatate nel tirare giù un lungo sorso di sakè, ignorando il borbottio di riprovazione di Jun.
    « Yatate-san » chiamò Kayura con voce gentile. Il dottore alzò il capo di scatto, tanto che gli occhiali gli scivolarono dal naso. « Yatate-san, volevo ringraziarla per aver curato Shuten e Anubisu. Vorrei anche chiederle perdono, a causa nostra ora lei si trova in grave pericolo. Voglia accettare le mie scuse e la promessa che la proteggeremo con tutte le nostre forze. » Si inchinò, lasciando scivolare le mani unite sulla seta del kimono in una movimento aggraziato.
    Il dottore spalancò la bocca ma non riuscì a pronunciare parola. Si alzò però in piedi, barcollando, e si inchinò a sua volta con tanta enfasi che quasi ruzzolò in avanti. « Do...dovere » balbettò, « non vi scusate, principessa. Voi siete una principessa, vero? Ecco... io... Potervi essere utile è per me un grande onore e... ehm... un vero piacere. »
    Kayura sorrise. I quattro demoni però guardarono l'ometto, rosso di imbarazzo e di sakè, con un'espressione a metà tra il divertito e l'ironico che poco si accordava alle parole di scusa di lei. Shû volle comunque sperare che almeno fossero disposti a rispettare la sua promessa.
    « Nasti » chiamò Kayura avvicinandosi alla ragazza. Shuten e Rajura restarono dov'erano. Gli occhi attenti di Bayuken seguirono ogni suo movimento, mentre lei si inginocchiava davanti a Nasti nel fruscio del suo kimono. « Nasti, vuoi per favore leggerci la lettera che Naza ha trovato a casa di Shin? So che è indirizzata a te, ma ti sarei molto grata se tu volessi dirci cosa ti ha scritto. »
    Nasti dispiegò il foglio che teneva stretto tra le mani. Di nuovo guardò Shuten e questi le mosse un lieve cenno di invito. « Temo non ci dirà molto di più di quanto ormai già non sappiamo » disse la ragazza, ma chinò gli occhi sulla lettera e cominciò a leggere.
    Cara Nasti, so che leggerai queste righe in cerca di una spiegazione a quanto accaduto. Posso solo dirti che qualcosa si è insinuato in noi, lentamente, fino a renderci del tutto succubi. Dispero che qualcuno di noi cinque riesca a sfuggire a questo orrore.
    La voce di Nasti tremò e lei dovette interrompersi. con le lacrime che le annebbiavano la vista, riprese a leggere nel silenzio teso dei presenti.
    L'incantesimo si è ripetuto, riconosco la tensione del Male nell'aria. Non so se sia Arago che sta tentando di tornare, e non so se sperare che sia così o temere invece un nuovo, più spaventoso nemico. Questa Entità, Nasti, io non riesco a capire che cosa sia. Ho paura. Quando ci avrà catturato tutti potrà avere l'Armatura Bianca e questo mi terrorizza. Kayura e gli altri sono tornati, lo so. Rajura si è divertito a prenderci in giro, e vorrei rompergli il naso per questo, ma ormai ha poca importanza. Dovranno combatterci, Nasti. Lascia che ci uccidano se possono. La morte è la nostra unica via di scampo.
    Nasti ripiegò il foglio e alzò il viso. Non piangeva più, ma aveva negli occhi la preghiera di poter ricevere una smentita alle ultime, terribili parole di Shin. « Ditemi che c'è una alternativa » disse con un tono fermo più disperato di qualsiasi grido.
    Kayura depose lo Shakujo di lato e le prese le mani tra le sue. « Ho meditato a lungo, questa sera, per trovare una risposta. Ho meditato e pregato mentre Naza esaminava quella medicina e il dottor Yatate curava Anubisu. E ancora, mentre Shuten e Rajura sorvegliavano i nostri confini. Quella Entità là fuori sa dove siamo, mentre noi non abbiamo idea di dove essa si nasconda e tenga prigionieri Ryo, Seiji, Shin e Tôma » mormorò. Si volse verso Jun e con un cenno del capo lo invitò ad avvicinarsi. Il ragazzo subito obbedì e corse a inginocchiarsi davanti a lei. « Ho pregato per una speranza, e forse sono stata esaudita. »
    Tese una mano a sfiorare con le dita il Gioiello della Vita al collo di Jun. Non ebbe bisogno di pronunciare una sola parola di più, il ragazzo sfilò l'amuleto e glielo porse, chinando il capo con deferenza.


    Cap. XII

    L'ambizione del male


    Nell'alone freddo irradiato dalla vampa azzurra che ardeva nelle tenebre, Ryo, Seiji e Shin erano caduti a terra in preda a violente convulsioni. Davanti allo sguardo inorridito di Tôma, si erano dibattuti, urlando per alcuni minuti infiniti, adesso giacevano immobili, a occhi chiusi, i volti pallidi contratti in una espressione di sofferenza.
    Finalmente Ryo si mosse. Sollevò la testa e girò lo sguardo attorno a sé, confuso. Tôma ebbe un sussulto. Negli occhi appannati del samurai, che ora lo guardavano come da una enorme distanza, riconobbe il suo amico di nuovo padrone di se stesso.
    « Ryo! » chiamò Tôma, mentre strattonava i lacci con tanta forza da lacerarsi la pelle dei polsi.
    « Tôma... Tôma, che cosa ho fatto? » farfugliò Ryo, alzandosi sulle ginocchia.
    Seiji e Shin aprirono gli occhi. Con un gemito, il Samurai della Luce si rovesciò sulla schiena. Shin rotolò sul fianco. I due si guardarono l'un l'altro, confusi.
    « Amici miei! » girdò Tôma, felice e terrorizzato al contempo. Ryo e gli altri erano liberi adesso, ma non poteva illudersi: quella cosa sarebbe tornata, e lui giaceva lì, impotente.
    « Shû... non è riuscito a prenderlo. » Shin si alzò in piedi barcollando. « Almeno Shû ce l'ha fatta. »
    « Se c'è riuscito lui, potete farcela anche voi! » gridò Tôma, al culmine della disperazione. « Reagite, maledizione! »
    Shin lo guardò con i suoi limpidi occhi chiari, lentamente la loro espressione prese a mutare fino a che divennero duri, estranei e crudeli.
    « No, Shin » gemette Tôma.
    « Ormai è troppo tardi » mormorò Seiji. Le sue spalle tremarono prima di irrigidirsi. Il Samurai della Luce si sollevò da terra come un automa.
    « Basta! Che crudeltà è questa? Lasciali stare, mostro dannato! » urlò Tôma, strattonando i lacci che lo imprigionavano con tutte le sue forze, senza curarsi del dolore e del sangue che gli colava dai polsi e dalla caviglia lacerata.
    Dov'è finita la tua famosa flemma, samurai? Di nuovo quella voce nella mente. È tutto inutile, vi prendo e vi lascio a mio piacimento. Shû mi è sfuggito solo momentaneamente. Conosco ogni corda del suo animo, è già mio come lo siete tutti voi!
    Ryo scattò in piedi, la testa stretta tra le mani. « Vattene! Cosa mi hai fatto fare? Perché? Perché? » urlò con voce rotta dall'ira e dalle lacrime.
    Tôma lo fissò sgomento.
    Ma povero Ryo. La Voce estranea suonò Canzonatoria nel cranio del samurai prigioniero. Vedi, ce l'ha con me perché l'ho costretto a colpire quel maledetto demone. Ma in fondo lui è stato contento di farlo.
    « Non è vero! » ruggì Ryo, schiaffeggiando l'aria con la mano tesa, come a voler abbattere un nemico invisibile.
    L'angoscia del suo grido, fece gelare il sangue a Tôma. Solo in quell'istante il Samurai del Cielo si avvide che all'amico mancava una delle sue due spade. « Ryo, chi hai colpito? Cosa hai fatto? »
    « Tôma » Ryo lo guardò disperato. Si mosse verso di lui e strappò uno dei lacci che trattenevano il compagno con la forza amplificata dall'armatura. « Tôma non credergli, io non volevo farlo. »
    Tôma si torse dolorosamente. La gamba ferita mandò una fitta feroce al suo movimento, ma lui riuscì a raddrizzarsi di lato e, con la mano libera, slegò l'altro polso. Serrò i denti, lottando contro il dolore, e si sollevò seduto. Seiji e Shin lo fissavano, immobili, i volti pietrificati in maschere prive di ogni espressione.
    « Ti credo, Ryo. Ma dimmi: chi hai colpito? » domandò il samurai, tendendo una mano a stringere il braccio dell'amico. Non aveva intenzione di tentare la fuga, sapeva che sarebbe stato inutile. L'Entità si stava divertendo, per essa erano come giocattoli. Non sarò la sua marionetta pensò.
    Se non vuoi giocare, allora smetto anch'io sussurrò cattiva la Voce nella sua mente
    Gli occhi di Ryo divennero improvvisamente gelidi. Con uno scatto il samurai afferrò la gola di Tôma serrandola in una morsa soffocante. La Voce proruppe dalle sue labbra tese in un ghigno crudele. « Lo vuoi sapere? Ho colpito Shuten, quel traditore! Mi ha stupito il ritrovarmelo davanti, ma ne sono quasi contento: è stato un piacere far scorrere il suo sangue dannato. »
    « Non ti credo! » gracchiò Tôma, mentre lottava per respirare.
    « No? Vuoi che ti faccia raccontare da Ryo come è andata? Vuoi che il tuo amico ti racconti di come lo ha lasciato avvicinare, per poi calargli addosso le sue lame? » insisté l'Entità nel corpo del Samurai del Fuoco.
    « Semttila di torturarlo! » rantolò Tôma.
    La mano di Ryo lasciò la presa e Tôma ricadde sull'assito cui era legato, tossendo quasi soffocato.
    Ryo si scostò e prese a muovere passi nervosi, avanti indietro, borbottando tra sé. « Credevo fosse stata Kayura a riportarlo indietro, ma poi ho visto il Gioiello della Vita al collo di quel marmocchio. Non lo aveva lei, dunque come ha fatto quel demonio a tornare in vita? Comincio a dubitare fosse morto davvero. »
    Tôma distolse il volto, per non mostrare all'Entità il nuovo sgomento che lo aveva colto nel sentirgli dire che aveva visto Jun. La risata cattiva di Ryo lo informò dell'inutilità del suo tentativo.
    « Non avere paura per il tuo amichetto, non mi importa niente di lui, come non mi importa della ragazza. Vuoi sapere dove sono? » domandò l'Entità fermando il suo passeggiare a vuoto. La mano di Ryo afferrò il mento di Tôma, costringendo il giovane a voltarsi. « Sono con quella strega di Kayura e i suoi amici in quello che era l'impero di Arago. Stanno proteggendo Shû. Ridicolo, vero? Ma la cosa più ridicola è che si credono al sicuro, non sanno che io posso raggiungerli quando voglio, ovunque vadano a nascondersi. Non c'è angolo o dimensione in cui io non sia in grado di scovarli! »
    Tôma fissò le iridi azzurre di Ryo, cercando lo sguardo del suo nemico. « Chi sei? Dimmi il tuo nome. »
    Ryo lo lasciò andare e si fece indietro. « Io sono colui che vi annienterà tutti, a cominciare dai demoni addomesticati di Kayura venuti a intralciarmi! Sono molto fastidiosi quei quattro, non lo pensi anche tu? »
    Tôma serrò le palpebre e si tappò le orecchie. L'Entità lo stava facendo di nuovo: Ryo, Seiji e Shin che parlavano assieme con quella voce che udiva anche nella testa.
    « Rajura vi ha presi per il naso, ma è stato bravo. Non mi ero accorto di lui finché ho preso possesso di Ryo, è stato allora che ho capito che erano tornati. Tu però non darti pensiero di loro, li annienterò tutti, uno alla volta. Li annienterò assieme alle loro armature maledette. Sarà un bene per l'umanità. E tu vuoi il bene dell'umanità, non è vero, nobile samurai? »
    Tôma si costrinse a riaprire gli occhi. « Non sei uno sgherro di Arago » realizzò, « se distruggi quelle armature, non potrai far tornare l'Imperatore! »
    Ryo afferrò con violenza il giovane per le spalle e sollevarlo come una piuma, fino a che i loro volti furono a pochi centimetri l'uno dall'altro. « Bruci Arago all'inferno con tutta la sua corte di anime dannate! » ruggì l'Entità in una unica voce che prorompeva dalle gole di Ryo, Seiji e Shin, in un'eco assordante nel cranio di Tôma « Io voglio l'armatura bianca, mi piace e la voglio! »
    « Chi sei?! » urlò Tôma serrando le dita sul pettorale rosso dell'Armatura del Fuoco in un gesto di rabbia disperata. Il suo grido si trasformò in un rantolo di agonia, quando la destra di Ryo si stese sul suo torace e una energia rovente parve penetrargli la carne e le ossa per bruciargli il cuore in una unica fiamma.
    « Io sono Uwan. Sarò il nuovo Imperatore Splendente, e vi avrò tutti. Dov'è la tua Gemma, Tenku no Tôma? »


    Edited by Farangis - 7/4/2018, 20:28
     
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    Grazie RyoSanada, mi fa piacere che l'inizio ti sia piaciuto. Non so bene come fare per inserire gli altri capitoli, la FF è un po'lunga e non vorrei "intasare" la sezione 😂

    Seguendo l'indicazione di RyoSanada, proseguo qui.

    Cap. XIII

    Terrore e speranza

    Silenziosa, Nasti scivolò fuori da sotto le lenzuola e si sollevò seduta sul morbido futon steso sul pavimento di legno lucido. Volse lo sguardo nella direzione da cui sentiva giungere il suono soffocato, raspante e gutturale, che si ripeteva intermittente e sembrava arrivare da qualche parte, fuori dalla camera.
    Nella penombra rotta solo dal lieve bagliore di una lanterna velata, appesa al soffitto di travi dipinte, gli occhi di Bayuken brillarono di un riflesso dorato. Nasti portò un dito alle labbra, a quietare il mugolio interrogativo della tigre.
    Jun profondamente addormentato, avvolto nella sua coperta, la schiena contro il corpo possente dell'animale, si mosse e borbottò qualcosa nel sonno. Nasti lo guardò ed ebbe un sorriso triste, invidiando la capacità del ragazzino ad accettare quella sorta di incubo che si ripeteva, e di nuovo li inghiottiva.
    La ragazza sospirò. Per lei, purtroppo, non era così facile.
    Si alzò in piedi, scalza sull'assito del pavimento. Aveva indosso solo una vestaglia di seta chiara e rabbrividì di freddo. Prese una coperta dal giaciglio che aveva appena lasciato e la gettò sulle spalle.
    Bayuken emise una specie di miagolio basso e rizzò le orecchie.
    Nasti mosse una mano a indicarle di restare buona, lì con Jun, e si girò per uscire. Subito la porta scorrevole della camera le si aprì davanti da sola, in un fruscio leggero facendola sussultare di spavento.
    C'è da diventare pazzi in questo posto pensò la ragazza e represse un gemito quando, appena ebbe messo piede nel corridoio buio, una serie di lanterne si accese in un sospiro sibilante a illuminare il cammino di un bagliore rossastro.
    Nasti strinse addosso la coperta e si avviò nel corridoio, seguendo il suono che si ripeteva incessante, intervallato adesso da un specie di gorgoglio. Percorsi pochi passi, la ragazza si girò verso una delle pareti scorrevoli poste lungo un lato del corridoio. Il pannello era rimasto semiaperto e una luce fioca filtrava attraverso lo spiraglio. Nasti sbirciò all'interno, già sapendo cosa avrebbe trovato.
    Nella camera, in tutto simile a quella che lei aveva appena lasciato, Shû e il dottor Yatate russavano sonoramente, riversi a terra in pose scomposte, le vestaglie in disordine, tra coperte arruffate e bicchieri di sakè svuotati. Qua e là, ciotole, piatti e vassoi con avanzi di cibo smozzicati. Due servitori eterei galleggiavano pazientemente intorno ai due uomini, come in attesa che si svegliassero e svuotassero di nuovo i bicchieri rimasti dritti, da loro doviziosamente riempiti.
    Nasti storse il naso, ma poi ci ripensò. In una situazione diversa, si disse, avrebbe forse avuto diritto di biasimare Shû e il dottore, ma adesso, proprio non se la sentiva. Non era da Shû lasciarsi andare così, ma forse quello era l'unico modo che aveva trovato per poter trovare almeno un po' di sollievo. In quanto al dottor Yatate, l'alternativa per lui probabilmente sarebbe stata solo quella di impazzire.
    D'un tratto Nasti ebbe la tentazione di chiamare uno di quei cosi svolazzanti e farsi versare a sua volta abbastanza sakè da tornare a letto stordita. In fondo, pensò, Shû e il dottore avevano fatto la scelta più saggia, e poi cosa ci sarebbe stato di male? Nessuno l'avrebbe giudicata.
    I due servitori sembrarono udire i suoi pensieri e si precipitarono in volo da lei, tutti contenti. Uno con un bicchiere teso e l'altro con la piccola caraffa fumante vapori di quel sakè che sembrava non finire mai. Nasti sussultò riscuotendosi e si tirò indietro di scatto, mentre chiudeva loro la porta scorrevole in faccia. Quindi si allontanò, recando negli occhi la visione del Gioiello della Vita che brillava al collo di Shû.
    Arrabbiata con se stessa per aver quasi ceduto alla voglia di cercare conforto in fondo a un bicchiere, Nasti percorse il corridoio a passo deciso, sempre più innervosita dalle lanterne che continuavano ad accenderglisi davanti e dalle strane ombre, che vedeva correre sul soffitto senza che lei riuscisse a identificare cosa accidenti fossero. Ma forse era meglio così, si disse esasperata.
    Con la fastidiosa sensazione di avere mille occhi invisibili puntati addosso, Nasti si girò di scatto verso una grande parete scorrevole alla sua sinistra. Subito questa si spalancò, in uno scricchiolio di legno che le graffiò l'anima come un correre di artigli sul vetro.
    Nasti attraversò la soglia quasi di corsa e si ritrovò all'esterno, su di una ampia terrazza aperta, protesa sul vuoto buio della notte. Il vento freddo le frustò il viso e le morse la pelle sotto la vestaglia leggera. La ragazza indietreggiò di un passo, ma poi si avvolse stretta nella coperta e tornò ad avanzare, fino al parapetto di assi incrociate ad arte della terrazza, e guardò il mondo che la circondava.
    Lo Yôja-Kai, il mondo dei demoni.
    Ovunque attorno a lei la tenebra della notte era rischiarata da luci tremolanti di lanterne. I loro bagliori illuminavano a tratti le grandi finestre del palazzo immenso in cui lei si trovava, facendolo apparire come la visione di sogno di una delle illustrazioni fantastiche che tante volte ella aveva ammirato da bambina, con timore e reverenza, sui libri di antiche leggende giapponesi di suo nonno.
    Quello non era più il tetro palazzo di Arago, freddo e crudele dei sui ricordi. Appariva invece luminoso e persino, in qualche modo, accogliente. Caldo delle luci dorate e dei fuochi delle fiaccole accese sulle sue mura, era vivo di mille, strane presenze dalle forme più bizzarre. L'edificio fermo nel tempo aveva mantenuto però la stessa mole imponente e torreggiante, dagli ampi tetti spioventi con le punte rivolte al cielo, dove lune ultraterrene brillavano irreali, sopra la vertiginosa guglia del palazzo svettante verso l'infinito.
    Nasti contò tre globi occhieggiare di tra le nubi in fuga sul mare di quelle che parevano stelle, ma sapeva che erano di più. Aveva già visto quelle lune. Allora però il cielo era come sporco, dipinto di una luce giallastra, screziato da nuvole simili a laidi stracci sfilacciati e che sembravano gonfie di pioggia velenosa. Odio e paura erano ovunque, nell'aria, nell'acqua, nella terra, mentre adesso l'atmosfera era limpida e serena, profumata della resina di boschi distesi a coprire morbide gobbe di colline, che non avrebbero dovuto esserci.
    Guidata dai ricordi spaventosi che, nonostante tutto, quel posto le evocava, Nasti cercò nel buio le sagome delle torri che Arago aveva fatto costruire per imprigionare le nove armature e nutrirsi della loro energia. Le cercò, ma non le vide e solo allora si sovvenne che erano state distrutte. Vide invece i quattro pinnacoli che rammentava levarsi altissimi dalle mura del palazzo, posizionati ciascuno in corrispondenza di uno dei punti cardinale.
    Strane globi fluttuanti correvano lungo i pinnacoli, irradiando sulle superficie nera e lucida bagliori azzurrognoli, fino a raggiungerne la cima e volteggiare attorno alle figure immobili, lì sulla sommità, come a riferire loro qualcosa. Poi di nuovo si gettavano giù e disegnavano in volo sottili linee di luce che correvano verso l'esterno del cortile tutto attorno al palazzo, in una rete infinita e scintillante che si perdeva lontano.
    Nasti rabbrividì. Quelle sui pinnacoli non erano statue, sebbene lo sembrassero. Al bagliore pallido degli spiriti fluttuanti, la ragazza riconobbe senza dubbio alcuno le sagome delle quattro armature di quelli che erano stati i demoni di Arago. Erano loro, là fuori. Di guardia nel buio, in equilibrio perfetto a quell'altezza vertiginosa sul nulla, che incuteva sgomento anche solo a immaginarla.
    Nasti ripensò al Gioiello della Vita che brillava sul petto di Shû. Kayura aveva messo l'amuleto al collo del samurai, nella convinzione che lo avrebbe protetto dalla Entità che gli stava dando la caccia. Quel gioiello era l'unica speranza per il Samurai della Terra. Finché lo avesse avuto con sé, l'Entità non avrebbe potuto toccarlo. Ma gli altri? Ryo; Seiji; Shin; Tôma. Come avrebbero fatto a salvarli?
    Davvero, come era convita Kayura, i poteri del Gioiello e del bastone magico di Kaosu avrebbero potuto liberare i tre samurai posseduti e aiutare loro a ritrovare Tôma?
    Poi una domanda terribile le lacerò il cuore: i demoni avrebbero davvero tentato di salvare gli avversari di un tempo, o piuttosto avrebbero fatto di tutto per ucciderli?
    Nasti scosse la testa. No, Kayura non lo avrebbe permesso, si disse, e nemmeno Shuten.
    Guardò la figura del demone, inconfondibile nella sua armatura anche nell'oscurità e non fu sorpresa quando la vide svanire in un baluginio dorato. Si fece di lato e si volse verso di lui, nell'attimo in cui il generale di Arago si materializzò sulla terrazza, pochi passi alla sua destra.
    La ragazza, scalza e in vestaglia, rimase in silenzio, mentre il demone, alto e terribile nella sua armatura scura priva di elmo, la guardava senza dire una sola parola.
    Rimasero così, uno di fronte all'altra per un lungo, interminabile momento. Infine, Nasti si decise a dare voce alla domanda che le bruciava il cuore sin dal primo istante in cui lo aveva rivisto. « Perché non mi hai fatto sapere che eri vivo? » domandò in tono di doloroso rimprovero.
    « Per molto tempo non sono stato sicuro di esserlo » rispose prontamente Shuten, come si aspettasse quel quesito.
    Nasti si strinse nella coperta. « E poi? » chiese ancora, poco incline al perdono.
    Questa volta il demone esitò prima di rispondere. « Poi ho pensato che fosse meglio per te e Jun non avere più niente a che fare con me e questo mondo. Mi sbagliavo? » domandò di rimando, dopo alcuni istanti, e la sua voce suonò così carica di rammarico che Nasti sentì svanire ogni rancore.
    La ragazza abbassò gli occhi, ma solo per risollevarli subito dopo. Ad ogni modo, non aveva intenzione di fargliela passare liscia. « No, ma saremmo comunque stati felici di sapere che non eri morto! » replicò con durezza forzata. D'un tratto si rese conto di avere lo sguardo annebbiato dalle lacrime e ogni suo tentativo di mostrarsi forte e decisa finì alle ortiche. « Ti ho visto cadere... » mormorò in un tremito.
    Shuten le rivolse un sorriso tirato. « Non è facile morire nel mondo degli spiriti, se loro non sono d'accordo. Nemmeno se si è pronti a farlo. »
    Nasti si avvicinò e sollevò una mano a sfiorargli il viso. Fu allora, nell'avvertire il calore della sua pelle sul palmo, che si scoprì veramente convinta di non avere davanti solo un fantasma, e non si vergognò dei singhiozzi che le squassarono il petto.
    Shuten si mosse, come volesse consolarla, ma poi rimase immobile nonostante il fremito che gli percorse i lineamenti fini, e Nasti gli fu grata perché era certa che, se l'avesse anche solo sfiorata, sarebbe scoppiata in un pianto dirotto e l'avrebbe abbracciato, nonostante quella maledetta armatura che portava addosso.
    Decisa a recuperare il controllo di sé, ritrasse la mano e si asciugò gli occhi. « Ci aiuterai ancora? » domandò titubante, come temendo di chiedere troppo a qualcuno che aveva già dato più di quanto avrebbe dovuto.
    « Non ho mai smesso di farlo » rispose semplicemente Shuten.
    Nasti sentì il cuore farsi più leggero e sorrise. Sapeva che non avrebbe potuto contare su amico migliore. Ancora una volta si meravigliò di come Arago fosse potuto riuscire ad asservire a sé un uomo come quello, e trasformarlo in uno dei suoi demoni, generale del suo esercito. Ma in fondo, dovette ammettere, nessuno è privo di un lato oscuro nella propria anima e forse, pensò con orrore, se al posto di Shuten, quel giorno di secoli prima, si fosse trovato Ryo o uno degli altri samurai, difficilmente essi avrebbero fatto una scelta diversa dalla sua.
    Nasti rabbrividì, ma non era il freddo a farla tremare. Si rannicchiò quindi nella sua coperta come in un bozzolo protettivo.
    « Perché sei qui? Qualcosa non va? » chiese Shuten, aggrottando leggermente la fronte.
    « Non riesco a dormire, e poi... » Nasti mosse un gesto vago verso l'interno del palazzo, dietro di lei. « Shû è ubriaco e anche il dottor Yatate. Russano così forte che non potrei comunque chiudere occhio. »
    Il demone ebbe un'espressione di comprensione. « Non volergliene » disse, « succede a tutti, i primi tempi che si trovano qui. Tu come mai non sei sbronza? »
    Nasti arrossì fino alla radice dei capelli, pensando di essersi trovata sul punto di cedere alla tentazione di stordirsi con l'alcol. « Io?! Io non mi ubriacherei mai! » esclamò e si sforzò di assumere un'espressione scandalizzata alla sola idea.
    Shuten la guardò con aria canzonatoria. « Dovresti farlo ogni tanto, invece. Ti farebbe bene. Vuoi che ti chiami uno degli spiriti del sakè? »
    Nasti gli lanciò un'occhiataccia e si scostò. « Non ho bisogno di un sakè, ho bisogno del mio computer... di una dannata connessione a internet! Sono certa che troverei qualcosa su questa Entità e potrei riuscire a capire cosa diavolo è! » replicò nervosamente, e prese a passeggiare in tondo mordicchiandosi le unghie di una mano. « Ah già, dimentico che nessuno dei due può funzionare finché perdura questo incantesimo... però ho sempre i miei libri e gli appunti di mio nonno. » Si volse a protendersi con impeto verso il demone. « Devo andare a casa! Lì ho tutto quello che mi serve, portami a casa! Solo il tempo di prendere quello che mi occorre. »
    Shuten si girò a guardare qualcosa, oltre la terrazza. « Potresti aver ragione... » mormorò come rivolto a se stesso. Poi si fece attento e la sua espressione cambiò facendosi tesa.
    « Cosa c'è? » domandò Nasti. Allarmata seguì la direzione dello sguardo del demone e vide i globi azzurri di prima che tornavano precipitosamente verso il palazzo, come riavvolgendo la loro tela di luce che svaniva al loro passaggio.
    Rajura apparve all'improvviso e Nasti urlò nel trovarselo davanti, a testa in giù come al suo solito, simile a un grosso ragno che si fosse calato dalla gronda del tetto.
    « Finiscila di fare il cascamorto e vieni a darci una mano » disse il Demone dell'Illusione rivolto a Shuten, da dietro la maschera chiusa dell'elmo crestato della sua armatura. Svanì, senza lasciare tempo al compagno di rispondere.
    « Cosa succede? » chiese Nasti, ancora scossa.
    « Abbiamo visite » rispose Shuten, mentre l'orizzonte si riempiva del minaccioso bagliore di migliaia di torce.


    Cap. XIV

    L'ambasciatrice

    « Shû, è meglio se ti svegli. »
    Il samurai aprì un occhio a guardare Jun in vestaglia che lo scuoteva per una spalla mentre lo chiamava.
    « Che c'è? Che succede? La colazione è pronta? » domandò. Fece per tirarsi su, ma scoprì che la stanza, chissà come, gli stava girando tutto attorno. « Maledetto palazzo stregato, ora si mette pure a ballare? » bofonchiò, rammentando d'un tratto dove si trovava.
    « Non è il palazzo, sei tu che sei ubriaco » gli fece notare Jun, e lo scosse di nuovo con urgenza. « Fatti passare la sbornia, Shû! Mi sa che stanno arrivando guai grossi. »
    Il samurai si sollevò su di un gomito e guardò il ragazzino. L'espressione tesa che vide nei suoi occhi gli schiarì la mente tutto d'un tratto. « Guai? Quali guai? Non ne abbiamo già abbastanza, di guai? » domandò tirandosi su seduto.
    Uno spirito del sakè volò subito da lui, ma Shû lo scacciò con una mossa brusca della mano. « Vai al diavolo, tu! » sbraitò.
    « Sarebbe possibile avere un caffè, per favore » gemette Yatate. Rovesciato a terra tastò il pavimento in cerca dei suoi occhiali.
    Lo spirito del sakè ebbe una espressione strana, come a domandarsi cosa fosse il caffè, poi svanì, subito imitato dall'altro che era rimasto nella camera.
    « Alzati, Shû. Vieni a vedere » insisté Jun e nel mettersi in piedi afferrò il samurai per un braccio strattonandolo perché lo seguisse.
    Pur con una certa fatica, Shû riuscì a mettersi dritto sulle gambe che sentiva come fossero diventate di burro. Si aggiustò la vestaglia addosso e tastò il Gioiello della Vita ad assicurarsi che fosse ancora lì. « Dov'è Nasti? » domandò, guardando il corridoio al di là della porta aperta.
    « Non lo so, quando Bayuken mi ha svegliato lei non c'era più » rispose Jun.
    Gli ultimi fumi dell'alcol evaporarono del tutto dalla mente del samurai. « Come sarebbe non c'era più?! » esclamò allarmato. « Dove è andata? »
    « Sarà con qualcuno dei vostri amici » rispose Yatate, rialzatosi barcollando. Parlò con il tono di voler tranquillizzare il samurai, ma questi non si sentì granché rassicurato.
    « Mi auguro sia con Kayura, non mi piace saperla in giro da sola in questo posto » bofonchiò Shû uscendo finalmente dalla camera, trascinato da Jun. Giunto nel corridoio guardò prima da un lato poi dall'altro, sperando di veder comparire Nasti, ma lei non si vedeva. C'era invece Bayuken che ringhiava piano, il pelo ritto sulla schiena e il naso in aria, come ad annusare qualcosa.
    Il samurai aggrottò la fronte, preoccupato dall'atteggiamento della tigre. Stava pensando di andare a cercare la ragazza, quando una porta scorrevole si spalancò davanti a lui, sull'altro lato del corridoio dove Jun si era precipitato di corsa.
    Il freddo dell'esterno investì Shû strappandogli una mezza imprecazione. Il giovane si rannicchiò su se stesso, stringendosi tra le braccia. Era sul punto di arretrare e rimproverare il ragazzino, quando vide il mare di torce sfavillanti nel buio, tutto attorno al recinto del palazzo, a circondarlo come in una morsa di fuoco.
    Shû si lanciò fuori sulla terrazza accanto a Jun. Del tutto dimentico del freddo guardò giù, afferrato al parapetto. Altre luci brillavano all'interno delle mura, e al loro bagliore il samurai riconobbe le sagome di un esercito che non avrebbe voluto mai più rivedere.
    Le armature nere dalla foggia antica dell'esercito di spettri di Arago.
    « Sono i soldati di Shuten » disse Jun, con le labbra violacee per il gelo notturno, indicando con un dito teso le figure nel cortile, schierate come pronte alla battaglia.
    « Ah bene, allora questi sono dei nostri » fece Yatate con voce tremante di freddo, stretto nella vestaglia troppo leggera.
    « Voglio crederlo... » mormorò Shû, fissando le armature che sapeva vuote, animate da demoni solitamente poco amichevoli.
    « Ma se loro sono i soldati del vostro amico, quelli là chi sono? » chiese Yatate indicando la folla riunita a circondare le mura del palazzo, alla luce di tante torce da sembrare infinite.
    « Vorrei saperlo anch'io » mormorò Shû. Un calore improvviso sul petto lo fece trasalire. Portò la mano al Gioiello e lo sentì bruciare tra le dita. « Tornate dentro... » ordinò ai due che erano con lui. Già stava afferrando Jun per allontanarlo dal parapetto, quando il ragazzino si protese in avanti, sporgendosi pericolosamente nel vuoto.
    « Guarda, Shû! C'è Kayura. »
    Il samurai si protese a sua volta, imitato da Yatate che, nonostante stesse tremando come una foglia, sembrava deciso a restare. Giù in basso, oltre gli spioventi dei tetti sotto la loro terrazza, Shû vide la grande scalinata che conduceva all'ingresso del palazzo illuminata a giorno dalle torce accese che una doppia fila di soldati in armatura reggeva strette nel pugno. Ma più luminoso ancora era l'amuleto mistico dello Shakujo che ardeva come un sole, nella mano di Kayura.
    Abbigliata del suo kimono cerimoniale, i lunghi capelli neri sciolti sulla schiena dritta, la ragazza era in piedi sulla sommità della scalinata. I quattro demoni la circondavano: Naza e Rajura alle sue spalle; Anubisu e Shuten fermi sui lati opposti dell’ampio gradino davanti a lei.
    Shû li guardò, sempre più preoccupato, ed ebbe un sussulto d'ansia quando scorse Nasti che faceva capolino da un angolo dell'ingresso al palazzo, nell'ombra, dietro la mole imponente dell'armatura verde di Naza.
    D'un tratto, un rumore cupo fece alzare la testa ai tre sulla terrazza. Il grande portale rosso e nero che conduceva dritto alla scalinata dalle mura del palazzo si aprì scivolando sui cardini enormi. La schiera di soldati nelle armature vuote si aprì a fare ala al passaggio di una figura minuta, solitaria, vestita di una lunga veste bianca che le aderiva al corpo tarchiato e tondeggiante.
    « Chi è quella? Sembra una donna » osservò Yatate, strizzando gli occhi dietro le lenti nello sforzo di vedere meglio quando la figura fu abbastanza vicina da potersi distinguere.
    Shû ebbe un moto di rabbia misto a sorpresa. « L'infermiera di Tôma! » esclamò. Era sul punto di fiondarsi giù e costringere quella donna a confessare dove fossero i suoi amici, quando Jun si avvinghiò a lui a trattenerlo.
    « No, Shû! Lascia che se ne occupi Kayura » disse il ragazzino, stretto alla vita del samurai. « Lei sa cosa fare. »
    « Lo spero... » mormorò Shû, stringendo la balaustra con tanta forza da far scricchiolare il legno.

    Kayura guardò la donna venire avanti vestita solo di un lungo abito bianco, stretto in vita da una sorta di cordicella sottile. Scalza, la giovane avanzava titubante, attraverso lo schieramento di soldati fantasma che la scrutavano con occhi invisibili da sotto gli elmi neri.
    Dopo una cammino che parve interminabile, la donna giunse ai piedi della scalinata. Qui si fermò a inchinarsi con rispetto. Quando rialzò la testa, tremava e aveva sul viso pallido da luna piena una espressione spaventata.
    « Kayura-sama » disse con voce stentorea. « Il Maestro mi manda da te, in pace, perché tu mi consegni Shû Rei Fang, Samurai della Terra, e la Gemma del Cuore di Tôma Hashiba, Samurai del Cielo, che il tuo Demone dell'Oscurità mi ha sottratto con la violenza. »
    Anubisu digrignò i denti in un righio sordo che la fece tremare ancora più forte.
    « Vieni in pace, dici » rispose Kayura, « ma io vedo un esercito là fuori a minacciare le mura di questo palazzo. »
    La donna torse nervosamente le mani. « Vedi, nobile Kayura, il Maestro teme tu possa fare una scelta sbagliata. »
    Kayura mosse piano il bastone di Kaosu, facendo tintinnare leggermente gli anelli magici. Quella ragazza aveva qualcosa di strano, pensò. Non sembrava fosse posseduta da una volontà aliena. Non reagiva allo Shakujo, era perfettamente in sé ed era terrorizzata, come fosse un normale essere umano. Eppure era lì, in un mondo che non era il suo, a minacciarla nonostante stesse tremando di paura.
    « Quella non mi piace. Spero tu sapessi quello che facevi lasciandola entrare » sibilò Naza alle sue spalle.
    Kayura sentì il dubbio agitarsi nel cuore, ma voleva avere delle risposte e quella era l’occasione per ottenerle. « Chi è questo Maestro di cui parli? Dimmi il suo nome! » ordinò, rivolta alla donna che ora sbirciava piena di timore i quattro demoni, immobili a fissarla. Kayura si accorse che muoveva le gambe incessantemente, come stesse lottando contro se stessa per non darsi alla fuga.
    La giovane pallida sembrava adesso smarrita. Abbassò gli occhi, quasi cercasse qualcosa per terra. « Io non sono degna di conoscere il suo nome, Kayura-sama. Il Maestro è la Voce che ci guida. Adesso, ti prego, consegnami Rei Fang e la Gemma del Cielo. Consegnameli, così potrò tornare a casa. »
    D’un tratto Kayura ebbe un moto di pietà. La ragazza era scossa da un tremito convulso e i suoi occhi erano più grandi che mai, dilatati dallo spavento. Aveva parlato con voce rotta, come sul punto di mettersi a piangere. « Non avere paura di noi » disse e avanzò fino a scendere il primo gradino. Si accorse del movimento di Anubisu e Shuten che facevano per fermarla, ma lei scese ancora, accennando loro di lasciarla fare, e di restare dov'erano per non spaventare ulteriormente quella povera, strana ragazza. Cosa poteva mai farle in fondo quella poveretta? si domandò. Di certo era solo una vittima della misteriosa Entità che ambiva l'Armatura Bianca, ed era suo dovere aiutarla, decise.
    « Non avere paura di noi » ripeté e tese la mano per tranquillizzarla.
    La ragazza serrò le braccia al petto e assunse un'aria supplichevole. « Dammi ciò che ti chiedo, Kayura-sama » pregò. « Il Maestro è in collera con me, per aver permesso al tuo demone di portarmi via la Gemma del Cielo. Mi ha mandata qui per offrirmi, nella sua infinita clemenza, la possibilità di riconquistare la sua fiducia. Ma se fallisco, allora sarò dannata. »
    « Noi possiamo aiutarti, non hai niente da temere » disse Kayura con dolcezza. Si avvicinò ancora, fino a trovarsi un passo davanti a lei. Il bagliore dello Shakujo accese gli occhi dell'infermiera di riflessi d'oro.
    La donna portò le mani al viso e scoppiò a piangere. « Ti imploro, Kayura-sama. Consegnami ciò che ti ho chiesto » gemette tra i singhiozzi.
    Kayura sentì il cuore serrarsi nel petto davanti alla disperazione di quella ragazza indifesa, piena di paura. Uno strumento nelle mani di un mostro, pensò. Proprio come lo era stata lei. La giovane ora annaspava nel pianto. Le gambe le cedettero sotto e lei cadde in avanti, sul punto di ripiegarsi su se stessa. Spinta dall'istinto, Kayura si protese a sorreggerla. Nello stesso istante, la donna le saltò addosso.
    Fu meno di un attimo. Kayura ebbe la visione della lama balenata tra le mani della sua assalitrice che scivolava in uno sfavillio di scintille azzurre sulla protezione metallica del braccio di Shuten, levato a proteggerla. Subito dopo, si accorse di Anubisu che, balzato sulla donna, l’aveva respinta indietro, lontano dalla scalinata, ed ora la teneva piegata a terra serrandole i polsi dietro la schiena in una sola mano.
    « Lo sapevo che non c’era di fidarsi » mormorò Rajura.
    Kayura lo udì e la sua voce astiosa le punse la schiena come lo sguardo di Naza che sentiva addosso, simile a un rimprovero. Alzò gli occhi a guardare Shuten, ma lui era rivolto verso Anubisu che torceva impietoso le braccia della prigioniera e sembrò non vederla.
    « Dov'è Tôma? » ruggì il Demone dell'Oscurità.
    Anziché rispondere, la donna levò il viso inondato di lacrime su Kayura. « Strega! » Sputò quella parola di tra i denti, con voce spezzata da un pianto rabbioso. « I tuoi demoni non potranno proteggerti dai miei angeli. »
    Anubisu la sollevò brutalmente in piedi e questa volta la donna urlò. Kayura aprì la bocca, per ordinare al demone di non farle del male, ma un suono strano, come un cantilenare basso che sembrava provenire da ogni dove e che cresceva sempre più di tono la sorprese, lasciandola muta e interdetta.
    Prima che avesse tempo di reagire, un rombo di tuono si fuse alla cantilena minacciosa. L’esercito invasore superò le mura del palazzo in un'onda di fuoco che dilagò nel cortile, dove si accese violenta la battaglia con i soldati del palazzo in un clangore di armi che cozzavano e raccapriccianti urla inumane.
    Prima che potesse proferire parola, Kayura si sentì afferrare e, senza lasciarle il tempo di opporsi, Shuten la lanciò letteralmente tra le braccia di Rajura che la prese al volo. Poi il cielo parve squarciarsi, in un lampo accecante e da quello squarcio apparve il mondo degli uomini, come nella visione rovesciata di una città, grigia e tetra, avvolta nella nebbia.
    Prima che il Demone dell'Illusione la teletrasportasse via con sé, Kayura vide ciò che restava del cielo coprirsi di sagome raccapriccianti di creature maligne che si lanciavano urlando su di loro. Infine, nell'ultimo istante, colse lo sguardo strano, a metà tra il perplesso e il preoccupato, che Shuten le rivolse girandosi verso di lei come volesse assicurarsi che Rajura la portasse lontano da lì.
    Fu davanti a quello sguardo che Kayura comprese di avere fallito.


    Cap. XV
    Il varco


    Nasti si tirò indietro nel momento in cui Naza si girò verso di lei. Il demone la guardò da dietro la maschera chiusa dell'elmo, con quei suoi occhi grandi, quasi ipnotici, e mosse un gesto perentorio con il braccio teso il cui significato era inequivocabile: vattene!
    La ragazza non se lo fece ripetere. Si volse e cominciò a correre con tutte le sue forze rientrando di volata nel palazzo, mentre la cantilena che vibrava nell'aria cresceva sempre più di tono, divenendo un suono basso e continuo che agghiacciava le vene.
    La prima esplosione fece vibrare l'edificio e alcuni frammenti di legno si staccarono dalle pareti spargendosi sul pavimento. Nasti sentì le schegge pungerle i piedi nudi, ma continuò a correre nella direzione da cui era venuta. La coperta le scivolò dalle spalle e lei proseguì a fuggire in vestaglia con i capelli sciolti che le ondeggiavano sulla schiena.
    La seconda esplosione investì il palazzo con tanta violenza da scuoterlo come una canna di bambù nella tempesta. Nasti sentì la terra mancarle sotto e cadde rovinosamente ferendosi le ginocchia. Si rialzò, ma non riuscì a rimettersi in piedi. La terza esplosione fece precipitare alcune assi dal soffitto e lei rotolò di lato, per non venirne investita.
    Nasti smise di contare le esplosioni che si susseguivano ora incessanti contro palazzo. Si obbligò ad alzarsi e riprese a correre, in mezzo alla polvere e alle pareti che si scuotevano, assieme le molte strane presenze che adesso la circondavano e la superavano, guizzando per ogni dove, alcune volando, altre strisciando oppure correndo su molte zampe.
    Terrorizzata, impiegò alcuni istanti per accorgersi dei due spiriti svolazzanti che cercavano di attirare la sua attenzione. Per un momento, pensò volessero di nuovo offrirle da bere, ma poi si rese conto che volevano lei li seguisse. Esitò, costretta a fermarsi per togliere una grossa scheggia da un piede insanguinato. I due spiriti le volarono intorno, gesticolando e poi schizzarono via, nell'attimo in cui una larga sezione della parete e del soffitto si sgretolavano in frantumi.
    Nasti si gettò di lato, per evitare la pioggia di macerie e finì contro la parete opposta. Tossendo alzò il viso. Lampi verdastri tagliavano le nubi e lei riconobbe con terrore le antiche imbarcazioni stregate, che lei ricordava ancora fin troppo bene, solcare l'aria e ingaggiare battaglia con le forme indefinibili e spaventose che si scagliavano in una tempesta di fuoco contro il palazzo, come vomitate dalla città buia rovesciata sopra di esso.
    Le parve di vedere Naza balzare agilmente da una imbarcazione all'altra e falciare con le sue spade avvelenate le creature nere e informi, disintegrandole in lampi di luce livida. A tratti, Nasti credette di cogliere le sciabolate di buio di Anubisu oscurare i fuochi della battaglia. Ma, per quanti avversari i due demoni e gli spiriti guerrieri sulle barche volanti eliminassero, altri prorompevano dallo squarcio nel cielo come in una pioggia infinita. Il suono cantilenante riverberava ovunque, in un sinistro sottofondo al clamore dello scontro senza tregua.
    Nasti si costrinse a reagire. Staccò le spalle dalla parete contro cui era rimasta come paralizzata e corse zoppicando dietro agli spiriti, tornati a chiamarla agitando le ampie maniche dei loro kimono bianchi in gesti sempre più urgenti. Con la coda dell'occhio La ragazza si accorse delle impronte insanguinate che si lasciava dietro, ma cercò di non pensarci e di ignorare il dolore rovente alle piante dei piedi lacerate. Non poté però ignorare la visione che le si parò davanti attraverso la parete spaccata, mentre si lanciava sulle scale che conducevano al piano superiore: la stessa battaglia che incendiava il cielo sembrava ripetersi a terra, dove i guerrieri nelle armature nere combattevano per respingere altri demoni, dalle forme orribili e bizzarre, che si rovesciavano a orde contro il palazzo in ondate inarrestabili. Le loro torce mandavano bagliori di fuoco rosso, ma ancora più luminosi erano i fulmini scarlatti che parevano scaturire da sotto terra a imprigionare forme indescrivibili tra le spire di catene impossibili, per poi annientarle in abbacinanti lampi di energia.
    « Shuten... » mormorò angosciata, riconoscendo il potere devastante del generale di Arago.
    Con il cuore in gola, continuò a correre, gemendo di dolore a ogni passo. Poi si fermò di botto. Qualcosa le stava piombando addosso ruggendo. I due spiriti che la guidavano sparirono, rovesciati dal passaggio delle tre creature da incubo comparse sul ballatoio in cima alla scalinata in una visione di zanne e artigli lanciati contro di lei.
    La ragazza urlò di terrore, arretrò e fu sul punto di cadere all'indietro quando le lame di Rajura fendettero l'aria e tranciarono i corpi crestati dei demoni, che ruzzolarono giù per i gradini lasciandosi dietro una traccia nauseabonda di qualcosa che parevano umori e viscere nerastri, che subito svanirono in un vapore bituminoso e maleodorante.
    In un attimo, Rajura la raggiunse e la sollevò sulle braccia. Nasti gli avvinghiò il collo, serrò le palpebre e premette il viso contro il pettorale rigido e freddo della sua armatura. Non lo lasciò nemmeno quando sentì che lui si ritraeva. « Non prenderti troppa confidenza, ragazzina » protestò il Demone dell'Illusione in tono seccato.
    Nasti si accorse che balzava via dalle scale e le parve di volare attraverso il palazzo. Poi sentì Jun che la chiamava e riaprì gli occhi. Si ritrovò in una sala dal soffitto basso, chiusa da ampie pareti scorrevoli dalle intelaiature dipinte. Jun era lì, con la spada di Ryo stretta tra le mani. Vicino a lui Bayuken a pelo irto girava intorno lo sguardo lampeggiante dei suoi occhi gialli. E c'era Shû, fremente d'ira e di impotenza, con indosso la sua protoarmatura ocra. La mano ferita rigida contro il fianco. Davanti a lui, piegata a terra, le ginocchia strette al petto, la donna dal viso di luna piena si dondolava piano, avanti e indietro, mentre intonava sommessamente la stessa cantilena sinistra che giungeva dall'esterno assieme ai suoni della battaglia.
    Nel momento in cui Rajura la mise giù, Nasti scoprì che non poteva reggersi dritta. I piedi feriti bruciavano in modo atroce e lei finì seduta a terra. Con la vista annebbiata dal dolore vide Yatate che accorreva da lei e subito le esaminava i tagli e le escoriazioni, fu solo dopo diversi istanti che Nasti si accorse di Kayura.
    La ragazza era immobile, come aggrappata al suo Shakujo con la fronte premuta contro l'asta del bastone magico e gli occhi serrati. Sembrava immersa in una profonda meditazione, o forse stava pregando. Nasti non poteva saperlo, ma ciò che sapeva ere che solo lei poteva fermare quello scontro impari. Poi la rivide, in fondo alla scalinata d'ingresso al palazzo che si lasciava sorprendere come una ingenua, rischiando di farsi ferire se non addirittura uccidere da una misera creatura umana. Lei che in passato aveva tenuto testa da sola a tutti e cinque i samurai assieme, ed ai quattro demoni di Arago. Cosa le era successo? si domandò Nasti, incredula.
    Stava per chiamare la ragazza, quando Rajura la prevenne. « Kayura! » esclamò il Demone dell'Illusione, sfilando l'elmo pesante con una mossa brusca. « Detesto metterti fretta, ma vorrei farti notare che ci stanno riducendo a brandelli là fuori. Potresti deciderti a chiudere quel maledetto varco?! »
    Kayura rimase in silenzio, come non lo avesse udito.
    « Shuten aveva detto che non c'erano più Spiriti del Male qui! » scattò Shû investendo Rajura con fare accusatorio.
    « Infatti è così. Questi che ci stanno attaccando vengono dal tuo mondo, samurai! » rispose il demone con lo stesso tono.
    « Cosa vuoi dire? » domandò Shû confuso.
    « Esattamente quello che ho detto » ringhiò Rajura. « Qualcuno sta guidando tutta la malvagità del Mondo degli Uomini contro di noi, e non credo dobbiamo faticare troppo per indovinare chi dobbiamo ringraziare per questa bella festa. Ora però, se volete scusarmi, avrei da fare. » Si girò verso Kayura e infilò di nuovo l'elmo la cui maschera si chiuse con uno scatto a nascondergli il viso. « Elimina quel varco Kayura, o fra poco dovrai trovarti altri quattro idioti per darti una mano a custodire quello che rimarrà di questo posto. Se rimarrà qualcosa! »
    Nasti sentì i peli rizzarsi sulla pelle al crepitare di energia della Sfera violacea di Rajura che balenava e subito svaniva, portando il Demone dell'Illusione con sé.
    « Simpatico questo tipo. Un po' strano, ma simpatico » sorrise Yatate. « Stava scherzando, non è vero? »
    « Ho paura di no, dottore » mormorò Nasti. Guardò Kayura, ma lei ancora sembrava non aver sentito le parole sarcastiche del Demone dell'Illusione e sempre stringeva il bastone, la fronte premuta contro di esso e gli occhi chiusi. Era però più pallida di quanto già non lo fosse prima.
    « Simpatico un accidenti! » sbottò d'un tratto Shû. Si grattò la testa con la mano sana, come stesse ancora riflettendo su ciò che Rajura aveva detto, poi fece un gesto vago, quasi a scacciare un pensiero troppo complicato e agguantò l'infermiera per il dietro del vestito, che ormai aveva perso molto del suo candore. « Combattere le forze del Male è compito mio, io sono un samurai! Adesso vado là fuori e glielo faccio vedere come si combatte a quei quattro demoni dei miei stivali. Ma prima tu mi dirai dove si trova Tôma e il nome di questa Entità maledetta che vuole l'Armatura Bianca! Parla, dannazione! Parla o dimentico che sei una donna e ti faccio parlare io! »
    L’infermiera continuò a dondolarsi. Cantava, in trance, e ora un sorriso ebete le piegava le labbra.
    « Non vuole risponderti » disse tristemente Jun, avvicinandosi sempre stringendo la spada di Ryo.
    Shû lasciò il vestito della donna, e lei ricadde in ginocchio come niente fosse. Cantava e si dondolava, con espressione estatica. Esasperato, il Samurai della Terra levò la mano per colpirla, ma poi la lasciò ricadere.
    Nasti saltò su, inferocita. Dimenticando nella rabbia il dolore ai piedi, superò il dottor Yatate che protestava e, raggiunta la donna in due lunghi passi, le assestò un ceffone sul viso tondo facendole rovesciare la testa di lato. « Parla, chi diavolo è questo tuo Maestro? E dove sono Ryo e gli altri?! »
    La donna smise di cantare e la guardò a occhi sgranati. Anche Kayura si mosse. Socchiuse le palpebre e si girò verso di lei.
    « Ecco... sì, bene. » fece Shû, ancora sorpreso. « Falla parlare, Nasti. Io intanto vado a dare una mano là fuori. » Si scostò e tese la mano nel gesto di chiamare a sé la sua armatura. Nel cogliere quel movimento, Nasti sobbalzò e si accorse del tremito improvviso che scosse Kayura. Qualcosa le urlò dentro che Shû non doveva farlo. Non doveva evocare la sua yoroi. Non lì. Non ora!
    Fece per fermarlo, ma era già troppo tardi. La magia si compì davanti ai suoi occhi e l'Armatura della Terra vestì Shû Rei Fang in una danza di luce.
    L'istante successivo, la Spada del Fuoco di Ryo brillò tra le mani di Jun come la sua lama fosse percorsa da lingue di fiamma. Lo Shakujo si illuminò in una esplosione d'oro. Nasti non ebbe bisogno di vedere fuori, per sapere che Ryo, Seiji e Shin erano piombati sul palazzo di Arago investendo lo Yôja-kai con tutto il devastante potere delle loro armature.


    Cap.XVI
    Una delusione inattesa

    All'impatto violento che lo investì, il palazzo vibrò e gemette come una cosa viva dalla punta della guglia fino alle fondamenta, poi uno schianto secco fu seguito da un rovinare di macerie e collassare di solai, uno sopra l'altro.
    Shû si gettò su Nasti, trascinandola al sicuro verso il fondo della sala, dove Kayura si era rannicchiata stretta al suo Shakujo. Bayuken afferrò Jun, come una gatta il suo cucciolo, per il dietro della vestaglia e balzò via portandolo con sé, fuori dalla traiettoria delle assi e dei travi che precipitavano dal soffitto sventrato.
    Yatate corse a quattro zampe a raggomitolarsi faccia in giù, le mani sopra la testa, ai piedi di Kayura, fino quasi a nascondersi sotto le pieghe ampie del suo kimono. Attraverso il rombare del crollo, il grido lacerante dell'infermiera si spense in un rantolo di agonia, nel momento in cui una trave cadde di traverso addosso alla donna e le spezzò la schiena.
    Tossendo soffocato dalla polvere, Shû si sollevò sulle braccia. Stordito e con le orecchie che ronzavano, guardò Nasti sotto di sé al chiarore dei focolai divampati tutto attorno. La ragazza appariva illesa, ma Shû si sentì rassicurato solo quando lei aprì gli occhi e mosse un cenno di assenso con il capo, a dirgli che stava bene.
    Il samurai si raddrizzò, scuotendosi da dosso le macerie e alzò la testa per chiamare Jun e Kayura, ma si era appena tirato su che un'accecante vampa di fuoco attraversò il soffitto squarciato, e piombò, in un tonfo sordo e metallico, sull'assito squassato del pavimento facendone contorcere il legno in un crepitio raccapricciante.
    Abbagliato, Shû non riuscì subito a distinguere la figura armata emergersa dalle fiamme, ma non aveva bisogno degli occhi per capire chi gli fosse appena comparso davanti.
    «Ryo» mormorò. Rabbrividì di orrore quando quello che era stato un amico fraterno si girò verso di lui, e lo guardò con uno sguardo che non era più il suo.
    «Shû Rei Fang» scandì l'Entità nel corpo di Ryo. La maschera del suo elmo si aprì a rivelare il viso del giovane alla luce delle fiamme, che ora ardevano ovunque proiettando strane ombre sui bei lineamenti del samurai, tesi in un'espressione crudele quale egli non aveva mai avuto.
    Alle orecchie di Shû, quella voce estranea e il crepitio dell'incendio, unito alla cantilena incessante, suonarono come qualcosa di osceno.
    Shû si mise in piedi, a fatica, la mano tesa a imporre a Nasti di restare dov'era. La ragazza rotolò su di un fianco e spalancò gli occhi, mentre le sue labbra si muovevano a pronunciare in silenzio il nome del Samurai del Fuoco.
    Ryo la ignorò, come non badò minimamente a Bayuken che gli ringhiava contro, mentre cercava di fare scudo con il suo corpo a Jun. Lo sguardo azzurro del samurai mandò però un lampo, quando si posò sulla spada che il ragazzino impugnava in una posa minacciosa.
    «Quella è mia» disse Ryo. Tese un braccio verso Jun e mosse le dita in un ironico gesto di invito. «Gradirei riaverla, se non ti dispiace.»
    Jun arretrò dietro a Bayuken e alzò la katana, con la lama rivolta verso il samurai. «Non è tua, è di Ryo Sanada e la renderò solo a lui!» esclamò.
    Ryo ebbe un'espressione contrariata. «Tu, piccola peste, ultimamente hai frequentato delle brutte compagnie che ti hanno fatto dimenticare le buone maniere» disse e si volse a guardare Kayura, alzatasi in ginocchio di tra le macerie, con il bastone di Kaosu stretto tra le mani. Il samurai socchiuse gli occhi e parve esitare davanti alla luce dorata dello Shakujo, mentre un'esplosione lontana faceva vibrare le pareti che parevano restare in piedi per puro miracolo.
    Shû trattenne il fiato e s'irrigidì nella tensione, aspettando di vedere la magia di Kaosu scacciare finalmente l'Entità dal corpo dell'amico, ma non accadde niente. Ryo continuava a fissare Kayura e il suo bastone dorato con nulla più che un'espressione di fastidio, senza curarsi di Yatate, accovacciato accanto alla ragazza, che invece lo fissava ad occhi sgranati da dietro le lenti degli occhiali tutti storti sul naso.
    «Chi sei?» domandò Kayura, scrutando a sua volta il Samurai del Fuoco come a cercare un'altra figura sotto alle sue sembianze.
    Il volto di Ryo si torse in una smorfia. «Chi sono io? Domandati piuttosto chi sei tu, ora che non hai più la forza di Arago e Kaosu ti ha abbandonata. Perché devo pensare lui ti abbia abbandonata, dal momento che quello Shakujo non ha più la sua magia. O forse sei tu che non sai usarla? Ma guardati, riesci appena a farmi il solletico» rispose l'Entità, poi scoppiò a ridere in un modo che aveva qualcosa di folle.
    Al suono di quella feroce risata di trionfo, Shû sentì svanire la speranza di vedere l'amico tornare in sé. In preda a uno sgomento stupito si accorse che Kayura abbassava la testa e il bastone vacillava nella sua stretta. Il singhiozzo sommesso di Nasti strappò al samurai un'imprecazione di delusione rabbiosa, mentre Bayuken si raggomitolava su se stessa, come fosse stata ferita. Le mani di Jun tremarono sull'impugnatura della katana, che parve d'un tratto troppo pesante per le sue forze. Yatate tossì nel fumo, e parve quasi imbarazzato.
    Pieno di stupore e di rabbia, Shû protese un braccio verso Kayura in un gesto brusco che domandava spiegazioni. Lei sembrò non vederlo, ma si alzò in piedi, accompagnata dal tintinnare dorato degli anelli sullo Shakujo, incurante della polvere mista a frammenti di legno che le cadde di dosso. Fece per muoversi verso Ryo, che pareva aspettarla sorridendo beffardo, ma non aveva compiuto il primo passo, quando, con un guizzo, Yatate l'afferrò per una manica e la trasse bruscamente indietro all'improvviso comparire loro davanti del generale di Arago, avvolto nella sua Sfera rovente.
    Ryo arretrò precipitosamente e l'Armatura del Fuoco parve incendiarsi nell'entrare in risonanza con quella del demone, la quale a sua volta mandò bagliori bluastri di fiamma liquida.
    Colto di sorpresa Shû sussultò e un sentimento confuso lo colse nel sentire la sua stessa yoroi reagire al quella di Shuten, rivestendosi per un istante di una luce diversa da quella che lui era abituato a vedere in presenza dei suoi amici.
    «Guarda chi c'è. Come va il tuo braccio? Fa male?» domandò Ryo con espressione beffarda, mentre la Sfera del demone svaniva in uno fremito d'aria. «Ti aspettavo, sei in ritardo» disse ancora senza aspettare una risposta alle sue domande.
    «Sono stato trattenuto» replicò freddamente Shuten.
    «Lo immagino: vi stiamo dando un po' da fare là fuori, a te e ai tuoi amici, non è vero?» ghignò Ryo. «A proposito, già che sei qui, di' alla tua principessina di consegnarmi la Sfera del Cielo, lo so che ce l'ha lei. In verità, avete molte cose che mi appartengono: la Spada del Fuoco; la yoroi di Hashiba; Shû Rei Fang. Datemele: le rivoglio tutte.»
    «Adesso basta!» ruggì Shû. Scattò in avanti, ma si fermò al gesto perentorio di Shuten che gli imponeva di non avvicinarsi. Stupito di se stesso per avergli obbedito, il samurai si sentì ancora più arrabbiato, si mosse di nuovo ma a bloccarlo questa volta fu il richiamo di Nasti.
    «Non devi avvicinarti a Ryo, Shû! Scappa, non lasciare che ti tocchi» gli gridò la ragazza con voce disperata.
    «Siete tutti quanti impazziti?!» sbraitò il samurai esasperato. «Non può farmi niente! Ho il Gioiello della Vita con me, e tu Kayura, scaccia quella cosa da lui, maledizione!» esclamò levando entrambe le mani verso la ragazza in un gesto a metà tra la preghiera e l'accusa.
    Rimase così per qualche istante, come paralizzato, a guardare l'erede di Kaosu rispondergli con un'espressione strana, quasi smarrita. Quando si avvide del movimento di Shuten, che sembrò trattenersi dal voltarsi verso la ragazza, come se anche lui fosse stato colto dal dubbio, Shû sentì il panico serpeggiare nell'anima.
    «Cosa significa?» mormorò incredulo.
    «Significa che lei non può aiutarti» rispose Ryo in tono di commiserazione. Si girò di nuovo verso Shuten e Kayura e sorrise di falsa benevolenza. «Adesso, per favore, prima che io porti via con me il nostro più che deluso Shû Rei Fang, rendetemi la mia spada e la yoroi del Cielo. Datemi ciò che vi chiedo, o li prenderò da solo.»
    Al silenzio di Kayura e del demone, Shû ribollì di rabbia. Serrò i pugni, nonostante il dolore alla mano contusa e già stava per richiamare a sé la sua arma, quando lo sguardo gli cadde sul cadavere dell'infermiera, schiacciato sotto il trave crollato. In quel momento si rese conto del pericolo cui avrebbe esposto Jun, Nasti e Yatate se avesse ingaggiato battaglia lì dentro. E si accorse anche del fuoco, che si faceva sempre più vicino mentre il fumo sembrava ormai troppo e troppo denso per poter ancora uscire tutto dagli squarci aperti nell'edificio.
    Doveva allontanare Ryo da lì o i suoi amici sarebbero morti soffocati, se non uccisi nello scontro, si disse Shû al colmo dello sgomento. Aveva appena formulato quel pensiero, che Shuten sparì, senza dire una sola parola, facendolo sussultare di nuovo per la sorpresa.
    Kayura raddrizzò le spalle e fissò il punto in cui il demone era svanito, sbattendo le palpebre.
    Ryo esplose in una nuova risata. «Ma bene! E così infine anche il tuo demone ti abbandona, piccola Kayura» esclamò. «Temo che a restare deluso da te non sia stato solo il povero Rei Fang. Adesso, dammi la Sfera del Cielo!» avanzò verso di lei, la mano tesa come un artiglio, ma Kayura rimase immobile. Non si mosse nemmeno quando la catena nera saettò attraverso lo squarcio nel soffitto ad avvinghiare il Samurai del Fuoco e lo trascinò via, verso l'alto, in un lampo scarlatto che scomparve attraverso lo squasso dei piani superiori.


    Cap.XVII
    L’importanza di un nome

    L'esplosione scarlatta, che mandò in frantumi un'ampia sezione del tetto spiovente orientale del palazzo di Arago, attirò l'attenzione di Anubisu attraverso la battaglia.
    Il Demone dell'Oscurità non si voltò a guardare. Gettò appena una rapida occhiata di sbieco, il tempo di vedere Shuten balzare fuori dallo squarcio e trascinare con sé attraverso i detriti e le fiamme il Samurai del Fuoco, imprigionato nelle spire della sua catena stregata.
    Anubisu imprecò tra i denti, ma non poté fare altro. Seiji lo attaccò di nuovo, fulmineo, spazzando ogni cosa con la vampa di energia scagliata dalla sua spada per un ampio tratto del cortile che circondava l'edificio.
    Con le ferite riportate nello scontro precedente che gli dolevano crudelmente, Anubisu si sottrasse a stento all'ondata di fuoco bianco. Scattò al contrattacco, ma il Samurai della Luce gli sfuggì e affondò di nuovo la spada in cerca del suo bersaglio. Inferocito nel dover infine riconoscere che Seiji era decisamente più forte e veloce di lui, Anubisu si fece indietro.
    Seiji non lo seguì, ma rimase a fissarlo con i suoi occhi chiari, divenuti come di ghiaccio, da dietro la maschera chiusa dell'armatura.
    Anubisu si mise in guardia, studiando il suo nemico. Nell'armatura verde era rimasto ben poco del Seiji che ricordava, si disse. Persino lo sguardo non era più quello del giovane, nobile guerriero, ma era divenuto freddo e feroce, di una ferocia disumana, quale, pensò Anubisu, né lui o né alcuno degli altri tre demoni di Arago avevano mai mostrato, nemmeno ai loro tempi migliori.
    Suo malgrado, Anubisu sorrise. Sì, erano stati bei tempi quelli, quando loro quattro erano fieri di servire l'Imperatore e combattere sotto il suo vessillo insanguinato. Un branco di boriosi imbecilli al servizio di un padrone ingrato, che li avrebbe distrutti non appena finito di servirsi di loro. Questo erano stati ammise Anubisu, pur senza troppo rimpianto. In fondo, pensò, in quei quattrocento anni da demoni si erano decisamente divertiti.
    Il sibilare delle lame di Rajura sopra la testa gli fece alzare gli occhi per una frazione di secondo. Il tempo di cogliere l'immagine del Demone dell'Illusione che riusciva ad annientare un'orda di creature nere e informi, solo per trovarsene davanti una nuova.
    «Se andiamo avanti così ci faranno a pezzi» mormorò Anubisu tra sé e sentì l'ira incendiargli il cuore alla luce beffarda che illuminò lo sguardo di Seiji, fisso su di lui.
    «Non potete farcela» disse il Samurai con una voce strana che Anubisu non riconobbe come la sua. «Sei ancora in tempo: convinci Kayura a consegnarmi la Sfera del Cielo e Shu Rei Fang. Arrendetevi e vi lascerò in pace. Voi non mi interessate e questo vostro piccolo regno di simpatici spiritelli e demoni domestici non ha per me alcuna importanza. Datemi ciò che voglio e dimenticherò persino la vostra miserabile esistenza.»
    Anubisu gli rispose con un ringhio. Non credeva una sola parola, ma quella pausa gli faceva comodo per riprendere fiato. Con la coda dell'occhio vide Rajura, al comando degli guerrieri fantasma, ormai sul punto di venir soverchiato con tutti i suoi combattenti dal numero degli assalitori. Poi si accorse di Naza che veniva quasi travolto dalla scarica di energia, simile a un'onda di marea, scatenata da Shin, col quale il Demone del Veleno aveva ingaggiato battaglia nell'istante stesso in cui il Samurai dell'Acqua era piombato nel loro mondo.
    Alla vampata rovente che incendiò un lato del palazzo avvolto dal fumo, al di là del recinto chiuso del cortile, Anubisu serrò il pugno nel guanto artigliato della sua armatura, con tanta forza da farne scricchiolare le giunture.
    La maschera dell'elmo di Seiji si aprì sul sorriso cattivo che quasi deturpava i lineamenti ben disegnati del giovane samurai. «So cosa stai pensando, e sono d'accordo con te: non reggerete a lungo. Siete ancora forti, lo ammetto, e ciò che resta dell'esercito di Arago a voi fedele riesce a cavarsela dignitosamente, ma non potete farcela. Dammi ciò che voglio e vi lascerò in pace.»
    «Non ti credo» rispose Anubisu a denti stretti.
    Seiji mosse la testa, come a sgranchire il collo e il suo sorriso si fece ancora più crudele. «Sei piuttosto ammaccato, demone, e Shuten è messo peggio di te. Quanto pensi riuscirà a resistere contro di me, con quella ferita che mi sono divertito a infliggergli?»
    «Potrebbe resistere più di quanto pensi e farti passare la voglia di ridere» replicò Anubisu, ma il suo sguardo corse verso il palazzo ormai quasi in rovina, avvolto un sudario di fumo nero e scintille infuocate.
    Seiji ebbe una risata bassa, gutturale. «Sì, potrebbe. Ma vedi, mentre lui esita a colpire Ryo, io non mi faccio alcuno scrupolo a colpire lui.» Rise ancora poi guardò il demone davanti a lui, scrutandolo con un'attenzione che a Anubisu non piacque per niente. «Mi è giunta notizia che fosti tu a raccoglierlo tra le braccia come morto, dopo che vi siete rivoltati contro il vostro padrone Arago. Devi essergli affezionato. Se vuoi, ti permetterò di recuperare i suoi pezzi dopo che avrò finito con lui, ma non posso garantire che li ritroverai tutti» lo schernì l'Entità.
    Anubisu girò il polso facendo roteare senza sforzo la sua spada pesante e si pose in guardia, pronto a scattare. «Sai parecchie cose, per essere qualcuno che non vuole nemmeno presentarsi con il suo nome.»
    «I nomi sono importanti: ti permettono di conoscere il tuo nemico e scoprirne i segreti» ghignò Seiji, «comprenderai dunque come io non possa rivelarti il mio, Sasaki Kujurô.»
    Anubisu vacillò, colto di sorpresa. Aveva quasi dimenticato il suo antico nome di nascita e sentirlo pronunciare da quella voce estranea nel corpo di Seiji gli riportò, d'un tratto, alla memoria il suo passato, prima che Arago lo irretisse, con tutto il carico di umanità e di sentimenti rimasti sepolti in un angolo remoto di ciò che restava della sua anima.
    In quel breve attimo di indecisione dell’avversario, Seiji scagliò il suo attacco, ma la Spada della Luce cozzò in una pioggia di scintille contro le lame incrociate di Naza, piombato in mezzo a loro emergendo in un lampo dalle colonne di fumo denso e acre che ammorbava l'aria.
    Il Samurai della Luce disimpegnò la spada e balzò di lato, evitando il fendente velocissimo che Naza gli mulinò contro. L'istante successivo, l'assalto di Shin quasi li travolse entrambi.
    «Cosa accidenti sta facendo Kayura?» ruggì Anubisu, andando a porsi spalle contro spalle con il compagno ad affrontare assieme i due samurai che ora giravano loro attorno, come squali attorno alla preda.
    «Mi pare ci stia lasciando ammazzare tutti» rispose Naza con la sua solita freddezza. «Forse non ha gradito l'ultimo scherzo che le abbiamo combinato.»
    «A me non era parso poi così pesante, e comunque l'idea era stata tua» replicò Anubisu. Cercò Rajura in mezzo alla battaglia e, alzando gli occhi, si accorse dell'imbarcazione stregata che stava precipitando loro addosso avvolta dalle fiamme. Con un grido di avvertimento, sospinse via Naza prima che lo scafo si schiantasse dove loro si trovavano solo un istante prima. Immediatamente, i due samurai furono loro addosso.
    «Adesso mi sono stancato» sibilò Naza. Si raccolse su se stesso, come un cobra pronto allo scatto, puntando Shin il cui sguardo aveva perso ogni traccia di quella mitezza che da sempre lo contraddistingueva tra i compagni.
    Anubisu si girò appena verso di lui, senza perdere d'occhio Seiji. «Stai attento a non lasciarti sorprendere: conosce il mio nome umano, immagino conoscerà anche il tuo» avvertì.
    Naza non parve preoccupato né sorpreso. «Chi se ne frega. Sai cosa può farsene del mio vecchio nome?» rispose sprezzante.
    Il Demone dell'Oscurità ebbe una smorfia, ma non poté rispondere: con un’agilità sorprendente per la sua armatura dall'apparenza tanto pesante, Naza scattò su Shin così veloce da sfuggire quasi alla vista. Anubisu realizzò le sue intenzioni, nello stesso momento in cui il Samurai dell'Acqua levava la lancia per respingere l'assalto, ma Naza gli scivolava sotto e lo afferrava alla gola, trascinandolo indietro e avviluppandolo nella sua stessa Sfera che collassò in meno di un secondo, facendoli svanire entrambi nel nulla.
    Anubisu imprecò, chiedendosi in modo colorito cosa Naza pensasse di fare esponendosi in quel modo, poi si accorse della sorpresa di Seiji e di come il suo sguardo avesse perduto la fermezza di prima. Il demone credette di veder riemergere la coscienza del samurai negli occhi chiari che adesso lo fissavano colmi di stupore.
    «Seiji! Torna in te, dannazione!» esclamò e protese il guanto artigliato verso il giovane, in un gesto quasi implorante nonostante la rudezza delle parole. Dovette però ritirarsi in fretta, all'indurirsi delle iridi trasparenti del giovane e al torcersi del suo viso in una nuova smorfia di ferocia mentre si volgeva a guardare lontano, sopra la spalla del demone.
    «Seiji è mio» gracchiò l'Entità, la voce innaturale contorta in una vibrazione di autentica ira. «Adesso basta giocare. Di' addio al tuo amico, demone: vengo a prendermi ciò che è mio.»
    Incerto sull'aver afferrato il senso di quelle parole, Anubisu piegò appena il capo a seguire la direzione dello sguardo febbricitante del samurai e si ritrovò a guardare il palazzo sventrato dietro di lui. In quel momento il terreno gli vibrò sotto i piedi e ondeggiò come per una violenta scossa di terremoto.
    «Shû» mormorò tra sé nel riconoscere il potere dell'Armatura della Terra e ripensò al samurai, come lo aveva visto l'ultima volta, quando aveva portato l'infermiera di Tôma nel palazzo perché Kayura la facesse parlare. Shû aveva indosso la protoarmatura, pronto a combattere, senza rendersi conto che se avesse evocato la sua yoroi avrebbe attirato a sé le altre come un faro acceso nella notte.
    Le avrebbe attirate lì, nel loro palazzo. Esattamente dove Ryo si era fiondato con la potenza di una cometa precipitata dal cielo, e da dove Shuten aveva cercato di portarlo via.
    Nel formulare quell'ultimo pensiero, Anubisu comprese a quale amico Seiji lo aveva appena invitato a dire addio, e capì dove l'Entità stava per concentrare tutto il suo potere.
    Furioso, Anubisu si girò verso Seiji. Serrò le dita sull'impugnatura della spada e caricò la sua energia con la ferocia di un tempo. Se fosse riuscito a ferirlo, si disse, sarebbe stato come ferirli tutti e tre. Sì certo, solo una ferita. Sogghignò lasciando fluire la sua energia oscura, prima di scattare come una folgore nera. Questa volta, decise mentre liberava la sua spaventosa potenza, se doveva raccogliere il corpo di qualcuno, sarebbe stato quello di Seiji.


    Cap.XVIII
    L'amarezza della sconfitta

    La violenta scossa di terremoto, provocata dall'impatto dell'arma di Shû scagliata contro il suolo, aveva fatto crollare ciò che restava il piedi del versante orientale del palazzo e respinto l'assalto di Ryo, costringendolo a disimpegnarsi dal combattimento con il generale di Arago.
    Shuten guardò sorpreso il Samurai della Terra, in piedi davanti a lui, che teneva lontano Ryo facendo roteare sopra la testa, coperta dall'elmo aperto sul viso, la lunga asta della sua arma in un vortice micidiale.
    «Levati di mezzo!» ordinò il demone, ripresosi in fretta dallo stupore di vedere il samurai ergersi a sua difesa.
    «Levati di mezzo tu! Cosa pensi di poter fare? stai sanguinando maledizione!» replicò Shû arrestando la rotazione della sua arma in posizione di guardia, la lama curva puntata contro il Samurai del Fuoco.
    Ryo li fissava entrambi, senza muoversi, con in volto un'espressione strana come fosse perplesso.
    Shuten mosse la mano sinistra stretta sulla sua catena. Sentiva il sangue fluire dalla ferita riaperta e scorrergli lungo il braccio, fino a bagnargli le dita nel guanto. Fino a quel momento non si era accorto dei sottili filamenti scarlatti che scivolavano fuori dalle giunture della protoarmatura, a rigarne la superficie bruciata in più punti e impiastrata di polvere.
    «Ci penso io a lui, Ryo è affar mio» insisté Shû, «tu porta in salvo Jun e gli altri.»
    Shuten gettò uno sguardo a Kayura, uscita dalle rovine del palazzo con Yatate ancora aggrappato alla manica del kimono lacerato. La vide, ma decise di non soffermarsi su di lei e sul suo viso teso, la cui espressione gli ricordava in modo sconcertante la stessa del giorno in cui lui era riuscito a liberarla dalla possessione del ministro di Arago: l'espressione di una ragazzina smarrita e confusa che lo fissava con occhi grandi e profondi, colmi di doloroso stupore.
    L'ultima immagine di lei che gli era rimasta nella memoria, prima di sprofondare nel buio di quella che doveva essere la sua stessa fine.
    Il demone scacciò dalla mente quel ricordo e guardò Nasti e Jun, sopraggiunti assieme a Kayura e Yatate. Sembravano illesi, ma tossivano per il fumo che irritava loro la gola e gli occhi tanto da farli lacrimare. Bayuken era con loro. Scosse il pelo sbruciacchiato, sporco di detriti, e ringhiò verso Ryo, ancora immobile sulla cresta del muro semidistrutto che separava il palazzo dal cortile circostante.
    Rapidamente, Shuten valutò le condizioni degli amici e della tigre, poi si arrabbiò. «Dovevi allontanarli tutti, perché diavolo invece li hai portati qui, Shû?!» scattò, portandosi al fianco del samurai.
    «Stai zitto e fa' quello che ti ho detto!» sbraitò Shû per tutta risposta.
    Il demone sentì risorgere dentro di sé l'antico istinto di sferrare un pugno in faccia a quel ragazzo insolente, per aver osato parlargli in tal modo, ma si trattenne in tempo. Shû però dovette accorgersi del suo primo pensiero, perché si scostò e lo guardò con diffidenza, mentre muoveva l'arma come improvvisamente indeciso se tenerla ancora su Ryo o puntarla piuttosto contro di lui.
    Il balzo fulmineo del Samurai del Fuoco che si lanciava dal muro diroccato per piombare su di loro, li fece scattare entrambi. Shuten respinse con la sua lama la katana infuocata scagliata contro di lui, ma quando alzò il braccio sinistro per lanciare la catena il dolore gli rallentò i movimenti, tanto da fargli mancare il bersaglio. Shû roteò la sua arma per colpire, esitò però all'ultimo momento e il Samurai del Fuoco evitò facilmente il suo attacco per lanciarsi di nuovo contro il demone.
    Shuten se lo vide arrivare addosso come una meteora infuocata. Quando il samurai alzò la spada per colpire nel modo che lui conosceva, si piegò e scattò in avanti. Doveva riuscire a ferirlo, a fargli male al punto di costringere l'Entità a lasciarlo, o almeno a indebolire la sua presa per non perdere anche gli altri due samurai sotto il suo controllo. Il demone non tentò di usare la catena, perché non sentiva quasi più il braccio ferito, ma la sua lama falciò l'aria in un movimento preciso nell'istante in cui Ryo inarcò la schiena all'indietro per caricare l'affondo, lasciando scoperto il torso per una frazione di secondo.
    Nell’attimo in cui si accorse dell'asta di Shû che colpiva Ryo con violenza, Shuten ruotò su se stesso per evitare di squarciare l'armatura del Samurai del Fuoco e tagliarlo in due, nel momento in cui questi, perduto l'assetto nell'urto, quasi gli cadeva addosso. Il demone sentì la katana di Ryo stridere sul metallo che gli proteggeva la spalla destra, mentre la lama infuocata lo colpiva di striscio, lacerando la veste della yoroi e andando a tracciare un solco fumante sulla superficie della sua armatura. Una scheggia rovente lo colpì in viso, aprendogli un taglio bruciante sotto lo zigomo.
    Sbilanciato dall'urto e dal dolore, Shuten finì con un ginocchio a terra, ai piedi delle rovine del palazzo, mentre Shû fronteggiava Ryo che si era rialzato dopo aver rotolato al suolo per alcuni metri, lasciandosi dietro una traccia di fuoco.
    «Ti ho detto che Ryo è affar mio, Shuten! Non posso permetterti di fargli del male: se qualcuno deve ferirlo, l'unico ad averne diritto sono io!» urlò il Samurai della Terra con voce rotta, senza voltarsi a guardare il demone. Sollevò la sua arma, pronto ad abbatterla di nuovo. «Devo farti male, Ryo. Perdonami» gemette serrando la mascella.
    Il Samurai del Fuoco lo guardò con espressione perplessa, poi il suo viso cambiò e assunse un'aria quasi offesa. «Tu sei mio amico, Shû. Non mi faresti mai del male» disse in tono di stupito rimprovero. Abbassò la spada, fino a sfiorare il terreno con la punta arroventata, incendiando un cumulo di detriti in una sottile lingua di fuoco. «Noi siamo amici» ripeté allargando le braccia in un gesto che sembrava un invito alla pace.
    Nel vedere Shû abbassare la guardia, Shuten si rialzò, deciso a intervenire nonostante il dolore che gli bruciava il braccio coperto di sangue, ma si fermò dov'era, nel momento in cui Shû gli puntò contro la sua arma.
    «Non muoverti!» gli intimò il giovane guerriero, digrignando i denti in una smorfia di disperata determinazione.
    Shuten obbedì, ma strinse la mano sull'impugnatura della sua arma, reprimendo la voglia di usarla per aprire il cranio all'ostinato samurai, a causa del cui intempestivo intervento un attimo prima lui e Ryo stavano per ammazzarsi a vicenda.
    «Non muoverti, devo farlo io» ripeté Shû, ma non vi era più aggressività nella sua voce. Alzò di nuovo la sua arma contro Ryo che arretrò di un passo, mostrando ora sul volto un'espressione incredula.
    Shuten guardò i due samurai fronteggiarsi, mentre sopra le loro teste e nel cortile al di là della recinzione infuriava incessante la battaglia tra gli invasori e i difensori del palazzo. Rajura guizzava in folgori violacee tra le volute di fumo che ormai univano il cielo con la terra in un tutt'uno di nera caligine. A tratti, lampi di luce abbagliante si confondevano con sprazzi di tenebra là dove Seiji e Anubisu combattevano senza tregua. Shin e Naza parevano scomparsi.
    Nel frastuono che echeggiava tutto attorno, Shuten udì il tintinnio dorato degli anelli sullo Shakujo che si avvicinava alle sue spalle e si accorse che Kayura era scesa giù dalle rovine del muro crollato del palazzo e lo stava raggiungendo. Bayuken gli spuntò al fianco, col pelo irto sulla schiena, senza che lui avesse sentita arrivare il suo passo felpato.
    Un suono strano lo fece quasi voltare. Il demone impiegò alcuni istanti per capire che quella sorta di ticchettio che udiva in sottofondo era il rumore prodotto dallo sbattere terrorizzato dei denti del dottor Yatate, rimasto indietro con Nasti e Jun.
    Shuten guardò Kayura fermarsi accanto a lui. Non capiva cosa volesse fare e avrebbe preferito che non fosse lì. Avrebbe voluto allontanarla, ma quando lei alzò gli occhi verso di lui, la luce di ritrovata determinazione che le vide brillare nelle iridi di un blu profondo come la notte lo convinse a desistere.
    «Ma che bel quadretto» li schernì la voce dell'Entità attraverso le labbra di Ryo. «Dovresti ricordare al tuo demone custode di indossare l’elmo in combattimento, principessa. Questa volta se l’è cavata con un graffio, ma certo tu non vorrai che quel suo bel viso arrogante finisca sfregiato, vero? Dimmi, sei venuta a consegnarmi la Sfera del Cielo in cambio della sua vita?»
    «Lasciali in pace e guarda me!» urlò Shû. Levò alta la sua asta, sul punto di colpire, ma Ryo si erse davanti a lui, a braccia aperte, la mano libera con il palmo aperto in un gesto di rassegnato abbandono.
    Il Samurai del Fuoco chiuse gli occhi quando l'arma di Shû si abbattè su di lui e lo sfiorò, andando a urtare il terreno alla sua sinistra con uno schianto secco, sollevando una massa di terra e roccia che ricadde ai lati in un cumulo di detriti fumante.
    Sgomento, Shû gettò via l'asta e si portò le mani alla testa. «Non posso. Non ci riesco...» gemette serrando l'elmo tra le dita come sul punto di strapparselo dal capo.
    Shuten si mosse per intervenire, ma si fermò quando sentì la mano di Kayura stringerli il polso. «Non farlo» disse la ragazza, «Shû non ti permetterà di colpirlo. Hai visto cosa ha fatto prima, lo farà ancora se provi ad affrontare Ryo un'altra volta.»
    Il demone dovette darle ragione, ma si sentì avvampare di rabbia quando Ryo riaprì gli occhi e gli rivolse un sorriso beffardo, prima di tornare a girarsi verso Shû e mutare ancora una volta espressione, allo stesso modo in cui un attore cambia la maschera sul volto.
    Adesso Ryo sembrava di nuovo lui, con il suo volto bello, determinato ma gentile mentre parlava al compagno prostrato nello sconforto. «Sapevo che non lo avresti fatto, Shû, amico mio » disse tranquillo. Tese la mano e avanzò di un passo verso l'altro samurai che arretrò quasi barcollando. «Solo tu puoi salvarmi, Shû. Dammi il Gioiello della Vita che hai con te. Quell'amuleto è l'unica cosa che può scacciare l'Entità dal mio corpo. Dammelo e sarò libero.»
    «Shû!» chiamò Kayura. «Shû, non fidarti. Quello non è Ryo, e tu lo sai.»
    «Liberalo!» le urlò di rimando il Samurai della Terra. «Tu puoi farlo, liberalo Kayura!»
    «Io... no, io non posso. Non così» rispose la ragazza esitante e abbassò lo sguardo.
    Shû gettò un grido rabbioso. La sua armatura parve avvampare quando il samurai si protese verso Kayura, le mani contratte come a volerla afferrare. Shuten si pose in mezzo, sulla difensiva, temendo che nella sua disperazione il samurai commettesse la follia di aggredirla.
    Shû lo fissò, stravolto, come fuori di sé, poi il demone vide i suoi occhi correre a qualcosa dietro di lui e comprese che il samurai stava guardando Nasti e Jun, ancora alle sue spalle. La ragazza respirava così forte in preda all'ansia che lui poteva udire il suo ansito, mentre Jun cercava inutilmente di soffocare i singhiozzi. Yatate non si sentiva più, ma Shuten non poteva voltarsi a guardare cosa ne fosse stato di lui. Vedeva però lo squarcio ancora aperto sopra le loro teste vomitare altre creature informi, e le barche stregate del palazzo che cercavano inutilmente di respingerle.
    Di tutte le battaglie che aveva combattuto in quattrocento anni, pensò, mai come in quel momento aveva sentito così vicina la sconfitta.
    La risata feroce dell'Entità lo ferì come una frustata in pieno viso e, questa volta, il demone non trattenne la sua ira. L'energia della sua yoroi stregata avvampò in lampi scarlatti, quando Shuten strappò il bastone di Kaosu dalle mani di Kayura e, balzato avanti, con un unico gesto lo ruotò nell'aria mandandolo a colpire Ryo alla testa, strappandogli l'elmo che volò via, per finire a rotolare lontano.
    Il Samurai si piegò di lato, sotto l'urto ma subito si raddrizzò e mulinò la katana contro il demone. I suoi occhi mandarono bagliori d'oro liquido nell'incontrare la luce splendente dello Shakujo avvampato come un sole, e un brivido di dolore lo scosse fino a farlo urlare, quando Shuten lo afferrò con il guanto insanguinato per il collo dell'armatura e lo trasse a sé. Le loro yoroi si incendiarono all'unisono in una esplosione di energia spaventosa che respinse tutto e tutti attorno a loro, nell'attimo in cui la lama di Ryo affondava nell'armatura del generale di Arago lacerando il metallo fino a mordergli il fianco.
    Nonostante il dolore lancinante, Shuten trattenne Ryo e lo guardò spalancare gli occhi azzurri nei suoi nella stessa espressione stupita e confusa con cui un giorno lo aveva guardato Kayura, e lesse il suo nome sulle labbra del samurai, che si mossero senza emettere alcun suono. Poi le mani di Shû afferrarono Ryo per le spalle e lo trassero indietro. Il Samurai della Terra urlò di dolore al calore che gli ustionò le dita, nonostante la protezione della sua armatura. Resistette e trascinò via l'amico, spezzando il legame micidiale tra la yoroi del Fuoco e quella del stregata del demone.
    In quel preciso momento, Ryo si girò nella sua stretta e la sua Sfera sfolgorò avviluppandoli entrambi. Prima che chiunque potesse far niente per impedirlo la bolla di energia collassò e sparì assieme ai due samurai, mentre lo squarcio nel cielo si chiudeva al bagliore dello Shakujo, avviluppandosi su se stesso come il ritrarsi del vortice di un tornado.
    Shuten scivolò a terra, in ginocchio, senza nemmeno rendersene conto. Vagamente si accorse di Kayura e gli altri che correvano da lui e di Rajura che piombava al suo fianco. A malapena ralizzò la presenza di Yatate che trafelato gli armeggiava intorno all’armatura, ripetendo di continuo la stessa domanda: «come si toglie quest’affare? come si toglie quest’affare?»
    Poi si scosse e riprese coscienza, nell'accorgersi di come Rajura lo stava fissando, i pugni contro i fianchi nella solita posa sfrontata. La sua domanda non lo colse di sorpresa: «Non potevi farlo prima, razza d'idiota?» lo investì il Demone dell’Illusione, indicando un con movimento stizzoso del mento il bastone di Kaosu ancora tra le sue mani.
    Shuten lo sentì, ma non gli rispose. Dietro di lui vide Nasti e Jun che si inginocchiavano nel punto in cui Ryo e Shû erano scomparsi. Jun piangeva senza più trannersi, mentre la ragazza si piegava in avanti, le mani nei capelli, a sfiorare con la fronte la terra bruciata. Bayuken girava loro attorno uggiolando di dolore.
    Il generale di Arago chinò la testa e restituì il bastone a Kayura, senza guardarla, in un amaro gesto di sconfitta.


    Cap.XIX
    Chimica e veleno

    Di malavoglia, Naza dovette ammettere a se stesso che Shin era più forte di lui.
    Nella pioggia battente che cadeva dal cielo notturno nel mondo degli uomini, dove il demone aveva trascinato il suo avversario, il Samurai dell'Acqua si muoveva con una velocità che Naza poteva paragonare solo a quella di cui Arago aveva reso capace Kayura, quando lei era sua succube.
    Dietro la visiera abbassata dell'elmo, alla luce dei fari accesi del capannone industriale alle sue spalle, gli occhi di Shin fissi sul Demone del Veleno brillavano di un odio smisurato quale Naza non ricordava di avergli mai visto, nemmeno quando lottava contro di lui al servizio di Arago.
    D'un tratto l'espressione del samurai cambiò: Naza vide le pupille del ragazzo dilatarsi in uno stupore perplesso e puntarsi in alto, dove vi erano solo nuvole e pioggia, come se Shin avesse visto, o forse solo avvertito, qualcosa di allarmante in un luogo lontano.
    Il Demone del Veleno non perse tempo a farsi troppe domande. Deciso a cogliere il prezioso istante di distrazione dell'avversario, affondò il suo attacco. Shin reagì, ma con un momento di ritardo sufficiente a che le lame di Naza colpissero la sua armatura in uno stridio sinistro, aprendo due solchi fumanti sul pettorale azzurro dell'Armatura dell'Acqua.
    Il samurai gettò un grido rabbioso di dolore. La sua energia sfavillò nel buio e la pioggia stessa sembrò condensarsi attorno alle lame della lancia a tre punte, quando essa scaricò la propria potenza contro il demone, che non si lasciò cogliere di sorpresa. Rapido come il pensiero, Naza si gettò di lato nel fango e scagliò il suo attacco più micidiale, maneggiando le spade come fossero una sola.
    La scarica abbacinante di Shin travolse terra e alberi, abbattendosi come il tracimare di un fiume impazzito sul bosco che circondava il capannone, il cui piazzale si era trasformato nel campo di battaglia tra il demone e il samurai. Al contempo, l'esplosione vermiglia scaturita dalle lama di Naza avvolse Shin in una nuvola di soffocante vapore tossico, che lo costrinse ad arretrare annaspando senza respiro.
    I due guerrieri, si fronteggiarono tra il fango e la pioggia, riprendendo fiato.
    «Adesso sei tu il demone» sibilò Naza, amaro, mentre studiava i danni che era riuscito a infliggere all'Armatura dell'Acqua.
    Il giovane samurai ghignò. «Così pare, ma tu di certo non sarai mai un angelo, Yamanochi Naotoki.»
    Naza rise sarcastico. «Quel nome non significa più niente per me, puoi risparmiarti la fatica di ricordarmelo. Dimmi il tuo, piuttosto, o ne troverò uno io per te: uno che non ti piacerà.»
    Shin gli puntò la contro la lancia e rise. «Il mio nome è quello della tua nemesi!»
    «Non usare parole difficili» rispose Naza con disprezzo, preparandosi ad attaccare di nuovo. Guardò il capannone alle spalle di Shin. Sapeva che cos'era quell'edificio, per averne fatto più volte meta di sporadiche incursioni notturne, attirato da ciò che celava tra le sue mura grigie. Non era stato per caso che aveva portato lì il samurai. Se fosse stato necessario, si disse, lo avrebbe spinto là dentro, e allora l'Entità avrebbe smesso di ridere.
    Inaspettatamente, Shin abbassò la lancia e la maschera del suo elmo si aprì rivelando il sorriso di trionfo dipinto sul volto del ragazzo. «È tutto inutile, Naotoki. Avete perso: Shû Rei Fang è nelle mie mani.»
    Naza controllò la propria sorpresa a quelle parole inaspettate. «Hai preso Shû, dici?» rispose, mentre valutava la distanza tra il samurai davanti a lui e il capannone illuminato dalla luce fredda dei fari alle sue spalle, «e cosa mi dici della Gemma del Cielo? Hai preso anche quella?» Sogghignò nel vedere il samurai che risollevava la lancia. «Ho l'impressione che non abbiamo ancora perso, anzi, potremmo anche bilanciare il conto. Mi basterà fare in modo che tu lasci Shin, allora saremo di nuovo pari.»
    Avanzò di un passo verso il samurai che ora gli puntava contro la sua arma.
    «Non ne uscirai vivo» ringhiò Shin.
    Le lame del demone si tinsero di una luce scarlatta, mentre la loro energia velenosa scorreva sul metallo stregato in fumanti rigagnoli cremisi. «Vedremo» sibilò Naza.
    Il demone scattò all'attacco con la rapidità di un serpente che svolge le sue spire. Le sue spade disegnarono linee di fuoco nella pioggia incessante e si abbatterono sul samurai in un unico colpo micidiale. Shin alzò l'asta della lancia a fermarle, ma l'impeto del demone gli piegò le braccia, tanto che il viso nascosto dalla maschera dell'elmo di Naza si trovò a pochi centimetri dal suo.
    L'energia bruciante della yoroi stregata del demone incendiò l'Armatura dell'Acqua di riflessi sanguigni e Shin gridò di dolore, come se un acido lo stesse consumando attraverso il metallo. La lancia del samurai scattò così veloce che Naza quasi non lo vide nemmeno. Il demone si tirò indietro, ma non riuscì a evitare il colpo. Le lame del tridente, cariche del loro potere, s'insinuarono in parte nell'articolazione della sua armatura, ferendogli la spalla destra. Prima che Naza riuscisse a disimpegnarsi, Shin impresse una rotazione violenta all'arma e strappò via un pezzo dell'armatura verde e rossa del demone in un lampo vermiglio.
    Naza trattenne il gemito di dolore che gli salì alle labbra. Roteò le spade, per respingere il nuovo assalto di Shin, ma questi fu più rapido e feroce. Le lame del tridente questa volta si serrarono sull'elmo crestato del demone, ferendogli il volto attraverso le aperture della visiera, e lo strapparono via nel momento in cui Naza si scagliò ancora contro di lui e gli finì addosso.
    Le due armature sorelle avvamparono di nuovo. Shin gridò e lanciò un'imprecazione furiosa, mentre calava l'asta della lancia a colpire il demone. Nello stesso istante, Naza roteò il polso e raggiunse il samurai al collo, nel punto lasciato scoperto dal metallo.
    Shin spalancò gli occhi. Portò la mano al punto offeso e strappò via la siringa che Naza aveva estratto fulmineo dal guanto, per conficcargliela nella carne e iniettargli tutto il suo contenuto. Stupefatto, il samurai sembrò realizzare cosa fosse accaduto solo un istante prima di afflosciarsi come un sacco vuoto tra le braccia del Demone del Veleno.


    Anubisu ghignò di soddisfazione davanti all'espressione incredula che apparve sul volto conratto di Seiji, nel momento in cui il varco si richiuse sopra le loro teste. Avvertiva nella sua armatura il riverbero della yoroi di Shuten, ma l'eco di quella di Ryo era scomparsa. Quello che gli cancellò il ghigno dalla faccia fu però il rendersi conto che anche l'Armatura della Terra era sparita dalle sue percezioni.
    Il Demone dell'Oscurità sputò un grumo di sangue e sollevò la spada. Respirava a fatica e sentiva che l'ultimo, violentissimo colpo infertogli dal Samurai della Luce doveva avergli rotto qualcosa dentro, ma decise di non pensarci. Poteva farcela, si convinse. Era messo male, ma Seiji non se la passava meglio.
    Il samurai si girò verso di lui. Da sotto l'elmo un rivolo di sangue gli colava sul viso, appiccicandogli i capelli biondi alla fronte sudata. Seiji digrignò i denti in una smorfia di stupore rabbioso. «Il maledetto Shakujo di Kaosu obbedisce ancora a quel dannato demone dell'inferno» ringhiò.
    Anubisu sollevò un sopracciglio in un'espressione poco convinta, nel comprendere il significato delle parole del samurai. «Non sono sicuro di chi obbedisca a cosa, ma adesso poco importa: il tuo varco è chiuso. Lo avevo detto che Shuten ti avrebbe fatto passare la voglia di ridere.»
    Seiji storse il volto in un'espressione di sarcasmo crudele. «Ho preso Rei Fang e Sanada è ancora mio. Il tuo amico ha fallito.»
    «Non è la prima volta che gli capita, ma ci sono qua io a rimediare, come al solito» finse di minimizzare Anubisu, mentre l'idea che l'Entità li avesse beffati portando via Shû gli rodeva l'anima. «Se abbiamo perso un samurai, vedrò di recuperarne un altro. Vivo o morto, non fa differenza» affermò e non attese repliche.
    Fulmineo, scattò all'attacco avvolto nel potere oscuro della sua yoroi. Il lampo di energia scagliato da Seiji non lo sorprese, riuscì a evitarlo, seppure di un soffio, e abbatté la sua lama sull'avversario che parò l'affondo e replicò con violenza.
    Demone e samurai proseguirono il loro scontro senza tregua attraverso la battaglia che ancora infuriava attorno al palazzo di Arago in rovina, tra i guardiani dello Yoja-kai e gli esseri invasori venuti dal mondo degli uomini. La lama di Seiji scagliava lampi di energia abbaglianti che, mancando il bersaglio, andavano a spazzare ciò che restava del giardino ormai ridotto a cumuli di macerie e terra rivoltata.
    Più volte l'energia oscura di Anubisu falciò falangi di esseri informi, finiti tra lui e il suo avversario mentre combattevano alla cieca contro lo schieramento compatto dei soldati fantasma nelle armature nere. Pur concentrato nella sua battaglia personale, Anubisu si rese conto che le forze del palazzo stavano finalmente recuperando vantaggio sugli invasori. Privi di una guida e di una minima intelligenza che potesse condurli ad altro che non fosse una violenza cieca e brutale, gli esseri deformi si riducevano rapidamente di numero, senza più ricevere rinforzi attraverso il varco serrato.
    Quando infine Anubisu vide ricomparire Rajura, seppe che la battaglia era giunta al termine.
    Non si attardò a guardare il compagno fare strage di ciò che rimaneva degli invasori, ancora stupidamente assiepati attorno al palazzo a graffiare e mordere come belve muri e armature. Anubisu non si chiese dove fosse Shuten, e perché Rajura fosse tornato da solo. A Kayura preferì non pensare, con lei avrebbe fatto i conti più tardi. Adesso gli importava solo una cosa: strappare Seiji al controllo dell'Entità, in un modo o in un altro.
    Il Demone dell'Oscurità strinse i denti e resistette allo stordimento che gli ottundeva i sensi. Respirare era sempre più doloroso e a tratti la vista sembrava mancargli. Seiji da parte sua adesso era decisamente in difficoltà: la sua armatura lucente appariva ammaccata e sfregiata in più punti. Il viso era una maschera di sangue.
    A quanto pareva, pensò Anubisu, l'Entità non era disposta a mollare. Forse sperava ancora di recuperare la Gemma del Cielo, o forse voleva semplicemente uccidere lui. Ecco, questa gli parve essere il motivo più plausibile per cui Seiji era ancora lì. Il fendente che lo raggiunse a una gamba, facendolo crollare a terra, lo costrinse a pensare che forse l'Entità si sarebbe tolta almeno quella soddisfazione.
    Anubisu sentì il ruggito di trionfo di Seiji e alzò la testa a guardare il samurai sollevava la spada su di lui. D’un tratto però Seiji vacillò sulle gambe, mentre una luce di coscienza sembrava emergergli negli occhi ora confusi. Chiuse le palpebre e sembrò sul punto di cadere, quasi fosse stato d’un tratto svuotato di ogni forza, ma fu solo un istante: il samurai riaprì gli occhi di scatto, di nuovo accesi di una luce folle. Risollevò la spada, che quasi gli era caduta di mano, non riuscì però a calare il colpo, costretto a scattare all'indietro, inarcando il corpo, per sottrarsi alle lame affilate di Rajura lanciate contro di lui, che gli graffiarono il pettorale dell'armatura.
    L'insulto feroce che Seiji sputò addosso al Demone dell'Illusione riecheggiò ancora per diversi istanti, dopo che il samurai fu scomparso nel bagliore della sua Sfera.

    Il Samurai della Luce piombò come una furia sullo spiazzo prospiciente il capannone nel bosco. L'energia del suo potere si irradiava come un'aureola verde attorno a lui.
    «Dammi quel ragazzo, demone!» l'ordine gli uscì dalla gola con un urlo rauco.
    Naza aveva smesso di sorprendersi per la velocità acquisita dai samurai. Aveva percepito Seiji solo un istante prima che gli comparisse alle spalle, furibondo, lasciandogli appena il tempo di voltarsi.
    Con Shin tra le braccia, abbandonato come morto, Naza indietreggiò verso il capannone.
    «Ti ho detto di darmelo! Mettilo giù» le parole erano appena distinguibili nel ringhio della voce contorta.
    «Vieni qui a prenderlo» sibilò Naza oltrepassando la saracinesca rimasta squarciata durante il suo scontro con il Samurai dell'Acqua. Lasciò scivolare a terra le gambe di Shin per liberare il braccio, e estrasse la spada dal fodero dietro la spalla sinistra, mentre indietreggiava ancora, nell'ombra dei fusti metallici ammassati nel magazzino del capannone. Il simbolo del pericolo chimico brillò, disegnato sui contenitori sinistri, nella vernice gialla e nera al bagliore emanato dalla yoroi di Seiji che lo seguì, inoltrandosi a sua volta tra le colonne di fusti impilati.
    «Da come lo stringi sembra che te ne sia innamorato» ringhiò Seiji di tra i denti biancheggianti nella maschera scura di sangue rappreso che gli impiastrava il viso.
    «Già, e sono un innamorato geloso: lo ammazzerò piuttosto che lasciarlo a te» rispose Naza, continuando a indietreggiare.
    Seiji ancora gli andò dietro. Mise un piede nel liquido appiccicoso e maleodorante sparso a terra, ma non parve curarsene. «Possiamo metterci d'accordo» disse mellifluo. «Unisciti a me, io non sono Arago, non ti ingannerò. Ho bisogno di guerrieri come te.» Continuò ad avanzare verso Naza, adesso immobile. «Non ti annoia vivere nel ridicolo mondo pacifico creato da Kayura? Tu non sei mai stato fatto per vivere così, nemmeno nella tua epoca. Sei nato per dominare. Il tuo potere unito al mio potranno conquistare il mondo.»
    «Non sei Arago, ma parli come lui.» Gocce vermiglie apparvero sulla lama della spada che Naza stringeva in pugno. «Hai fatto la stessa promessa anche a Anubisu? Dov'è? Non lo vedo.»
    «Che t'importa di lui? Non dovrai dividere con nessuno il dominio che ti offro. Tu sei una creatura del Male, vieni con me, il tuo posto non è nello Yoja-kai di Kayura!»
    «Grazie, ma io e gli altri abbiamo faticato parecchio per rendere lo Yoja-kai quello che è oggi, e ti assicuro che è ancora molto meno pacifico di quanto sembri. Inoltre, l'idea di avere a che fare con un altro Arago non mi sorride per niente.» Trattenne ancora la sostanza sul filo della lama e guardò i fusti rugginosi tutto attorno a loro. L’odore acre che ben conosceva, per aver fatto diversi esperimenti con quella roba in passato, gli solleticò piacevolmente le narici.
    «Arago è sempre stato un idiota!» ruggì Seiji. «Basta guardare gli uomini che si è scelto come demoni per capirlo!»
    Scattò in avanti e quasi sorprese Naza, rimasto allibito dalle sue parole. Sentir definire l'imperatore Arago, uno dei demoni più potenti tra le troppe dimensioni del male, come un idiota lo aveva lasciato di sasso. Reagì all’ultimo istante, evitando la lama di Seiji, ben mirata alla sua testa, e scagliò la spada contro i contenitori metallici, colmi di liquido tossico che s’infiammarono al contatto con il suo veleno in un bagliore accecante.
    Naza si teletrasportò via con Shin in tempo per non restare coinvolto nella tremenda esplosione che cancellò l'intera zona, in un raggio di centinaia di metri.


    Cap. XX
    Gli amici ritrovati

    Tôma si svegliò di soprassalto dal torpore dello svenimento in cui era sprofondato, quando Ryo gli aveva quasi letteralmente bruciato il cuore nel petto. Scuotendosi in un brivido violento alla sensazione che lo aveva travolto, il giovane aprì gli occhi.
    L'improvviso bagliore rosso avvampato nella sua prigione quasi lo accecò, ma non lo sorprese: Tôma aveva riconosciuto il Potere del Fuoco nella sensazione che lo aveva risvegliato e si aspettava di veder tornare Ryo. Ebbe però un sussulto stupefatto quando, assieme a lui, si vide comparire davanti anche Shû.
    Avvolti nello sfolgorio bruciante della Sfera del Fuoco, armati delle loro yoroi, Shû e Ryo si materializzarono di fronte a Tôma avvinghiati l'uno all'altro, come in lotta tra loro.
    Nell'istante in cui la bolla di energia svanì, Ryo lasciò la spada che stringeva in pugno. L’arma cadde al suolo in un clangore metallico che rimbalzò nel buio in un eco infinito, mentre Ryo si afflosciava, faccia in giù, senza emettere un lamento. Libero dalla sua stretta, Shû si era già allontanato bruscamente da lui e lo fissava ora con ira, da alcuni passi di distanza, tremando come una foglia.
    Tôma si dibatté nei legacci che di nuovo lo imprigionavano all'asse su cui era disteso. «Shû!»
    Il Samurai della Terra si girò verso di lui e lo guardò con ostilità, alla luce azzurrognola del braciere acceso poco distante da loro. «Non crederai di fregarmi ancora, demonio maledetto!» gridò mostrando il pugno serrato.
    «Shû! Sono io! Sono io!» esclamò Tôma, mentre cercava inutilmente di protendersi verso l'amico.
    Lo sguardo di Shû si fece incerto al tono esasperato della sua voce. «Tôma, sei davvero tu?» chiese il samurai con diffidenza.
    «Certo che sono io, accidenti a te! chi vuoi che sia, la Fata Turchina?!» proruppe Tôma, agitandosi contro l'asse fino a lacerare la stoffa leggera del pigiama da ospedale che aveva ancora indosso.
    Shû abbassò il pugno e sbatté le ciglia, quasi fosse in lotta contro i propri dubbi. «Non ti ha preso, sei davvero tu» mormorò infine. Guardò il compagno, come lo vedesse realmente solo in quel momento e, quando si accorse di come fosse legato, corse da lui, senza più esitare. «Io credevo... perdonami, non so più cosa credere» disse mentre strappava via i lacci dai polsi e le caviglie insanguinate dell'amico.
    «Ti capisco, Shû. Al tuo posto avrei dubitato anch'io» rispose Tôma. Aggrappato a lui riuscì a sollevarsi seduto. Strinse i denti, resistendo al dolore che gli tormentava la gamba rotta. «Non so perché, ma quella cosa mi ha lasciato perdere pur avendomi catturato.»
    «Lo so io perché» ringhiò Shû: «sei ferito e finché starai male non ti toccherà» si girò verso Ryo. «Non so come sia possibile, ma sembra che, quando si trovano sotto il controllo di quella cosa, Ryo, Shin e Seiji siano come uniti uno all'altro: il dolore di uno si ripercuote sugli altri. Per questo ho cercato di ferire Ryo: per liberarli tutti. Non avevo altra scelta» disse infine e la sua voce vibrò di una nota dolente.
    Tôma guardò anche lui l'amico svenuto. Si raddrizzò per lo sgomento, quando si avvide degli sfregi sull'Armatura del Fuoco e del sangue che incrostava i capelli neri di Ryo, privo del suo elmo. «Sei... sei stato tu a conciarlo così?» domandò. Sconvolto si ritrasse da Shû, come se la yoroi della Terra si fosse fatta d'un tratto rovente e l'avesse scottato.
    «No, io... io sono riuscito a colpirlo una volta sola, e neanche tanto forte» rispose Shû. Gettò uno sguardo colpevole al samurai a terra poi tornò a volgersi verso Tôma. «È stato Shuten a ridurlo in questo stato. Per un attimo ho creduto che quel demone l'avrebbe ammazzato, che si sarebbero ammazzati l'un l'altro, così sono intervenuto per separarli. Appena l'ho toccato, Ryo... no, l'Entità ci ha portati via tutti e due dallo Yoja-kai, e ora mi trovo qui.»
    Tôma sentì torcere le viscere, nell'intuire, dai danni visibili sull'armatura rossa di Ryo, tutta la violenza dello scontro tra il generale di Arago e il Samurai del Fuoco.
    «Allora è vero...» mormorò con un filo di voce.
    «Che cosa? Che Shuten è ancora vivo? Beh, posso assicurartelo io, come posso garantirti che non è per niente cambiato: la prima cosa che ha fatto, quando mi ha visto, è stata prendermi per il collo come un tacchino!» esclamò Shû e si passò una mano sulla gola, come sentisse ancora la stretta del demone togliergli il respiro.
    Tôma si aggrappò di nuovo all'amico e si mise in piedi. «Aiutami, portami da Ryo» disse e già cercava di trascinarsi vero il Samurai del Fuoco.
    Shû s'irrigidì e lo trattenne. «Cosa vuoi fare?» chiese in tono preoccupato.
    «Guarda come è ridotto. Se è come dici, credo che Ryo sia libero adesso» affermò Tôma, mentre premeva per farsi portare vicino al compagno privo di sensi.
    «Non ti fidare. Nonostante fosse ferito, l'Entità era ancora padrona di lui quando ci ha portati qui» lo avvertì Shû, ma cedette all'insistenza dell'altro e assieme si accostarono al compagno esanime a terra.
    Con l'aiuto di Shû, Tôma sedette di traverso al fianco di Ryo sul terreno, che scoprì essere coperto di cemento, e cercò di rovesciarlo sulla schiena. Il Samurai della Terra si chinò a sua volta e, preso il compagno svenuto per una spalla, lo girò finché ricadde a faccia in su.
    Ryo emise un gemito e il suo volto ebbe un fremito. Subito Shû si ritrasse e, lanciata un'esclamazione di avvertimento, tirò indietro anche Tôma.
    Entrambi sulla difensiva, i due amici guardarono Ryo che riprendeva i sensi e riapriva gli occhi, confuso, nel chiarore freddo dell'innaturale fuoco azzurro che a malapena illuminava l'ambiente in cui si trovavano, umido e maleodorante di muffa vecchia.
    «Ryo» chiamò Tôma, piano, con voce titubante.
    Il compagno si girò verso di lui e, per un terribile istante, Tôma temette avesse perduto la ragione davanti allo sguardo vacuo delle sue pupille dilatate all'inverosimile, fino quasi a far scomparire l'azzurro delle iridi. Poi, lentamente, una luce di coscienza ricomparve in fondo al pozzo buio, in cui si erano trasformati gli occhi del giovane samurai, e Ryo sillabò il nome dell'amico con un tono incredulo nella voce flebile.
    «Tôma» disse incerto. «Tôma sei tu?»
    Soffocato dall'emozione di vedere il compagno tornare in sé, il Samurai del Cielo non riuscì a rispondere, mosse solo il capo ad annuire sorridendo di sollievo.
    «Shû» mormorò Ryo, spostando lo sguardo sull'altro amico. «Shû, mi dispiace...»
    «Non è colpa tua» rispose il Samurai della Terra, ma rimase a distanza, sempre sulla difensiva.
    Ryo portò entrambe le mani al volto e affondò le dita tra i capelli sporchi e scarmigliati. «Che cosa ho fatto» sussurrò a metà tra l'ira e lo sgomento.
    Tôma lo afferrò per i polsi e lo costrinse a scoprire il viso. «Non è il momento di lasciarsi prendere dallo sconforto, Ryo! Avanti, guardami! Dobbiamo uscire da questo posto!» esclamò.
    «Per andare dove? Quella cosa tornerà, non possiamo sfuggirgli» replicò Ryo. Poi si sollevò con il busto a protendersi verso Shû. «Andate voi! Shû, tu sei protetto dal Gioiello della Vita, porta Tôma nello Yoja-kai, da Kayura e gli altri. Portalo là, prima che Shin e Seiji siano di nuovo qui, e prima che l'Entità riprenda anche me.»
    Shû distolse il viso e sembrò guardare nel buio. «Non mi sembra che lo Yoja-kai sia un posto così sicuro» rispose, con voce incrinata. «Anzi, direi che forse non ne è nemmeno rimasto granché, ormai. Il palazzo di Arago è ridotto a un mucchio di rovine, e Seiji era ancora lì, mentre Shin non ho idea di dove sia finito.»
    Ryo si tirò su, puntellandosi sulle braccia. «Anche Nasti e Jun con Bayuken sono ancora lì. Devi tornare da loro, Shû! e porta Tôma con te!» esclamò come stesse impartendo un ordine.
    «Andremo insieme, non possiamo abbandonarti» replicò Tôma. Fece per prendere l'amico per un braccio, ma Ryo lo respinse e si scostò da lui, trascinandosi sul cemento viscido.
    «No! Tornerà a prendermi, lo sapete anche voi. Tornerà e non voglio ritrovarmi un'altra volta a combattere contro Shuten o nessuno degli altri demoni, o contro di te!» gridò rivolto a Shû. «Tornate da Kayura, lei è l'unica che può salvarci tutti.»
    «Allora siamo fregati!» sbottò Shû, girandosi di nuovo verso gli amici. «Se non fosse stato per Shuten, il varco tra questo mondo e lo Yoja-kai sarebbe ancora aperto a vomitare quelle cose orrende sul palazzo di Arago. Sembra che Kayura sappia usare lo Shakujo di Kaosu solo come sonaglio, mentre Shuten lo usa ancora sin troppo bene.» Si interruppe e fece una smorfia, mentre guardava il sangue che impiastrava i capelli di Ryo. «Solo a un demone poteva venire in mente di usare il bastone di un monaco buddista, per rompere la testa a un samurai» bofonchiò infine, incrociando le braccia sul petto.
    «Va bene, ora basta» s'impose Tôma, mentre respingeva gli interrogativi riguardo Kayura che le parole del compagno gli avevano suscitato nella mente. Non era il momento di pensarci, decise. «Shû, aiutaci a rialzarci per favore. Se l'Entità non vuole perdere il controllo anche di Shin e Seiji, non può impossessarsi di nuovo di Ryo, ferito com'è. Sei ridotto uno straccio, amico mio. Dubito tu abbia tutte le ossa a posto» disse allungando una mano sulla spalla del compagno, coperta dall’armatura ammaccata.
    Ryo scosse la testa e cercò ancora di allontanarsi, ma Shû lo afferrò saldamente e lo tirò in piedi assieme a Tôma.
    Ryo si aggrappò a lui, per non cadere. «Andate via» disse, e questa volta la sua voce suonò quasi implorante.
    «No, resteremo tutti insieme. Però togliamoci da qui, prima di vederci arrivare addosso Seiji e Shin» rispose Tôma. Si guardò intorno, indeciso su dove andare. Al di là del cerchio di pallida luce azzurrina del braciere, tutto era avvolto nelle tenebre più buie.
    «Posso portarvi fuori da questo posto entrambi» si offrì Shû e già era sul punto di caricare la propria energia, quando Tôma lo fermò bruscamente.
    «No! Qualsiasi cosa stia tenendo Shin e Seiji lontani da qui ora, l’Entità ce li fionderà addosso all’istante, se usi la tua yoroi» ammonì il Samurai del Cielo.
    «Il qualcosa che sta tenendo occupati Shin e Seiji sono Naza e Anubisu» precisò Shû, storcendo il naso. Ryo si appoggiò più pesantemente a lui e serrò le labbra.
    Tôma rabbrividì, ma il suo non fu un brivido di freddo. «Sono certo che si fionderanno qui, vi dico» insisté. «Usciamo con le nostre gambe, o almeno proviamoci, e intanto vediamo di scoprire dove accidenti siamo.» Si guardò di nuovo intorno e ascoltò l'eco dello sgocciolare e scorrere d'acqua che risuonava nel buio.
    «C'è qualcosa in questo posto. L'Entità non mi ha tenuto qui per caso, ne sono certo. Scopriamo cos'è» disse ancora.
    «Non si vede un accidenti» mugugnò Shû. Ryo cercò di raddrizzarsi, tenendosi a lui, mentre girava intorno lo sguardo sofferente.
    «Possiamo provare a fare una torcia con quello» disse il Samurai del Fuoco, indicando il braciere azzurro. «Aiutatemi a raccogliere la spada, e tu, Tôma, per favore, dammi un pezzo della tua camicia. Mi serviranno anche le corde che ti tenevano legato.»
    «Ci penso io» disse Shû. Trascinò i compagni verso l'asse su cui era stato disteso Tôma, perché potessero sostenersi in piedi, poi andò rapido a raccogliere la katana di Ryo e tornò indietro. La tese a Tôma, il quale nel frattempo, aveva strappato entrambe le maniche del pigiama in cotone.
    Con gesti nervosi, Ryo legò la stoffa alla punta della sua lama con i lacci che avevano imprigionato il Samurai del Cielo, poi afferrò la spada dalle mani del compagno.
    «Ora speriamo che funzioni» disse Ryo, mentre sostenendosi a Shû si avvicinava al braciere e vi tendeva sopra il groviglio di stoffa e quella che pareva corda, ma non lo era.
    L'involto prese a fumare, poi si accese in una sorta di fiamma blu che irradiava una luce stentorea.
    «Che schifo, ma che razza di fiamma è questa?» borbottò Shû, guardando disgustato la sorta di fuoco fatuo che avvolgeva la parte finale della spada di Ryo.
    «Non lo so, ma concordo con te: fa veramente schifo» rispose Ryo. Tese la katana davanti a sé, tenendola dritta come fosse davvero una torcia. Dal buio emersero mura di cemento incrostate di muffa e altro lordume, rigato da sottili rigagnoli di umidità che scintillarono come bava di lumache al bagliore azzurrino irradiato dalla fonte di luce improvvisata. «È orribile, però funziona e pare la stoffa bruci molto lentamente. Forse durerà più di quanto speriamo.»
    Recuperato Tôma, i tra amici si mossero assieme, Ryo e Tôma avvinghiati a Shû, a ispezionare i muri finché trovarono un'apertura. Una specie di corridoio fetido si aprì davanti a loro.
    «Andiamo?» domandò Shû, bilanciando meglio il peso dei due amici che teneva stretti per la vita, mentre loro si sostenevano alle sue spalle, uno per lato.
    «Andiamo» rispose Tôma. Il freddo del cemento bagnato gli mordeva i piedi scalzi e il gelo quasi gli faceva battere i denti, ma resistette e riuscì a non lasciarsi sfuggire nemmeno un gemito al dolore che lo aggredì, ancora più forte, quando Shû si inoltrò nel corridoio, trascinando lui e Ryo con sé.


    Edited by Farangis - 24/4/2018, 12:25
     
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    Puoi sfruttare sempre questo topic,magari modifichi il testo iniziale aggiungendo i prosegui,puoi scrivere "parte 1-parte 2" e via così e lo metti sotto spoiler in modo da non esser troppo lungo e occupare tutta la pagina,così chi vorrà leggerlo clicca sullo spoiler e apparirà solo la parte che si vuole leggere :saltella:
     
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  5. Farangis
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    Grazie per l'indicazione,ho provato a inserire il secondo capitolo come mi hai suggerito e poi ho provato a caricarlo come nuovo topic, ma ora non riesco a cancellare quest'ultimo.
    Chiedo scusa per la confusione 😅
    Proseguo qui 😀
    Cap. XXI
    Volontà e rancore

    Nasti non poteva più a tenersi dritta sui piedi feriti, il dolore era tale che a stento la giovane riusciva a trattenere le lacrime.
    Bayuken l'aveva portata in groppa sin lì, nel padiglione rimasto miracolosamente intatto, dove, con l'aiuto di Rajura, lei e gli altri erano andati a rifugiarsi dal fuoco e dalla devastazione. Appena la tigre si era fermata, la ragazza era scivolata giù dalla sua schiena sul tatami che copriva l'assito del pavimento.
    Nasti carezzò con gratitudine il muso di Bayuken e si girò verso Jun, a guardarlo nella luce tremula delle lanterne accese intorno. Il ragazzo serrava la spada di Ryo tra le dita di in una mano; nell'altra reggeva l'elmo del Samurai del Fuoco, annerito e ammaccato. In piedi accanto a Shuten, accasciato contro la parete di legno, fissava il demone a occhi sbarrati, il viso pallido e teso.
    Nasti sentì una stretta allo stomaco. L'armatura del generale di Arago appariva squarciata su di un fianco e il braccio sinistro era rigato di sangue. La domanda di Jun la fece tremare nella sua ingenuità da bambino.
    «Non morirai un'altra volta, vero?» chiese il ragazzo con voce colma di sgomento.
    Shuten non rispose, ma sorrise lievemente e levò una mano a stringergli il polso. Jun tirò su col naso e inghiottì le lacrime. Non guardò Kayura, inginocchiata vicina a loro, che gli sfiorava la spalla per fargli coraggio, e Nasti gli lesse in volto lo stesso interrogativo pieno di rimprovero che anche lei, suo malgrado, sentiva bruciare nel cuore.
    «Kayura, perché? Perché hai permesso che accadesse?» domandò infine, senza più riuscire a trattenersi.
    Kayura ritrasse la mano tesa a carezzare Jun e si fece indietro abbassando la testa. «Io... » cominciò a dire, poi s'interruppe e sembrò non trovare parole per proseguire.
    Nasti strinse i pugni tanto da affondare le unghie nei palmi. Non le avrebbe permesso di cavarsela così, pensò e poco le importò dell'occhiata di disapprovazione che Shuten le rivolse. Ce ne sarebbe stato anche per lui, decise. Forse, se non si fosse messo in mezzo, Kayura si sarebbe infine decisa a fare qualcosa, e poi perché continuava a comportarsi come se quella ragazza fosse una sua responsabilità? Non aveva già fatto sin troppo per lei?
    D'un tratto, a quell'ultimo pensiero, Nasti si vergognò di se stessa: non aveva il diritto di formulare giudizi, né su Shuten, né su Kayura, si disse. Lei non poteva comprendere cosa fossero state le loro vite nello Yoja-kai, sotto il dominio di Arago, e non sapeva niente di ciò che gli era successo dopo la caduta dell'Imperatore.
    Nasti ripensò alla terribile combattente che era stata Kayura, quando nessuno pareva riuscire a fermarla, e a come la ricordava poi, dopo la sconfitta di Arago. La ricordò com'era: finalmente libera, con indosso quel kimono da principessa di un'altra epoca, che pareva troppo grande per lei, e i profondi occhi blu accesi di speranza.
    Fu in quell'istante che Nasti temette di realizzare il senso delle le parole sprezzanti rivolte alla ragazza dall'Entità nel corpo di Ryo: Kayura era stata manovrata da Arago e il suo ministro per quattrocento anni, come fosse una bambola, un guscio vuoto senza identità. Ma lei, Kayura, lei chi era? La combattente inarrestabile o la ragazza dal viso dolce, quasi da bambina, per la cui salvezza Shuten Doji era stato disposto a dare la vita?
    Con quell'interrogativo improvviso a bruciarle la mente, Nasti guardò la ragazza vecchia di quattro secoli mai consapevolmente vissuti, come la vedesse solo allora, e le parve più piccola e fragile che mai, mentre ella sembrava fissare il sangue del generale di Arago sulle sue mani, come fosse stata lei stessa a versarlo, per la seconda volta.
    «Kayura» chiamò Nasti e nella sua voce c'era già la richiesta di perdono che stava per pronunciare.
    Kayura levò il viso a guardarla, ma l'improvviso alzarsi di tono del pigolio ininterrotto di Yatate attirò la sua attenzione sul medico chino su Shuten. Anche Jun si scosse e smise di fissare il demone, per guardare il piccolo dottore trafelato.
    «Sarebbe d'aiuto, giovanotto, se lei mi dicesse una buona volta come toglierle questa cosa da dosso!» stava protestando Yatate, costretto infine a prendere atto dell'impossibilità di riuscire a allentare la yoroi blu e grigia del demone.
    Shuten lo fulminò con uno sguardo micidiale che troppo aveva del demone di un tempo. Nasti non avrebbe saputo dire se fu per l'appellativo, decisamente poco consono, con cui Yatate si era rivolto a lui o per l'amarezza di aver perduto Shû e Ryo, o per entrambe le cose, ma, per un momento, il generale di Arago sembrò tornare quale era stato quando era al servizio dell'Imperatore, e lei rabbrividì della stessa paura di allora.
    «Mi lasci in pace, non abbiamo ancora finito» rispose Shuten con durezza e mosse un gesto brusco per allontanare il medico. Questi però non si lasciò scacciare e, tra lo stupore di tutti, lo tenne giù, quasi sedendoglisi sopra a cavalcioni, mentre lui cercava di rialzarsi.
    Il demone si fermò, ma non certo perché le forze di Yatate fossero sufficienti a trattenerlo, e Nasti temette seriamente che il povero dottore avrebbe fatto una brutta fine. Anche Kayura si mosse, come sul punto di intervenire, mentre Jun si scostava di un passo, ma Shuten si limitò a guardare, con gli occhi grigio verdi pieni di stupore, il piccolo uomo sudato che gli teneva le mani ossute piantate sulle spalle. Forse troppo sorpreso da quell’audacia inaspettata per reagire, il demone rimase dov'era.
    Nasti ebbe un moto di simpatia per Yatate, quando lo vide raddrizzarsi e sistemare gli occhiali sul naso con un gesto quasi di trionfo.
    «Lei ha finito, eccome!» squittì il medico, pur pallido di spavento, «e anche lei!» aggiunse rivolto a Anubisu, che ostinatamente si reggeva in piedi a confabulare con Rajura sulla soglia del padiglione, nonostante la ferita alla gamba e il respiro affannato che gli gonfiava il torace sotto l'armatura.
    Anubisu gli rivolse una smorfia infastidita e si mosse nervoso, sorreggendosi alla sua spada nel bagliore sanguigno dei roghi che divoravano ciò che restava del Palazzo di Arago. «Ci mancava solo un nanerottolo umano a darci ordini adesso» bofonchiò.
    Rajura ebbe uno dei suoi sogghigni, ma non appariva per niente divertito e il suo volto era teso in un'espressione tutt'altro che rassicurante. «Fate quello che vi dice, almeno la smetterà di blaterare» disse, voltandosi a guardare qualcosa fuori dal padiglione. «Per il momento non mi aspetto che qualcuno dei samurai torni ad attaccarci, perciò potete anche farvi rammendare. Mi domando piuttosto dove diavolo sia finito Naza. Di certo farebbe un lavoro migliore del nostro nanetto petulante, qualora ne avesse voglia.»
    «Forse ha avuto la peggio con Shin. Dovremmo andare a cercarlo» rispose Anubisu e già pareva pronto a uscire, quando il Demone del Veleno sorprese tutti comparendo in mezzo al padiglione, con il Samurai dell'Acqua semiriverso all'indietro sul braccio con cui lo teneva stretto a sé.
    La sua bolla di energia era appena svanita, che Naza vacillò. Rajura, prontamente corso da lui, fece per sostenerlo, ma, accortosi del fango fetido che gli insozzava l'armatura danneggiata, si ritrasse bruscamente e lo lasciò cadere. Naza finì seduto per terra in un clangore metallico, mentre Shin scivolava esanime lungo disteso sull'assito lucido davanti a lui, dove rimase immobile, il capo abbandonato di lato e gli occhi chiusi.
    «Grazie» sibilò Naza, rivolgendosi torvo al compagno.
    Rajura, per tutta risposta, fece un'espressione schifata.
    Ripresosi dalla sorpresa, Jun si precipitò dall'amico, chiamandolo inutilmente per nome. Nasti poté solo trascinarsi sul pavimento verso di lui, in preda alla terribile convinzione che Shin fosse morto. Bayuken la superò con un unico balzo, per andare ad annusare il volto cereo del Samurai dell'Acqua. Subito però si ritrasse, arricciando il muso all'odore orribile emanato dalla yoroi azzurra.
    Come Jun prima di lei, Nasti portò una mano alla bocca, per soffocare il conato che le salì alla gola nell'avvertire a sua volta la puzza nauseabonda del materiale chimico appiccicato a Shin. La sua unica consolazione fu accorgersi che il giovane respirava ancora.
    «Ma bene: così sono rimasto intero solo io» sbottò Rajura, osservando corrucciato i danni riportati dal Demone del Veleno, ancora a terra.
    Naza sfilò l’elmo e terse con le dita il sangue che gli colava sul viso da un taglio sopra l'orbita sinistra. Rivolse a Kayura un'occhiataccia fredda, carica di rancore, poi si guardò intorno. «Almeno siamo ancora vivi» borbottò con voce rauca. Nel vedere Anubisu e Shuten storse però il naso e piegò le spalle. «Più o meno» aggiunse aspro, squadrando tetro i due compagni feriti.

    Seiji sentiva la pioggia bagnargli le palpebre chiuse e scivolare sul viso, attraverso l'apertura sugli occhi della visiera della maschera, serrata a proteggergli il resto del volto. Pura e fresca, l'acqua gli scendeva lungo il collo fino a infilarsi sotto la protoarmatura e raggiungere il torace e le spalle.
    Il giovane socchiuse gli occhi. Le gocce di pioggia rimasero impigliate sulle sue ciglia bionde, e gli apparvero, attraverso la vista annebbiata, come piccole sfere baluginanti alla luce fredda dei fulmini che attraversavano il cielo di piombo.
    Seiji aggrottò la fronte. Vedeva i lampi e sentiva la pioggia sul viso, ma non udiva niente: nelle orecchie avvertiva solo una sorta di ronzio ovattato, nessun altro suono riusciva a raggiungerlo.
    Mosse una mano e si trovò a raspare nel fango. Girò lentamente la testa. La spada della yoroi giaceva poco distante dalle sue dita guantate, immersa in una poltiglia giallastra. Seiji sbatté le ciglia nel tentativo di schiarire la vista, ma con poco successo. Alla luce dei lampi riusciva a distinguere la forma inequivocabile della sua arma e del suo stesso braccio, proteso verso di essa, oltre a ciò ogni altra cosa gli appariva distorta e sfocata.
    Realizzò di trovarsi in mezzo a una radura fetida, circondato da alberi abbattuti e bruciati. Un odore acre e nauseabondo ammorbava l'aria, ma la pioggia sembrava pian piano lavarlo via, così come lavava il metallo verde dell'Armatura della Luce, scorrendovi sopra in caritatevoli rigagnoli purificatori.
    Il samurai richiuse gli occhi e si abbandonò sdraiato per terra, semiaffondato nel fango.
    Era libero, di nuovo padrone di se stesso, ma per quanto tempo? si chiese.
    Digrignò i denti e quasi maledisse l'Armatura della Luce, per averlo protetto dall'esplosione violenta che lo aveva investito, quando Naza aveva scagliato la sua spada grondante di veleno contro quei fusti pieni di chissà cosa.
    Seiji ricordava ogni cosa, dal primo momento in cui l'Entità aveva preso il controllo su di lui fino a che si era risvegliato sotto la pioggia, in quel bosco devastato. Aveva fin troppo chiara la visione di se stesso che agiva come una marionetta, i cui fili venivano mossi da un burattinaio invisibile. Ma la cosa più atroce era il rendersi conto di come il burattinaio sapesse trarre le note peggiori dallo corde della sua anima. Erano l'odio e il rancore terribili e implacabili, che nemmeno sapeva di provare, verso Anubisu gli altri demoni di Arago, a incendiare la potenza della sua yoroi, fino a spingerla a compiere l'inverosimile.
    Come poteva, lui, Date Seiji, avere nell'animo sentimenti simili? si domandò incredulo, poi all'incredulità seguì la vergogna.
    Annaspando nella fanghiglia, Seiji tese il braccio fino a che le sue dita si chiusero sull'elsa della spada. Odio e rancore erano sentimenti meschini, indegni di lui, indegni di un samurai, si rimproverò pieno di vergogna. Trascinò la spada ad avvicinarla al fianco.
    Non avrebbe mai più potuto guardare in faccia i suoi familiari, i suoi amici, si disse con ira. Quell'Entità sconosciuta lo aveva coperto d'infamia, ma non le avrebbe permesso di giocare ancora con lui. Si sarebbe ucciso con le sue mani, piuttosto che vedersi trasformare di nuovo in un demonio assetato di vendetta.
    Seiji sollevò la spada quanto gli bastò per portare la lama all'altezza della gola. Ordinò dentro di sé alla yoroi di aprire la maschera per scoprire il collo, ma la maschera rimase chiusa.
    Il samurai ripeté l'ordine. Niente. L'Armatura della Luce non gli rispondeva più. D'un tratto gli pesò addosso, come divenuta qualcosa di estraneo, tanto che Seiji si sentì quasi soffocare. La spada rotolò via dalle sue dita e cadde di nuovo nella poltiglia che copriva il suolo.
    «Lasciami andare» ringhiò Seiji e con tutto se stesso cercò di respingere la sua stessa yoroi che non gli obbediva. «Devi lasciami andare, maledizione! Io non ti merito. Non sono degno di te!»
    Non ricevette risposta, solo si rese conto che, quanto più lottava, tanto più l'armatura diventava pesante, come volesse schiacciare la sua volontà con la propria.
    «Non è possibile» mormorò Seiji. Impossibilitato a muoversi, riusciva appena a respirare. Poi comprese: si obbligò alla resa. Abbandonò ogni idea di fare del male a se stesso e cercò di concentrarsi. Lentamente sentì la yoroi farsi più leggera e di nuovo riprendere forma attorno a lui, simile a una seconda pelle, pronta a obbedirgli come sempre.
    Quando Seiji si accorse che l'Entità stava tornando, rimase calmo, concentrato in una meditazione profonda. Avvertì la frustrazione della volontà aliena che cercava di raggiungerlo, ma la ignorò. Niente doveva turbarlo. Si immerse ancora più fondo nella meditazione, fino a dimenticare ogni cosa, persino se stesso. Poi arrivò quel suono strano, simile a una cantilena lontana, e la visione confusa di una fiamma azzurra, più simile a un fuoco fatuo che altro. L'odore nauseabondo si confuse con un vago sentore di muffa e il rumore della pioggia giunse a Seiji come un lontano gocciolio.
    Il Samurai della Luce ebbe un fremito. Oltre al cantilenare udiva delle voci parlare tra loro. Voci che conosceva. Voci amiche. Le udiva dentro la sua testa, poiché le orecchie restavano sorde.
    «Shû» mormorò, «Tôma.»
    L'immagine dei volti dei due compagni gli invase la mente come lui fosse fisicamente con loro, presente nel posto umido dov'essi dovevano trovarsi, con quella cantilena lontana in sottofondo. D'un tratto vide la sua mano stringere quella che pareva una delle spade di Ryo, sulla cui sommità bruciava il fuoco azzurrino che illuminava i volti di Shû e Tôma, proiettando sui loro lineamenti tesi strane ombre sinistre.
    L'istante successivo, Seiji si rese conto che quella che vedeva non era la sua mano, ma quella di Ryo, chiusa nel guanto rosso dell'Armatura del Fuoco, ma peggio ancora, il samurai si accorse di star guardando attraverso gli occhi dell'amico, e allora capì.
    La sua concentrazione andò in pezzi, quando Seiji realizzò la trappola in cui l'Entità aveva attirato i suoi amici. La rabbia impotente che lo invase aprì la porta della sua anima alla coscienza aliena che subito l'invase, lasciando al samurai appena il tempo d'invocare disperato il nome dell'unico che ancora avrebbe potuto aiutarli tutti.
    Il nome di Kaosu, gridato da Seiji, si perse nello schianto del tuono seguito al fulmine che illuminò la radura ormai vuota aperta nel centro fangoso di una distesa di alberi divelti.


    Cap.XXII
    Il calore dell'amicizia

    Il rumore metallico dei passi dei due samurai, vestiti delle loro armature, suscitava mille echi al loro passaggio, assieme al frusciare dei piedi scalzi di Tôma che si trascinavano sul cemento.
    Aggrappato a Shû, il giovane si sentiva ormai venire meno. Un sudore freddo gli scorreva lungo la schiena e un tremito continuo gli scuoteva il corpo raggelato. Tôma strinse i denti e scosse la testa per scacciare dagli occhi la miriade di lucciole colorate che parevano danzagli davanti.
    «Fermiamoci, Ryo. Tôma non ce la fa più» disse d'un tratto Shû e smise di avanzare.
    Tôma cercò di scuotersi. «No, sto bene. Andiamo avanti» si oppose e fece per muovere un altro passo, ma Shû lo trattenne e lo strinse più forte alla vita, per tenerlo dritto.
    «Stai bene un accidenti» rispose il Samurai della Terra. «Fermiamoci qui, così potrai riprendere fiato.»
    «Se ora mi fermo, potrei non riuscire a muovermi di nuovo» ammise Tôma con un sospiro doloroso.
    «Ti aiuteremo noi» intervenne Ryo e si staccò da Shû, per permettere al compagno di piegarsi e adagiare Tôma a terra, nel modo più agevole per il ferito.
    Tôma non si ribellò, ma cercò di mettersi seduto e non finire disteso, come invece il suo corpo sfinito sembrava pretendere. Il freddo del cemento bagnato lo fece tremare ancora più forte. Guardandosi le mani, il giovane si accorse di avere le dita illividite.
    «Se non mi ucciderà la mia povera gamba rotta, lo farà il freddo» gemette, stringendosi nelle braccia nel vano tentativo di riscaldarsi almeno un po'.
    Ryo si accostò a lui e, sorreggendosi a Shû, si lasciò cadere seduto. «Questa sottospecie di fuoco certo non è utile per scaldarsi» disse accennando alla fiamma azzurrognola che danzava sulla cima della sua spada, consumando piano la stoffa legata attorno alla lama.
    «Avresti dovuto tenere con te la tua Gemma, adesso potresti vestire la yoroi. Con quella addosso non avresti di certo freddo» disse Shû e la nota interrogativa nella sua voce non sfuggì a Tôma.
    «L'ho deposta perché volevo sentirmi libero, almeno per un po'. Il tempo di un breve volo sopra la città» affermò il Samurai del Cielo in risposta alla domanda inespressa dell'amico. Sospirò e guardò il buio sopra la sua testa. «Alle volte, sapete, ho bisogno di dimenticare chi sono; di deporre il peso della responsabilità di essere uno dei Samurai di Kaosu, di indossare una delle sue armature. È da vigliacchi lo so e mi dispiace, ma, credetemi, è più forte di me.»
    Sentì la mano di Ryo posarsi sulla spalla e si girò verso di lui, in tempo per veder scomparire l'armatura rossa del Fuoco in un lieve bagliore. Il tepore delle dita dell'amico prive del guanto scaldò la sua pelle intirizzita in un stretta fraterna.
    «Ti capisco, amico mio» disse Ryo con un sorriso grave. «In fondo, siamo solo esseri umani.»
    Tôma ricambiò il sorriso del compagno e si appoggiò contro il suo fianco, lasciando che il calore del corpo di Ryo si trasmettesse a lui attraverso gli abiti e alleviasse la sua sofferenza.
    «Già, almeno noi lo siamo ancora» disse Shû in tono aspro.
    Tôma alzò la testa verso di lui, in piedi alle sue spalle. «Non riesci proprio a perdonare Rajura e gli altri, vero?» domandò.
    Shû gli rivolse uno sguardo corrucciato. «Perché, tu sì?» chiese di rimando.
    «Hanno cercato di proteggerti quando potevano ucciderti» obiettò Ryo. A testa china, sembrava fissare il cemento lucido di umidità ai suoi piedi. «Shuten ha cercato di salvare me.»
    «A me è sembrato volesse ammazzarti» sbuffò Shû di rimando.
    Ryo scosse la testa. Serrò la mascella e i muscoli guizzarono sotto la pelle del suo volto pallido. «No, ero io che volevo uccidere lui» sussurrò in un fremito.
    Tôma strinse le dita irrigidite dal freddo attorno la polso dell'amico. «Non eri tu» disse piano, ma Ryo sembrò non sentirlo e continuò a fissare il suolo.
    Shû si schiarì la gola. Il suono raspante che emise rimbalzò più volte nel buio in un’eco cavernosa. «Vorrei sapere cosa ne è stato di Shin e Seiji, e non mi piace l'idea che Nasti e Jun, con Bayuken e quel disgraziato del dottor Yatate siano rimasti là» disse torvo il samurai, cambiando argomento. Girò lo sguardo intorno, poi si concentrò per un breve istante. L'Armatura della Terra svanì come quella del Fuoco poco prima. Al contrario di Ryo, Shû tenne la sua protoarmatura bianco e ocra.
    «Se tolgo anche questa, resto in vestaglia» volle giustificarsi. «Non avevo altro addosso, quando ci avete attaccati» aggiunse rivolto a Ryo, poi un pensiero sembrò attraversagli la mente, perché si tastò il corpo come potesse toccare la stoffa della veste sotto la protoarmatura. «Ora che ci penso: quanto può valere oggi una vestaglia da notte in seta del 1500, o giù di lì? Del tutto originale e assolutamente intatta, come nuova. Diamine! Potrei venderla a qualche museo o collezionista.»
    Ryo si scosse e l'idea parve suscitargli un'ombra di divertimento.
    Nonostante la situazione, il Samurai del Cielo sorrise. «Non ti hanno trattato poi così male nello Yoja-kai, se ti hanno persino dato una veste di seta» disse, deciso a prolungare quel momento di quiete.
    «Ecco, di questo non posso lamentarmi. Mi hanno pure offerto la cena, e il cibo era buono. Anche il saké era decisamente ottimo» rispose Shû. Passò la punta della lingua sulle labbra e sospirò. «Ottimo, sì, anche troppo. Credo di essermi preso una bella sbornia.»
    «Quello era il palazzo di Arago» disse Ryo, come sovrappensiero. «L'ho riconosciuto, ma era diverso: più bello, più vivo. Adesso è ridotto a un cumulo di rovine e non so se sperare che Anubisu, Naza o Rajura siano riusciti a fermare Seiji e Shin. Non vedo come potrebbero riuscirci senza ucciderli, ma se non li fermano, Nasti, Jun e Bayuken saranno in grave pericolo.»
    Tôma sentì l'amico tremare, ma non trovò parole per consolarlo, in realtà non sapeva come consolare nemmeno se stesso.
    «Roderci nel tormento non serve a niente» sbottò Shû. Allungò una mano a stringere la spalla tremante di Ryo. «Cerchiamo di scoprire dove siamo e cosa nasconde qui quella cosa maledetta. È tutto quello che al momento possiamo fare.»
    Ryo annuì, cupo in volto.
    «Quella cosa vuole l'Armatura Bianca e, allo stesso tempo, intende assicurarsi che Arago non torni distruggendo le yoroi dei suoi quattro ex-demoni. Ha intenzione di eliminare pure i loro proprietari, già che c’è. Credo li detesti più di te, Shû. Si chiama Uwan e mi ha riferito tutto questo essa stessa» disse Tôma, ricordando le parole crudeli che l'Entità gli aveva rivolto.
    «Uwan? E che razza di nome è?» domandò Shû. Guardò Ryo, quasi si aspettasse da lui una risposta, ma questi si strinse nelle spalle e distolse il viso.
    «Non lo so, ma sono sicuro che Kayura lo conosce» mormorò Ryo. «In ogni caso, Nasti con il suo fiuto per demoni e similari di sicuro sarebbe in grado di trovare qualcosa tra i dati del suo computer, o in quell'ammasso di libri e appunti che tiene in casa.»
    «Mi sa che Nasti ci sarà più d'aiuto di Kayura» disse Shû, imbronciato. «Dovresti vederla, Tôma: non la riconosceresti. Anche Rajura, Naza e Anubisu sono rimasti sorpresi; persino Shuten ormai dubita di lei. L'unica cosa buona che a questo punto Kayura pare saper fare è il caffè.»
    Tôma guardò la gamba ferita, ancora immobilizzata nella imbracatura di metallo con le bende ormai sporche e sfilacciate. «Kayura è l'ultima erede della casata di Kaosu, ma non è lui» mormorò, poi guardò gli amici uno ad uno. «Forse ci aspettavamo troppo da quella ragazza.»
    Shû storse il naso. «Quella ragazza, come la chiami tu, fu ben capace di sbatterci tutti a terra, e pure di combattere contro Arago, se non ricordo male.»
    Tôma non seppe cosa rispondere. Si girò verso Ryo, ma l'amico non ricambiò il suo sguardo. Si scostò invece da lui e sfilò da sopra la testa la felpa sportiva che indossava, per metterla sulle spalle di Tôma, rimanendo con una leggera maglietta di cotone. «Ne hai bisogno più tu di me» disse.
    Tôma accettò con gratitudine il gesto del compagno. Si strinse nella maglia ancora tiepida del calore del corpo di Ryo e si sentì riavere. Sospirò e chiuse gli occhi, cercando di recuperare le forze quanto più gli era possibile. Fu in quel momento che un suono di voci cantilenanti prese a echeggiare nel buio, tutto attorno a loro, in un'eco sinistra.
    «Conosco questo suono» disse il Samurai della Terra, teso, «l'ho sentito nello Yoja-kai, mentre ci attaccavano. Questo Uwan, o come si chiama, ha degli umani come alleati. A proposito, Tôma, la tua infermiera è venuta a minacciare Kayura. Non so se dispiacermi, ma è morta nel crollo del Palazzo di Arago.»
    Ryo abbassò gli occhi e si morse le labbra.
    Tôma aggrottò la fronte, ricordando la donna minuta, dall'apparenza tanto innocua, che aveva cercato di iniettargli qualcosa mentre blaterava di farlo per il suo bene. «Anche io non so se dispiacermi per lei, forse era solo una vittima, o forse no. Si riferiva all'Entità chiamandola "Maestro".»
    Shû oltrepassò i due amici a terra e si protese in avanti, verso il punto da cui sembrava provenire più forte il canto misterioso.
    «Passami quella specie di torcia» disse il samurai e tese la mano all'indietro verso Ryo, il quale gli consegnò la sua spada ancora accesa della strana fiamma azzurrina.
    Shû la levò in alto, sopra la testa, tendendo il braccio quanto più gli fu possibile. Sopra di loro apparve dall'ombra un soffitto incurvato, come quello di un tunnel, da cui stillavano gocce di umidità. Il Samurai della Terra mosse alcuni passi di lato, finché illuminò una parete coperta da una sorta di poltiglia appiccicosa che a tratti mostrava segni di colore vecchio e stinto.
    «Sembrano cartelloni pubblicitari, o qualcosa di simile» osservò Shû. Inciampò in qualcosa di metallico e abbassò la torcia improvvisata per vedere cos'era. «Una grata» annunciò. «C'è acqua che scorre qua sotto. Diavolo, saremo mica finiti nelle fogne?!» sbottò dopo alcuni istanti spostando la torcia a illuminare qualcos'altro, poco più in là.
    Tôma e Ryo si guardarono l'un l'altro perplessi.
    «Mi sembra un ambiente troppo grande per essere una fogna» obiettò Tôma. «Cos'altro vedi?» chiese accorgendosi di come Shû si stesse allungando a guardare qualcosa che pareva più in basso di lui, oltre una certa distanza.
    «Binari!» esclamò Shû raddrizzandosi di scatto. «La vecchia metropolitana. Siamo nella metropolitana dismessa!» gridò rivolto agli altri. L'eco della sua voce rimbalzò più volte assieme al suono cantilenante prima di perdersi.
    Reggendosi l'uno all'altro, Tôma e Ryo si trascinarono in piedi, increduli.
    «La metropolitana?» ripeté Tôma. «Sei sicuro?»
    «So riconoscere dei binari della metro quando li vedo, anche se sono vecchi e rugginosi come questi!» scattò Shû e allungò un dito a indicare in basso, dove gli amici non potevano vedere da dove si trovavano.
    Il Samurai della Terra risollevò la torcia e girò intorno la luce tremula. «Bene» disse, «adesso non ci resta che aspettare il primo treno, temo però che da qui passino ormai solo treni fantasma.»


    Cap. XXIII
    L'onere di un retaggio

    Kayura guardò Shin profondamente addormentato sotto l'effetto del narcotico che Naza era riuscito a iniettargli.
    Il samurai giaceva supino, su di un morbido futon steso sull'assito di legno della stanza adibita a camera. Ogni sua ferita era stata lavata e medicata con cura e il viso del giovane sembrava sereno, nel sonno artificiale indotto dal potente sedativo che gli scorreva nelle vene. Il petto del ragazzo si alzava e abbassava lievemente, al ritmo di un respiro regolare e tranquillo.
    Kayura tese la mano a sfiorare con il palmo aperto il torace di Shin, all'altezza del cuore. Sentiva gli sguardi di Nasti e Jun fissi su di lei, ma escluse entrambi gli amici dalla mente, così come i due guerrieri fantasma, nelle loro armature nere, immobili di guardia sulla porta. Lo Shakujo abbandonato a terra al suo fianco, emise un lieve baluginio nel momento in cui un bagliore azzurrino si accese sul petto di Shin, tra la sua pelle e la mano di Kayura.
    La ragazza aggrottò leggermente la fronte. La luce azzurra si condensò pian piano in una piccola sfera, che parve trasformarsi in una limpida bolla d'acqua, pura e trasparente, e rimase sospesa per alcuni istanti tra le dita della giovane e il petto del samurai, finché andò a porsi docilmente nel palmo di lei, aperto ad accoglierla.
    Bayuken, accucciata vicino a Jun, emise un mugolio basso che parve un sospiro.
    Kayura socchiuse la mano, girò il polso e ritirasse il braccio, piegandolo contro il seno, e osservò la Gemma dell'Acqua palpitarle tra le dita.
    «Suiko no Yoroi» mormorò, rivolgendosi alla Gemma dell'Acqua come fosse una cosa viva, «ti prego, affidati alla mia custodia assieme alla Gemma del Cielo, fino a che il tuo padrone sarà salvo da ogni pericolo.»
    La Gemma emise una lieve luminosità tremula, come in risposta alla sua preghiera, poi svanì. Kayura chiuse la mano nell'altra e le portò entrambe al petto, abbassando il capo.
    «Pensi che privo della sua armatura l'Entità lo lascerà in pace?» domandò Nasti, accoccolata accanto a Shin, mentre le sue mani tormentavano incessantemente un lembo della veste di foggia antica, che indossava al posto della vestaglia lacerata con cui era fuggita dal palazzo.
    Seduto ai piedi del samurai, Jun, avviluppato in una coperta, alzò gli occhi sulle due donne.
    «No, ma sarà meno pericoloso per noi se lo lasciamo disarmato» rispose Kayura. Osservò il viso addormentato del giovane, abbandonato sul cuscino e incorniciato dai folti capelli chiari. «Sempre che la sua yoroi non decida diversamente, perché se vorrà tornare da lui io non potrò fermarla» aggiunse piano.
    «Le armature non ti obbediscono? Eppure hai appena preso quella di Shin e hai con te la yoroi di Tôma» domandò Jun.
    Kayura raccolse lo Shakuyo e si alzò, in un movimento frusciante della seta dei suoi abiti preziosi. «Le armature create da Kaosu obbediscono solo ai loro padroni, io non ho alcun controllo su di esse, finché loro vivono.»
    Di nuovo sentì su di sé gli sguardi dei due amici che la indagavano e la domanda inespressa dipinta sui loro volti le fece male. «Mi dispiace di avervi delusi, ma io non sono Kaosu» mormorò chinando il capo.
    «No, ma sei la sua erede, ultima del suo clan. Il suo sangue scorre nelle tue vene» rispose Nasti con fermezza.
    Kayura distolse il viso. «Forse, ma io ho solo un'ombra del suo potere e ho paura non sarà sufficiente per contrastare questo nemico che non so riconoscere, e di cui ignoro il nome.»
    «È per questo che non sei intervenuta quando si è aperto quello squarcio nel cielo: perché hai avuto paura di non riuscire a chiuderlo. Hai avuto paura di fallire» disse Jun.
    Il ragazzo parlò con candore, senza alcuna nota di rimprovero, ma Kayura sentì quell'affermazione raschiarle il cuore. «Io ho già fallito: ho lasciato entrare il nemico. Non ho saputo vedere il pericolo che quella donna portava con sé. Ho avuto pietà di lei e mi sono lasciata sorprendere come una sciocca. A causa della mia debolezza lo Yoja-kai è andato quasi distrutto» disse amaramente.
    «Avere pietà non è essere deboli» asserì Nasti.
    «Dovevo proteggere questo posto, dovevo proteggere Shû, invece non sono riuscita in nessuna delle due cose» replicò Kayura, avvilita.
    «Eri però pronta a intervenire mentre Shuten combatteva con Ryo, e lo avresti fatto se lui non ti avesse tolto lo Shakujo. In quel momento non hai avuto paura di sbagliare» insisté Nasti.
    Kayura sospirò. «Oh sì invece, avevo paura, ma avrei fatto qualsiasi cosa per fermarli. Qualsiasi cosa, anche rischiare di sbagliare di nuovo» disse. Guardò la sua mano che reggeva l'asta dello Shakujo e le parve che il bastone del suo predecessore le bruciasse la pelle. «Io non sono degna del retaggio del mio clan» disse infine in un sussurro amaro.
    Voltò le spalle e si avviò per uscire. Le parole di Nasti le colpirono la schiena come un sasso.
    «Io non credo che Shuten e gli altri sarebbero rimasti con te, se tu non fossi degna del tuo retaggio» affermò la ragazza con voce dura e ferma.
    Kayura non si girò. «Forse si sono sbagliati anche loro» disse piano. Raggiunse la soglia e la porta scorrevole si aprì da sola, in un fruscio secco. Le due guardie silenziose le presentarono le armi in un gesto di marziale rispetto mentre lei usciva.


    Pensierosa, Kayura s'inoltro tra le stanze vuote del padiglione. Attraverso le intelaiature delle finestre filtrava una luce pallida e grigia ad annunciare il sorgere dell'alba. Un'alba fredda, che non portava alcun conforto, ancora arrossata dai bagliori degli ultimi focolai accesi nel grande complesso del palazzo, residui dell'incendio spaventoso che la notte precedente aveva illuminato a giorno il campo di battaglia di una vivida luce sanguigna.
    L'odore di fumo era penetrato fin lì, unica ala del palazzo a non aver subito troppi danni, affondata in un angolo dell'immenso giardino che circondava l'edificio adesso in rovina. Il suono lieve dell'acqua che scorreva nel ruscello vicino, giunse all'udito della ragazza come un mormorio d'accusa.
    Kayura si morse le labbra e andò avanti. Salì una rampa di scale e raggiunse un ampio ballatoio. Rimase sorpresa, quando vi trovò seduto in mezzo il dottor Yatate, accovacciato sul pavimento e circondato da piccoli esseri neri, con molte zampe. Non erano ragni, anche se potevano sembrarlo, ma creature dello Yoja-kai. Alcuni si erano arrampicati sulle spalle dell'uomo, altri sulle sue ginocchia e sembravano osservare attenti i movimenti delle mani del loro ospite umano.
    Al suono sottile degli anelli d'oro dello Shakuyo, Yatate si girò. Nel vedere Kayura sorrise. Si alzò e le rivolse un inchino, facendo cadere alcune delle strane creature, mentre altre gli restava ostinatamente aggrappate alla veste tradizionale di stoffa scura e pesante.
    Kayura si avvicinò a lui incuriosita. «Che cosa sta facendo, Yatate-san?»
    L'uomo le mostrò una mano aperta: un esserino nero occupava tutto il suo palmo e teneva una delle tante zampe sollevata.
    Kayura sorrise nel vedere la minuscola benda sull'arto sottile come un filo di lana. «La stanno prendendo in giro, dottore: questi sono spiriti domestici, non hanno bisogno di medicazioni, niente può ferirli» disse.
    «Sì, beh... lo immaginavo» rispose Yatate e mise delicatamente giù la creatura, che se ne andò zampettando sul pavimento, seguito dalle compagne fino a che, una dietro l'altra, sparirono tutte infilandosi in una fessura nel muro.
    Yatate sistemò le pieghe del suo kimono e si fece pensieroso. «Lo ricordavo diverso questo posto» disse.
    «Lo era» rispose Kayura. Osservò Yatate con attenzione per la prima volta da che lo aveva incontrato. «Lei è già stato qui, immagino fosse tra i prigionieri umani che l'Imperatore trascinò nel nostro mondo durante la guerra.»
    Yatate annuì e la guardò a sua volta. «Io mi ricordo di lei. Anche se oggi è molto cambiata, l’ho riconosciuta subito appena l’ho vista.»
    Kayura distolse il viso. «Le chiedo perdono per come ero allora, e per il male che ho arrecato.»
    «Non è stata colpa sua» sorrise Yatate, «lei era prigioniera, proprio come me, anzi, più di me.»
    «Lei come lo sa?» domandò Kayura, aggrottando le sopracciglia sottili.
    Il medico mosse una mano a indicare una porta chiusa, in fondo al ballatoio. «I suoi amici stavano litigando tra loro, piuttosto ferocemente direi. Io sono scappato, prima che se la prendessero anche con me, ma ho sentito che parlavano di lei, di quello che le è successo.»
    Kayura si sentì agghiacciare e dovette impallidire, perché Yatate la guardò preoccupato.
    «Adesso si sono calmati, stia tranquilla» volle rassicurarla. «Rajura e Naza se ne sono andati già da un po'; Anubisu si è trascinato in quell'altra stanza là. Ha detto che aveva tutte le intenzioni di prendersi una sbornia colossale, e credo lo abbia fatto, poiché l'ho sentito russare fino a poco fa.»
    Kayura gettò uno sguardo verso la porta cui il medico aveva accennato, ma non osò andare a verificare cosa stesse facendo Anubisu. Il Demone dell'Oscurità arrabbiato sarebbe già stato difficile da affrontare da sobrio, e lei non voleva rischiare di trovarselo ora davanti ubriaco.
    «Dormire gli farà bene: le sue ferite erano piuttosto serie» stava proseguendo Yatate, «Se non fosse stato per Naza, io non sarei stato in grado di fare granché, senza attrezzature mediche» s'interruppe e grattò la radice del naso. «Davvero strano, quel Naza. Aveva ancora un po' di quell'anestetico con cui ha addormentato il ragazzo dall'armatura azzurra, e credo lo abbia iniettato al suo amico Shuten.»
    Kayura sussultò e si girò di scatto verso il medico che continuava a parlare tranquillo, come niente fosse.
    «Sa, Shuten la difendeva dagli altri, che mi sono sembrati molto arrabbiati con lei. Alla fine ho sentito Naza affermare che lo preferiva quando era morto, ma non ho afferrato bene cosa intendesse. Ho capito però cosa gli aveva fatto, perché d'un tratto si sono zittiti tutti, poi ho sentito Rajura che accusava Naza di aver esagerato. Non credo però a lui sia importato granché. Quando infine è uscito assieme agli altri due, io mi sono nascosto dietro a quel paravento, di certo non volevo capitare loro tra i piedi, nervosi com'erano.»
    Si schiarì la gola, con espressione imbarazzata mentre Kayura l'oltrepassava di corsa.
    «Mi scusi, non sono andato a vedere cosa era successo al suo amico, perché non so quanto anestetico gli abbia dato Naza, e quanto possa durare su di lui...sì, beh... non è del tutto umano... insomma, è un demone, no?» farfugliò confuso Yatate, mentre la porta scorrevole si apriva davanti a Kayura.
    «Cerchi di capirmi» proseguì in tono lamentoso, «non penso sarebbe un bene per me se dovesse svegliarsi e trovarmi di nuovo a dargli fastidio. Si è lasciato curare, ma credo avesse voglia di staccarmi la testa. Mi scusi se glielo dico, ma mi pare abbia davvero un pessimo carattere, anche se sa essere gentile quando vuole, soprattutto con lei.»
    «Non è sempre stato così, ma nemmeno io ero gentile con lui. Abbiamo trascorso la maggior parte delle nostre vite a odiarci» mormorò Kayura, indugiando sulla soglia, come trattenuta dai suoi stessi ricordi. Si girò appena e guardò Yatate da sopra la spalla. «Poteva uccidermi, eppure ha scelto di salvarmi. Io gli devo più della vita: gli devo la mia anima» mormorò.
    «Davvero? Io invece ho l'impressione che quel ragazzo pensi che sia stata lei a salvare la sua» affermò Yatate, e Kayura sentì come se le sue parole le attraversassero la pelle, simili a strali roventi, e conficcarsi dolorosamente a fondo nel cuore.


    Cap. XXIV
    Il demone e la fanciulla

    Sorreggendosi a Jun, Nasti zoppicò dolorosamente fuori dalla stanza di Shin.
    Riusciva a camminare, per quanto a ogni passo le sembrasse che una miriade di spilli le trafiggesse le piante dei piedi, medicati e avvolti in un accurato bendaggio.
    «Non possiamo restare ancora un po' con Shin?» domandò Jun, alzando su di lei gli occhi arrossati di lacrime e stanchezza.
    Nasti scosse piano la testa. «Meglio di no. Lo vorrei anch'io, ma è troppo pericoloso» rispose e le sue stesse parole le suonarono strane, come stentasse ancora, nonostante tutto, a credere che Shin o gli altri samurai potessero realmente rappresentare una minaccia per lei e Jun.
    «Pensi davvero ci farebbe del male?» chiese il ragazzo.
    «No, lui no, l'Entità che lo domina però sì» rispose Nasti, costringendo se stessa a restare razionale e non lasciarsi distrarre dai propri sentimenti.
    Jun sospirò. «Vorrei solo sapere chi o cosa è questa Entità. Qui nessuno la conosce, eppure non è questo lo Yaja-kai? Credevo tutti i demoni venissero da questo strano posto.»
    «Temo non sia così semplice. Forse qui è solo dove quelli che noi chiamiamo demoni prendono forma e divengono in qualche modo tangibili e reali, mentre nel nostro mondo sono solo spettri senza sostanza: ombre generate dalle nostre paure sentimenti peggiori» rispose Nasti.
    Aggrottò la fronte e sollevò gli occhi a guardare i travi del soffitto senza vederli. Ripensò agli esseri mostruosi che dallo squarcio aperto sul mondo degli uomini si riversavano sullo Yoja-kai, in una valanga di odio rabbioso e violenza cieca.
    «Ci sono molte realtà, Jun» riprese, «molti universi che esistono allo stesso tempo in dimensioni diverse dello spazio e del tempo. L'Imperatore Arago, come sai, è confinato in una di queste, ma quante ve ne siano e se altri passaggi, come quello che abbiamo visto stanotte, potranno mai aprirsi tra noi e loro, temo questo non possiamo saperlo.»
    Jun si scosse in un brivido e Nasti lo strinse a sé.
    «Io non ho paura» affermò Jun e si girò verso di lei. «Dobbiamo però far tornare i Ryo e gli altri con noi. Tu devi scoprire cos'è questa Entità. Sei sempre riuscita a sapere ogni cosa, su Arago; le armature create da Kaosu; il Gioello della Vita! Scopri ora chi sta torturando i nostri amici. Scoprilo, così potremo rispedirlo là, da dove è venuto!»
    Nasti si fermò e ricambiò lo sguardo deciso del ragazzo. «Farò di tutto per riuscirci, Jun. Te lo prometto» disse, poi ebbe un mezzo sorriso. «Adesso, anche se non avrei mai pensato di doverlo dire in vita mia, ho bisogno di Rajura.»
    Jun ebbe un'espressione dubbiosa, ma annuì e si girò verso la tigre. «Bayuken, portaci da Rajura. Non devi morderlo però, a meno che non ti diciamo noi di farlo» disse serio.
    Bayuken lo guardò con i suoi intelligenti occhi dorati e mugolò, come a dire che aveva capito, quindi si avviò piano in una direzione precisa attraverso il padiglione. Nasti e Jun le andarono dietro, con la ragazza che zoppicava reggendosi al giovane amico.
    Silenziosi percorsero poche stanze, seguiti dagli occhi invisibili delle molte creature rifugiatesi nell'edificio di legno e carta di riso. Attraverso i pannelli semitrasparenti delle intelaiature scorrevoli che davano sull'esterno, apparivano ombre di guardie in armatura, che vigilavano immobili con le loro lunghe lance dalla lama ricurva.
    A un tratto, dalla direzione verso cui si stavano muovendo, giunse il suono di un samisen. Bayuken mosse lo orecchie e aumentò l'andatura, come attirata dalla melodia malinconica emessa dello strumento antico.
    Nasti sentì in gola un groppo di commozione. Quella musica era così bella e struggente che lei ebbe voglia di piangere. Aveva le lacrime agli occhi, quando infine un ultimo scorrevole si aprì davanti a Bayuken su di una piccola sala, bellissima e essenziale nella sua eleganza spoglia.
    Ancor prima di Rajura, seduto vicino al focolare centrale, Nasti vide la donna che era con lui, o almeno le parve una donna in carne e ossa e non una delle creature eteree dello Yoja-kai. Vestita come una geisha d'altri tempi, con un kimono bellissimo ed i capelli neri acconciati e adorni di spilloni, da cui dondolavano catenelle in forma di fiori, la donna di un'età indefinibile suonava lo strumento a corde con rara maestria .
    Nasti la guardò incantata e sorpresa allo stesso tempo, mentre la geisha non diede mostra di essersi accorta di lei, e continuò a suonare il suo samisen, come completamente assorta nella musica.
    Il movimento di Jun che s'inchinava rispettosamente riportò Nasti alla realtà. Si accorse che Rajura stava loro rivolgendo un cortese gesto d'invito e s'inchinò a sua volta.
    In silenzio, Nasti e Jun entrarono nella sala. Bayuken andò ad accoccolarsi contro la parete, accanto alla porta. Rajura gettò alla tigre uno sguardo di traverso, evidentemente poco contento della sua presenza, ma non fece o disse niente per mandarla via.
    Mentre la geisha proseguiva la sua esecuzione, Rajura invitò gli ospiti a servirsi dalla teiera, tenuta in caldo sul focolare acceso nel braciere acceso nella buca centrale, attorno a cui sedevano.
    «A cosa devo la vostra cortese visita?» domandò il Demone dell'Illusione, guardando sornione Nasti e Jun che, imbarazzati, versavano il tè fumante nelle loro tazze, utilizzando piuttosto goffamente un lungo mestolo di bambù.
    Nasti strinse tra le mani la tazza, riscaldando le dita al suo calore. Non rispose subito, indecisa se dire la verità o piuttosto tergiversare, per capire se poteva in qualche modo sperare che Rajura fosse disposto a fare ciò che lei intendeva chiedergli.
    Rajura inclinò leggermente il capo, con aria interrogativa e Nasti si mosse a disagio, temendo d'un tratto di aver fatto una mossa azzardata. Dei quattro demoni di Arago, Rajura era da sempre quello che temeva di più, poiché sapeva bene quanto egli fosse abile a giocare con le menti umane. Così come riusciva a essere fin troppo affascinante con quel suo viso così bello, nonostante la benda che copriva l'orbita sinistra.
    «Vorremmo sapere come stanno Shuten e gli altri» rispose infine Jun e Nasti gli fu grata, perché Rajura si girò verso di lui e lei si sentì libera dallo strano incantesimo del suo sguardo.
    «Presto li avremo di nuovo tutti tra i piedi. Vi ringrazio per il vostro interessamento» rispose il demone con gentilezza, ma a Nasti non sfuggì la luce ironica che balenò nella sua iride di un insolito colore viola chiaro, quasi trasparente.
    Il demone mosse piano la testa, lasciando ondeggiare i lunghi capelli argentei, come intento a inseguire le note struggenti del samisen.
    «Hanno subito qualche danno, ma niente di troppo grave. Il peggio è toccato alle loro armature» riprese tranquillo. «Se l'Imperatore vedesse come quei tre incapaci hanno permesso che venissero ridotte, li farebbe a brandelli» aggiunse e sorbì un sorso di tè.
    «Tu sei l'unico a non essere rimasto ferito e la tua armatura è intatta» disse Nasti, in tono neutro, mentre osservava gli abiti raffinati del demone, quasi vedesse, al posto delle stoffe preziose, la sua sinistra yoroi stregata, dalle molte lame.
    «Sì, ma Arago farebbe a brandelli anche me. È sempre stato così: quando uno di noi combinava qualcosa che non gli andava a genio, ne rispondevamo tutti allo stesso modo. Ho subito diverse punizioni per colpa dei miei colleghi, e loro per colpa mia. Così eravamo sempre pari, se contiamo anche le rivincite personali che ci prendevamo fra di noi» rispose Rajura con leggerezza e sorrise tra sé, come a un vecchio ricordo divertente.
    Nasti rabbrividì, ben intuendo come quelle rivincite altro non fossero state se non vendette, che i quattro demoni doveva aver perpetrato l'uno ai danni dell'altro. Rammentando ancora fin troppo bene di quali crudeltà essi fossero stati capaci con i cinque samurai e persino con lei e Jun, le parve che il dolce samisen emettesse d'un tratto una nota stonata.
    Rajura mise giù la tazza e la guardò negli occhi. «In altri tempi, Naza avrebbe tagliato la gola al vostro amico Shin, anziché fargli una stupida iniezione. Lo ha lasciato vivere e adesso, quando si sveglierà, sarà di nuovo un problema.»
    «Tu lo avresti ucciso?» domandò Nasti, ricambiando lo sguardo adesso freddo e ostile del demone con l'espressione più severa di cui fu capace. Accanto a lei, Jun si agitò sulle gambe.
    Rajura sorrise. «Perché me lo chiedi? Conosci già la risposta.»
    «Shin è qui, inerme e disarmato. Vai e uccidilo, se è questo che vuoi» disse Nasti con durezza e non si curò del sussulto spaventato di Jun.
    Il demone la guardò con interesse, mentre la geisha continuava a pizzicare le corde del suo strumento come si trovasse in un altro luogo, e non udisse niente di ciò che veniva detto in quella stanza.
    «Senza di lui, l'Entità non potrà più evocare l'Armatura Bianca» proseguì Nasti, studiando a sua volta Rajura, in cerca di un varco nella maschera imperscrutabile del suo viso. «Solo l'unione delle volontà di Ryo, Seiji, Shin, Shû e Tôma può riuscire a farlo. Una volontà ch'essi hanno maturato combattendo contro di voi. Uccidi Shin e almeno questo pericolo sarà scongiurato.»
    «Mi stai tentando» sogghignò Rajura, protendendosi lievemente verso di lei.
    «Fallo, cosa aspetti? Vai e getta al vento ciò che rimane della tua umanità, sempre che ne rimanga qualcosa!» lo investì improvvisamente Nasti, con tanta foga che la geisha smise di suonare e la guardò di sottecchi.
    «Se stai cercando di offendermi dovrai trovare un argomento migliore, ragazzina» replicò Rajura, ma una ruga si disegnò sottile sulla sua fronte a smentire l’ostentata indifferenza.
    In quella linea appena visibile sulla pelle chiara del demone, Nasti scorse il varco che cercava. «Mi hai salvata, quando quei mostri mi hanno assalita sulle scale del palazzo» disse, come a rinfacciare al demone la sua azione, così contrastante con la fredda crudeltà dietro cui lui sembrava volersi nascondere.
    Rajura si trasse un po' indietro e Nasti interpretò quel movimento come un primo colpo andato a segno.
    «Detesto veder sprecare una bella donna» rispose Rajura e si strinse nelle spalle con rinnovata noncuranza.
    «Non prendermi in giro» ribatté Nasti.
    Il demone inarcò un sopracciglio. «Veramente sono serio: tu sei una bella donna, anche se un po' troppo rigida e dura, per i miei gusti. Dovresti rilassarti un po'» rispose tranquillo.
    «Andiamo a casa mia» disse la ragazza, decisa.
    Rajura inclinò leggermente la testa di lato. «Cos'è? Una avances?» domandò.
    «Non essere ridicolo!» sbottò Nasti. «Portami al mio cottage sul lago, immagino ricorderai benissimo dov'è, visto che fosti tu a scoprire dove abitavo! Lì ho i miei libri; gli appunti; gli studi di una vita. Se c'è una possibilità di capire chi sia il nostro nemico è contenuta nel mio archivio!»
    Il demone si carezzò il mento con aria perplessa. «Come sei passata dal tentarmi a uccidere Shin, a chiedermi ora di portarti a casa tua?» domandò.
    «Tu portami là e basta!» insisté Nasti.
    «Chiedilo a Naza» rispose Rajure e mosse una mano in un gesto di fastidio
    «Naza non mi ascolterebbe nemmeno» scattò la ragazza.
    «Neanche io.»
    «Bugiardo. Tu mi stai già ascoltando.»
    «Credo ucciderò te, invece di Shin.»
    «Prima portami dove ti ho chiesto!»
    «Non intendo farlo.»
    «Invece lo farai!»
    Rajura raddrizzò le spalle e di nuovo guardò Nasti con interesse. «Adesso capisco perché Shuten cercò di gettarti dentro al monte Fuji» disse serio.
    «Lui a quest'ora mi avrebbe già portata a casa mia, e io avrei tutto quello che mi serve!» esclamò Nasti, alzando la voce.
    «Allora aspetta che si riprenda dal narcotico che gli rifilato Naza, e fatti portare da lui» rispose Rajura e anche il suo tono suonò alterato.
    «Cosa gli ha fatto Naza?» domandò Jun, girando lo sguardo dal demone a Nasti, ma nessuno dei due parve averlo udito.
    Nasti sbatté le mani aperte sul tatami sollevano una danza di polvere dorata nella luce dell'alba, che filtrava obliqua attraverso i pannelli della portafinestra chiusa sull'esterno.
    «Devo andare ora e tu sei l'unico che può aiutarmi!»
    «Sei insistente, ragazzina. Ti avverto che stai mettendo a dura prova la mia capacità di sopportazione» ammonì Rajura, severo.
    Nasti si alzò in piedi senza nemmeno sentire dolore, tanta fu la sua foga, e si aggrappò con tutte le sue forze all'insperata occasione offertagli dal demone nel pronunciare quella parola.
    «NIN» gridò, e mise tutta l'enfasi di cui fu capace nel pronunciare il nome della virtù nel quale la yoroi di Rajura era stata forgiata da Kaosu, con una delle parti dell'antica armatura dell'Imperatore Arago.
    Rajura si scosse e portò la mano alla fronte, come se qualcosa d'improvviso l'avesse sfiorata.
    «Cosa hai detto?» domandò, e parve confuso.
    «Mi hai sentito benissimo. Ho chiamato la tua armatura con il suo nome. La capacità di sopportazione è la sua virtù, e anche la tua!» rispose Nasti puntandogli contro un dito. «Sopportazione, tenacia: le virtù di un guerriero, di un samurai, non di un demonio!»
    Rajura sembrò guardare qualcosa lontano e non rispose.
    «Tu non sei più il demone di un tempo» insisté Nasti decisa a giocare il tutto per tutto, «non appartieni più a Arago, sei libero! e la tua libertà è costata cara, molto cara! Quindi adesso usala per dimostrare che hai ancora l'onore di un samurai. Dimostra che sei ancora un uomo!»
    «Io non devo dimostrarti un bel niente» sibilò Rajura e il suo sguardo lampeggiò minaccioso.
    «Non è a me che devi dimostrarlo, ma a te stesso» ribatté Nasti.
    Il Demone dell'Illusione si alzò e si erse in tutta la sua statura davanti alla ragazza. Nasti si costrinse a restare dov'era e controllare il tremito che le percorse i nervi. Jun si mosse, pronto a saltare in piedi, e Bayuken emise un basso borbottio, come di avvertimento.
    «Ti prego, continua a suonare, Machiko-san. Non vi è ragione perché tu smetta» disse Rajura rivolgendosi alla geisha mentre teneva lo sguardo su Nasti.
    La donna s'inchinò e riprese a pizzicare il samisen traendone una nuova melodia, ancora più struggente. Rajura le passò dietro le spalle, camminando silenzioso come un'ombra e si fermò a meno di un passo da Nasti, dopo non averla mai persa d'occhio.
    La ragazza dovette alzare il viso per guardarlo in volto, tanto il demone era più alto di lei. Senza reagire, lasciò che Rajura le prendesse una ciocca dei capelli lunghi tra le dita affusolate come quelle di una donna. Lo guardò mentre lui osservava i sottili fili castani della sua chioma, liscia e setosa, come fosse incuriosito.
    La paura le agghiacciava le vene e Nasti sperò di non sudare troppo vistosamente, nonostante sentisse la fronte imperlarsi di goccioline fredde.
    «Allora, vogliamo andare?» chiese con voce strozzata.
    L'ultima immagine che riuscì a cogliere, prima che Rajura l'afferrasse trascinandola a sé e tutto svanisse in un lampo di luce vorticosa, fu il sorriso sinistro che il Demone dell'Illusione le rivolse, mentre la voce di Jun e il ruggito di Bayuken si confondevano con il suono del samisen e svanivano in un'eco lontana.


    Cap. XXV
    Suoni lontani

    Nel buio umido del vecchio tunnel della metropolitana abbandonata, Ryo alzò la testa di scatto.
    «Bayuken!» esclamò. Fissò il nulla, come aspettando di veder comparire la sua tigre da un momento all'altro.
    «Ryo, cosa c'è?» domandò Tôma, aggrappato a lui.
    Shû, che camminava poco avanti a loro, si fermò e si volse a guardarli. «Perché hai chiamato Bayuken, Ryo? Lei non può essere qui» disse, mentre preoccupato osservava l'amico.
    «Eppure io l'ho sentita. L'ho sentita ruggire» rispose Ryo, guardandosi attorno.
    Tôma e Shû si fecero attenti e a loro volta volsero gli sguardi nell'ombra che li circondava. Shû sollevò sopra la testa la spada di Ryo, ancora brillante della fiamma azzurra accesa sulla punta della lama. Il Samurai della Terra strinse le palpebre, nello sforzo di vedere qualcosa, ma nel pallido cerchio di luce proiettato dalla sua torcia improvvisata non apparvero che alcuni grossi ratti grigi.
    «Devi esserti sbagliato, Ryo. Qui ci siamo solo noi e qualche topo di fogna, e non credo siano stati loro a ruggire. Come non penso siano topi quelli che stanno ancora cantando questa lagna insopportabile» disse Shû, in tono nervoso.
    Ryo mosse piano la testa, inseguendo il suono che gli era giunto da lontano, ma che ora non udiva più. «Non mi sono sbagliato, vi dico che era Bayuken» insisté. Portò una mano alla tempia e aggrottò le ciglia, nel percepire di nuovo qualcosa. «Sentite questa musica? Da dove viene?»
    «Quale musica?» chiese Tôma, adesso allarmato.
    «Ryo, ti senti bene?» domandò Shû. Tornò indietro e si avvicinò agli amici. «Di che cosa stai parlando?»
    Ryo ricambiò gli sguardi perplessi dei due compagni. «Non la sentite? Sembra il suono di un samisen. Ascoltate: è una melodia bellissima» disse, ma dalle espressioni sui volti di Tôma e Shû, si rese conto che lui era l'unico a udire quelle note antiche, provenienti da chissà dove.
    «Sta succedendo qualcosa di strano: prima Bayuken, ora questa musica. Perché voi non la sentite?» chiese cominciando a agitarsi.
    «Quel colpo che hai preso in testa ti ha confuso le idee» sbottò Shû e indicò con un dito i capelli incrostati di sangue dell'amico.
    «No, non è questo. Sono perfettamente lucido» obiettò Ryo. Si tese ancora in ascolto, certo di ciò che udiva, ma altresì sicuro che sia Bayuken, sia il samisen non si trovavano lì.
    «Qualcosa non va: sento cose che voi non udite, perché?»
    Tôma e Shû scambiarono uno sguardo interrogativo, incapaci di dargli una risposta.
    «Ce la fai a proseguire?» domandò Tôma, stringendo la spalla dell'amico a fargli coraggio.
    Ryo si girò verso i lui, cercando conforto nei suoi occhi all'ansia che adesso gli rodeva il cuore. «Forse sarebbe meglio se mi lasciaste qui. Io... io ho paura che quella cosa torni a prendermi» disse.
    Shû digrignò i denti e serrò il pugno, per quanto le dita contuse della mano gli permisero, ma fu Tôma a parlare per primo.
    «Quando tornerà, non avrà importanza quanto indietro ti avremo lasciato, Ryo: ci raggiungerai e noi non potremo fare niente contro di te. Se ora però riusciamo a scoprire cos'è questo canto, quale legame ha con il nostro nemico, allora forse potremo anche fare qualcosa per fermarlo. Manca poco, ormai, sentite? Le voci sono sempre più vicine, avremo più possibilità di riuscire, se resteremo assieme» disse determinato il Samurai del Cielo.
    «Noi non ti lasciamo» asserì Shû, annuendo con vigore.
    Colmo di affetto e gratitudine, Ryo guardò i due amici decisi a restare con lui. Ben sapendo che al loro posto, egli avrebbe fatto la medesima cosa, non insisté. Fu però con tono deciso che si rivolse a Shû: «e sia, ma se non riusciremo, prima che divenga troppo tardi, uccidimi con la mia spada!»
    Il Samurai della Terra sgranò gli occhi, poi imprecò sonoramente in un modo che Ryo e Tôma non gli avevano mai sentito fare.
    «Non dire idiozie!» ruggì. Afferrato Ryo senza tanti complimenti, si passò il suo braccio dietro le spalle e riprese a camminare con foga, trascinando sia lui che Tôma con sé.
    «Piano! Così non ce la faccio» protestò Tôma.
    «Vedi di sforzarti!» lo investì Shû, per niente commosso. «Non abbiamo tempo da perdere. Troviamo alla svelta questi maledetti che lagnano come gatti in amore. Voglio vedere se sono tutti suonati, come quella tua stupida infermiera, e aprire loro il cranio per scoprire cos'hanno dentro!»
    Ryo guardò Tôma, aggrappato all'altra spalla del Samurai della Terra, e gli vide in volto il suo stesso stupore.
    «Temo sia rimasto troppo tempo nello Yoja-kai: la compagnia dei nostri amici demoni deve avergli fatto male» osservò Tôma.
    «Parlate per voi!» scattò Shû. «Quei quattro delinquenti non sono amici miei.»
    Ryo scosse piano la testa e, nonostante tutto, sorrise.

    Kayura udì il ruggito di Bayuken e si volse nella direzione da cui le era giunta la voce della tigre. Non si allarmò, poiché tutto era tranquillo, ma aggrottò leggermente la fronte nell'avvertire l'energia del Demone dell'Illusione che svaniva dallo Yoja-kai.
    «Cosa vuoi fare, Rajura?» mormorò. Non cercò di raggiungere la mente del demone. Lui non avrebbe gradito una sua intromissione e, del resto, non aveva bisogno del suo permesso per muoversi come meglio credeva.
    Kayura sospirò e rimase in ascolto delle melodia che le giungeva dolce, attraverso le pareti di legno leggere. Le sembrava di rammentare quella musica, per averla già sentita. Era bella e struggente e fu d'un tratto che rammentò di aver danzato un tempo sulle sue note. Quando ciò fosse stato, però, non riusciva a ricordare.
    Kayura scosse la testa, rifiutandosi di tornare indietro con la memoria e far così riemergere i ricordi terribili della sua vita sotto il dominio di Arago, e tutto l'orrore delle sua stesse azioni.
    Come si sentisse d'un tratto scomoda, si aggiustò nella posizione seduta sui talloni e chinò gli occhi su Shuten, disteso vicino a lei, che sembrava dormire di un sonno inquieto.
    Al contrario di Shin, tranquillamente abbandonato nel riposo indotto dall'anestetico, il demone aveva la fronte corrugata e una linea sottile era disegnata tra le sue sopracciglia. A tratti, muoveva le dita a stringere le lenzuola di seta in un gesto nervoso.
    Kayura si protese a sfiorare piano con la mano i capelli del generale di Arago. A quel contatto, Shuten sembrò quietarsi, ma lei sentì il cuore stringersi dolorosamente, nel rammentare quante volte avesse ripetuto quella carezza, nei lunghi giorni e le notti infinite in cui aveva vegliato il generale di Arago, sprofondato in un coma da cui sembrava non dovesse risvegliarsi mai.
    «Perché hai voluto salvarmi a ogni costo? Io non valevo la tua vita» sussurrò.
    Si morse le labbra fino a farsi male, ricordando d'un tratto l'immagine di Anubisu in ginocchio, che teneva sollevato su di un braccio il corpo esanime di Shuten. Chini attorno a loro, gli altri due demoni erano come raggelati: Rajura, con le mani tese nel gesto incompiuto di sfiorare l'amico immobile; Naza, il viso contratto e il pugno chiuso in una rabbiosa ammissione di colpa e d'impotenza.
    Rivestito della sua yoroi, la testa abbandonata e riversa all'indietro, con i lunghi capelli lisci che ricadevano fino a terra in una cascata d'oro rosso, quello che era stato il generale Shuten Doji, era per i suoi compagni definitivamente perduto.
    Per loro, ma non per lei.
    Kayura aveva capito che Shuten era vivo nel momento in cui la sua armatura l'aveva lasciata, per tornare dal suo padrone. Nell'istante in cui essa le svaniva di dosso, lei aveva sentito, attraverso la Gemma della yoroi che le abbandonava il petto, il cuore del demone battere assieme al suo.
    Rammentando quella sensazione strana, che l'aveva sorpresa lasciandole dentro un qualcosa di nuovo che lei non sapeva cosa fosse, Kayura sfiorò lieve il viso di Shuten, sotto lo zigomo segnato dalla scheggia metallica che l'aveva colpito. Lasciò scivolare le dita sottili sulla sua gola e sfiorò, rabbrividendo, le cicatrici lasciategli sul torace dalle ustioni terribili, ch'ella stessa gli aveva provocato, nella loro ultima, fatale battaglia.
    «Che cosa ti ho fatto?» mormorò fermando la mano all'altezza del cuore del demone.
    La consapevolezza di non essere stata responsabile di quanto accaduto non la consolò, ma le incendiò di nuovo nell'animo il rancore mai sopito verso Arago e il suo ministro, che tanto crudelmente aveva giocato con lei.
    Colma d'ira, Kayura quasi provò l’insensato desiderio di vestire di nuovo la yoroi stregata del demone, inseguire l'Imperatore nella sua prigione e là distruggerlo, una volta per sempre.
    Spinta da un'ira disperata, che le fece salire le lacrime agli occhi, stese le dita sul petto di Shuten, finché avvertì la sua Gemma che reagiva nel riconoscerla. In quel momento, il cuore prese a batterle più forte, fino quasi a soffocarla.
    «Puoi prenderla se vuoi, ma ti avverto: è piuttosto malconcia.»
    Kayura sbatté le ciglia, rendendosi improvvisamente conto di essersi lasciata trascinare dai suoi pensieri folli, tanto da non accorgersi che Shuten si era svegliato, finché lui non le aveva parlato.
    «Non sono certa mi obbedirebbe, se anche la chiamassi a me» rispose senza guardarlo.
    Nonostante quanto aveva detto, non ritrasse la mano dal suo petto, restia ad abbandonare la sensazione di potenza inebriante emanata dalla yoroi del demone, e che lei ben conosceva per averla provata sulla sua stessa pelle. Quella sensazione che ora, irradiata dalla Gemma di Shuten, eccitava ogni suo singolo nervo, attraverso le dita che nemmeno la toccavano. Poi sentì le Sfere del Cielo e dell'Acqua palpitarle in seno, entrando in una strana risonanza con la sorella un tempo perduta, quasi volessero attirarla a loro e, allo stesso tempo, respingerla come una cosa divenuta estranea.
    A quell'inaspettata sensazione di conflitto, Kayura si rese conto di ciò che stava facendo e si ritrasse.
    Guardò Shuten, che adesso aveva sollevato la mano destra alla fronte, come a voler schiarire le idee. Appariva confuso, e Kayura sperò non si fosse accorto che quel sonno in cui era caduto gli era stato indotto da Naza con quel suo sonnifero. Per quanto fosse molto più calmo e ragionevole di quando era sotto il dominio di Arago, Shuten manteneva pur sempre un temperamento fin troppo irruente, e il Demone del Veleno rischiava di trovarsi a passare un gran brutto guaio, per lo scherzo che gli aveva giocato.
    «Cosa mi è successo?» domandò Shuten, dopo un po'.
    «Lo domandi? Sei ferito, avevi bisogno di riposare» rispose Kayura e esibì un'espressione innocente, ma fu un errore perché l'altro s'insospettì.
    «Mi stai nascondendo qualcosa?» chiese il demone, scrutandola, e fece per alzarsi.
    «No, cosa dici? Perché dovrei?» rispose Kayura. Lo invitò a restare giù, mettendogli una mano sulla spalla, stando attenta a non toccare la benda che gli stringeva il braccio leso.
    Il demone si lasciò ricadere, ma Kayura si rese conto che non era stata lei a convincerlo, semplicemente si era accorto della musica e ora l'ascoltava incuriosito. Allo stesso tempo si guardava intorno, gli occhi corrucciati, come cercasse di riportare alla mente un ricordo lontano.
    «Non mi ero reso conto prima, ma questo non è il padiglione dove vivevi tu?» domandò, osservando le pareti linde e la luce filtrare attraverso le finestre di carta di riso di un azzurrino opaco.
    La ragazza rabbrividì e piegò le spalle, chinandosi come qualcosa le avesse stretto lo stomaco. «Sì, ma quello non era vivere» rispose piano.
    Shuten sembrò non averla sentita e guardò di lato, verso qualcosa che doveva trovarsi fuori la grande portafinestra serrata. «Ti ho vista danzare, sulla terrazza là fuori, tanto tempo fa» disse come sovrappensiero.
    Kayura sollevò su di lui uno sguardo sorpreso da sotto le ciglia. «L'Imperatore aveva proibito a tutti di avvicinarsi al mio padiglione. Come hai fatto a vedermi?» domandò, ma, prima che l'altro parlasse, lei realizzò da sola quale fosse la risposta. «Gli hai disobbedito!» esclamò e si sorprese a provare ancora paura di quella che avrebbe potuto essere stata la reazione di Arago, se avesse scoperto che il generale dei demoni si era infischiato del suo ordine imperiale.
    Shuten parve trovare divertente la paura che le lesse nel viso, perché sorrise beffardo come un tempo. «Non è stata quella la prima volta. Lo sai, l'obbedienza non è la mia virtù.»
    «Tu sei pazzo» mormorò Kayura, scuotendo piano la testa. Si fermò, nel sentire la mano del demone sulla guancia e le sue dita affondarle nei capelli, sfiorandole l'orecchio. Stupita da quel gesto, si girò a guardarlo.
    «Danzavi su questa stessa musica, lo rammento ancora. Avevi un kimono bianco e rosso; un ventaglio nero per mano e un diadema di fiori di glicine nei capelli» ricordò Shuten. «Era bello vederti danzare, e anche se Arago mi avesse fatto a pezzi per avergli disobbedito, ne sarebbe comunque valsa la pena.»
    Kayura distolse il viso, per nascondere le lacrime che ora le scorrevano sulle guance.
    «Avresti dovuto lasciare che Ryo mi uccidesse, o farlo tu stesso» disse fremendo. «Arago sarebbe stato comunque sconfitto; tu non avresti rischiato di morire e io sarei libera dai miei rimorsi, e dal peso della responsabilità di essere l'ultima, indegna erede di Kaosu.»
    Shuten le prese il volto nella mano in un gesto saldo delle dita che la costrinse a guardarlo.
    «Non potevo farlo, Kayura» rispose con espressione quieta e grave. «Avevo promesso a Kaosu che ti avrei salvata. Era mio dovere liberarti da Arago, anche a costo della vita, perché, tu, al contrario di me, sei sempre stata innocente.»
    La ragazza chinò la testa e, mentre piangeva piano, si piegò su Shuten, lasciando che lui la traesse a sé. Silenziosa gli affondò il viso nell'incavo del collo e rimase così, immobile, appena scossa da singhiozzi lievi che andavano pian piano quietandosi, mentre lui le cingeva le spalle, e le sfiorava i capelli con la guancia.
    Mentre sentiva tutta la stanchezza e la tensione di quei giorni caderle addosso, Kayura si distese al fianco di Shuten e le parve che ogni pensiero e paura le svanissero dal cuore.
    Si sorprese di quanto facilmente riuscì a scivolare nel sonno e, d'un tratto comprese le parole che Yatate le aveva rivolto: Shuten l'aveva salvata perché aveva avuto pietà di lei, ed era stata quella pietà che aveva riscattato la sua stessa anima dalla dannazione e dal disonore di essersi venduto a Arago.
    Ma questo, pensò la fanciulla, non liberava lei dal suo debito nei suoi confronti, e, se mai si fosse reso necessario, lei, Kayura, non avrebbe esitato a dare la propria vita per la sua.
    «Grazie» mormorò. «Grazie, Toshitada.»
    Sentì i muscoli del demone irrigidirsi sotto le dita e lo strinse più forte, come temesse lui volesse respingerla, forse offeso dal suo ardire nel chiamarlo in quel modo.
    Ma Shuten la tenne ancora a sé, e dopo alcuni istanti si rilassò. «Da quando conosci il mio nome?» chiese, null’altro che sorpreso.
    Kayura non ebbe bisogno di pensare prima di rispondere: «da sempre.»


    Cap. XXVI
    Una violenza gratuita

    Nasti respinse da sé Rajura, puntandogli le mani contro il petto e, pur nello stato confusionale in cui si trovava, si accorse di star toccando la superficie rigida e fredda della protoarmatura del demone. Solo allora lo guardò.
    Nel momento in cui l'aveva trasportata con sé, attraverso lo spazio e le dimensioni, Rajura aveva indossato la sua protezione, su cui era pronto a vestire la yoroi in caso di necessità.
    Nasti però aveva ancora addosso solo la sottoveste di lana e il pesante kimono tradizionale. I suoi piedi erano scalzi, stretti nel bendaggio che le copriva le ferite.
    «Ti credevo una ragazza più ordinata» disse d'un tratto Rajura, mentre si guardava intorno con aria annoiata.
    Nasti si girò e dimenticò all'istante il capogiro e la solita nausea, che sempre la coglievano quando si lasciava trasportare da uno dei samurai o dei demoni, in quel loro modo impossibile.
    «Hanno distrutto tutto!» esclamò, impietrita davanti alla stanza completamente devastata.
    Rajura l'aveva portata al suo cottage, come gli aveva chiesto, ma lei non riuscì a riconoscerlo subito, nello stato penoso in cui si trovava. In un gesto sgomento portò entrambe le mani al viso, mentre incredula guardava il caos e la distruzione che imperavano in quello che era stato l'elegante salone del cottage di suo nonno.
    Le armature antiche e le armi da collezione, di pregiatissima fattura, erano state staccate dai loro supporti e scaraventate a terra, in mezzo a cassetti svuotati e soprammobili sbriciolati. La porta vetrata che si apriva sulla terrazza era spalancata; i vetri in frantumi scricchiolavano sotto i passi di Rajura, mentre lui si muoveva per la stanza al chiarore dell'alba che filtrava dalle finestre rotte.
    Il demone si chinò a raccogliere l'elmo di un'armatura. Un antico kabuto crestato, completo della sua maschera minacciosa, e l'osservò attento, quasi gli rammentasse qualcosa.
    Nasti si avvide appena del suo gesto. Percorse la stanza zoppicando e avendo cura di non urtare con i piedi gli oggetti rotti, sparsi ovunque. Ognuno di essi era come una ferita inferta nella sua carne viva.
    I cimeli della preziosa collezione di suo nonno erano stati tutti pressoché distrutti, strappati dalle vetrine che li custodivano o spezzati a terra, senza pietà. Mobili di gran pregio erano stati divelti e sventrati, svuotati del loro contenuto, oggetti o documenti che fossero. Sembrava che un tornado fosse passato attraverso la stanza, senza risparmiare nemmeno i quadri, le targhe e le raccolte di fotografie appese alle pareti.
    Con il cuore che le sanguinava e doleva più delle piante dei piedi feriti, Nasti raggiunse il suo studio. Rajura la seguì, restando a distanza, come a mostrare rispetto per il dolore e lo sgomento della ragazza.
    In un altro momento, Nasti si sarebbe meravigliata di una tale delicatezza da parte sua, ma adesso riusciva a pensare solo a ciò che si vedeva intorno, e che faceva fatica a realizzare. Tutta la sua vita, la vita e la memoria di suo nonno, erano state violate e deturpate nella loro intimità, senza rispetto. Senza pietà.
    La ragazza si fermò infine davanti al suo computer rovesciato a terra, irrimediabilmente danneggiato. Il disco rigido strappato via, come un cuore dal suo petto, e sbriciolato da una mano sicuramente dotata di una forza non umana.
    «Seiji» mormorò Nasti, nel riconoscere la traccia netta e rovente lasciata dalla lama del Samurai della Luce sui due monconi della scrivania, tagliata in due come da un rasoio enorme, con tanta forza che persino le piastrelle del pavimento sotto di essa apparivano incise a fondo.
    Fogli di appunti e pagine di libri strappati erano sparsi tutto attorno, con altri relitti ormai inservibili.
    Nasti girò attorno ai resti della scrivania, che aveva ereditato da suo nonno, muovendosi come un automa, e si diresse verso camera sua. La devastazione non aveva risparmiato nemmeno i corridoi. Fu nel vedere la terribile violenza con cui gli intrusi si erano accaniti contro casa sua, che Nasti ebbe la certezza che chiunque fosse stato lì con Seiji doveva avere due obiettivi: distruggere il suo archivio e eliminare lei stessa.
    Sapeva che Rajura era ancora dietro di lei, ma non si girò a guardarlo. Lo sentiva muoversi tra i detriti, muto, quasi fosse egli stesso in qualche modo colpito da tanta violenza.
    Nasti si apprestò a ispezionare le camere. Le porte spalancate o addirittura divelte stavano già a indicare che non erano sfuggite ai vandali. Le stanze che avevano ospitato Ryo e gli altri, al tempo della guerra contro Arago, erano infatti state messe a soqquadro come il resto della casa.
    La ragazza sentì la rabbia crescere disperata dentro di lei. Si diresse verso la sua camera da letto, preparata a trovarvi il medesimo spettacolo. I mobili rovesciati, le tende strappate, mosse dal vento che attraversava i vetri rotti delle finestre, l'accolsero in un lugubre benvenuto, quando lei entrò scavalcando la porta rovesciata a terra.
    Una violenta sensazione di malessere fisico la travolse: mani estranee avevano rovistato fra le sue cose più intime. Oggetti a lei cari erano stati ridotti in briciole; i suoi abiti, strappati dai cassetti e dall'armadio in cui erano riposti con cura, erano stati lacerati ferocemente e lasciati a brandelli sparsi qua e là, tristi vessilli di sconfitta.
    Ogni squarcio in quella stanza, nel più umile dei suoi abiti, calzino o sottoveste che fosse, era una ferita per lei.
    D'un tratto, qualcosa si mosse nell'ombra, in un angolo nascosto dal letto disfatto.
    Senza pensare Nasti si gettò di lato, evitando la lama scattata contro di lei, e contemporaneamente scagliò il pugno chiuso contro la sagoma scaturita dalla semioscurità. Un'esclamazione di dolore accompagnò l'urto della sua mano contro quello che doveva essere un volto.
    Ruzzolata di lato, Nasti scosse la mano dolorante, mentre sotto l'altra sentì qualcosa di solido, forse i resti di un soprammobile, che poteva usare come un'arma, e l'afferrò. Alla luce che filtrava più forte dalle tapparelle rotte della finestra, vide l'estraneo gettarsi ancora su di lei. Si sottrasse al suo attacco, scivolando di lato e, rapida colpì con rabbia l'uomo alla testa.
    L'estraneo si piegò con un lamento e lei colpì ancora, fino a che questi non stramazzò al suolo. Senza più sentire il dolore ai piedi, con un calcio gli fece saltare via dalle dita il coltello che gli vide in mano. Veloce, Nasti lo raccolse e lo sollevò, pronta a colpire.
    Riconobbe il suo coltello da cucina, con la lama larga e corta. L'uomo si girò a terra, la testa stretta tra le mani, e come le vide il coltello in pungo fece un gesto di resa.
    Nasti era furiosa, non avrebbe esitato ad affondare la lama nella sua carne, ma in quel momento Rajura comparve sulla porta e l'uomo si ritrasse, strisciando contro la parete, con un'espressione di terrore dipinta sul volto.
    «Stai lontano da me, demonio!» gridò appiattendosi contro il muro.
    Rajura lo raggiunse, camminando con calma gelida. Si chinò su di lui, come si sarebbe chinato su di un cane rognoso, e mentre lui si dibatteva urlando, lo afferrò per il colletto, con due sole dita. Lo sollevò quindi in aria, tenendolo a distanza.
    L'uomo smise di dibattersi sentendo la terra mancargli sotto i piedi e ammutolì. Gli occhi dilatati dal terrore fissi nello sguardo viola di Rajura che lo reggeva a diversi centimetri dal suolo.
    «Sei stato gentile a restare qui ad aspettarci» disse Rajura con sarcasmo. «Sono certo che avremo molte cose di cui parlare.»
    Nella sua stretta, l'uomo divenne cinereo.

    Seduta su di un morbido cuscino nella casa di legno e carta di riso, Kayura guardava sua madre intenta a tessere.
    «Sto di nuovo sognando di te, madre, e della nostra casa. È passato tanto tempo, ma tutto è così nitido nella mia memoria. Riconosco ogni angolo qua dentro, e so cosa c'è là fuori, oltre quella parete. Non ho dimenticato le pieghe del tuo volto e delle tue mani, così abili su quel telaio. Ricordi? Stavo ad ore a fissare le tue dita far scorrere la spola tra i fili tesi.»
    Quando sarai più grande ti insegnerò a tessere, Kayura. Ogni donna deve saperlo fare.
    Senza distogliere lo sguardo dal suo lavoro, la madre le parlò come quando era bambina. Kayura l'aveva sognata molte volte, ma mai la donna le aveva parlato in risposta alle sue parole.
    «Guardami madre. Sono cresciuta ormai, e tu non hai mai potuto insegnarmi a tessere. Arago mi portò via da te troppo presto. Fece di me un guscio vuoto nelle sue mani, privandomi di personalità e sentimenti. Non ero più niente, sai? non sapevo nemmeno chi fossi e non me lo chiedevo. Tutto ciò che doveva essere lo decideva Arago. Avevo dimenticato tutto, persino te.»
    Kayura sentì le lacrime scorrerle lungo le guance e si protese verso sua madre. Le abbracciò la vita nascondendo il volto nelle sue vesti. «Ho fatto cose terribili, madre mia.»
    Ma che bambina piagnucolona, la rimproverò la donna teneramente, accarezzandole i capelli. Kaosu non ti vorrà più nel suo clan, se continuerai a piagnucolare così.
    «Kaosu mi ha abbandonata e mi ha lasciato un compito troppo grande. Io non ce la faccio. Non riesco a sopportare il peso della responsabilità di chi deve lottare contro il Male, in una battaglia che non lascia alternative alla vittoria. Vorrei non svegliarmi più da questo sogno e restare sempre con te.»
    Sai figlia, forse era destino.
    La madre scomparve assieme al suo telaio ed alla casa. Tra le braccia di Kayura rimase solo l'aria.
    «No, madre! Non lasciarmi sola!»
    Non sei sola, figlia mia.
    Kayura cercò di seguire l'eco della sua voce. Quel sogno così bello si stava trasformando in un incubo.
    Era destino che Arago ti portasse via da me, perché il tuo compito si svolgesse in un futuro lontano. Devo credere che sia così, o non avrò mai pace per averti persa.
    «Cosa devo fare, madre? Che cosa devo fare?!» gridò Kayura sentendosi soffocare dallo sgomento.
    Svegliati, Kayura. Svegliati: abbi fiducia in te stessa; segui il tuo cuore e ricorda: io non ho permesso che tu restassi sola.
    La voce della madre si perse nel borbottio sordo, simile a un lento cantilenare che riempiva l'ambiente buio venuto a sostituirsi quello familiare e confortevole della casa di legno. Tutto divenne tetro e un odore di chiuso, fetido di muffa e sporcizia, invase le narici di Kayura, facendola sussultare. E poi un sentore umido, appiccicoso, come qualcosa di sporco le sfiorò la pelle. Occhi minuscoli, brillanti e astuti, luccicarono nell'oscurità.
    Topi, ralizzò Kayura in un brivido di orrore.
    E poi quel canto. Sempre più forte, uguale alla cantilena che aveva invaso lo Yoja-kai quando il varco si era aperto nel cielo sopra il palazzo di Arago.
    A quel canto che le tormentava il cranio, Kayura si svegliò di soprassalto. Avrebbe gridato, ma sentì sulle labbra le dita di Shuten in una lieve pressione a indurle di tacere.
    «È qui» mormorò il demone.
    Kayura annuì, ricambiando il suo sguardo. Si alzò, e nel tempo in cui lei si alzava Shuten già vestiva la sua protoarmatura scura, sfregiata dai danni subiti e, se pur vacillando, fu in piedi prima di lei.
    La ragazza, gli prese la mano mentre con l’altra raccoglieva da terra lo Shakujo, che brillava di una luce tenue, come di avvertimento.
    Kayura lo guardò appena. Ormai non aveva bisogno di vederlo, per sapere che l'Entità era venuta a riprendersi Shin.


    Cap. XXVII
    Il vero nemico

    «Prudenza, Shû. Non mi piace questa storia» disse Tôma, aggrappandosi all'amico nel tentativo di frenare i suoi passi.
    «Tôma ha ragione, non correre così. Avviciniamoci piano e cerchiamo di non farci vedere» aggiunse Ryo, resistendo a sua volta all'impeto del Samurai della Terra che trascinava lui e Tôma verso il bagliore luminoso che appariva adesso al termine del tunnel.
    Shû rallentò e soffocò in un rivolo d'acqua la luce azzurrina che ormai già languiva sulla lama di Ryo. Un filo di fetido fumo nerastro si levò allo sfrigolare dello strano fuoco, che annegava nel rigagnolo sudicio.
    «Dovrai dare una bella lavata alla tua spada, Ryo» disse Shû restituendo la katana all'amico. «Nemmeno le lame avvelenate di Naza puzzano così.»
    «Mi consola il sapere che il nostro piccolo Jun sta avendo cura dell'altra» rispose Ryo, sforzandosi di mantenere un tono leggero, per cacciare il senso di disagio che il canto incessante, ormai vicinissimo, gli accendeva nel cuore in un tormento quasi fisico.
    «Jun e Bayuken sapranno custodirla, non temere» rispose Tôma. Pallido in viso, sembrava cercare di contrastare a sua volta l'effetto deleterio che la cantilena sinistra doveva esercitare anche sui suoi nervi.
    «Preoccupati piuttosto del tuo elmo» disse Shû, mentre con gli amici si appiattiva contro il muro sul limitare del tunnel, al di fuori del fascio di luce che proveniva dalla sua bocca spalancata. «L'ultima volta che l'ho visto, aveva un cozzo colossale. Sei proprio sicuro che Shuten non volesse ammazzarti?»
    «Se avesse voluto uccidermi, non avrebbe mirato all'elmo» rispose Ryo. Aggrottò la fronte e si scostò da Shû, riuscendo a restare in piedi da solo. «Temo di averlo ferito seriamente, prima che tu riuscissi a separarmi da lui.»
    Il Samurai della Terra gli strinse forte una spalla per fargli coraggio. «Non l'ho visto messo troppo peggio di te, e poi lui è un demone: cosa puoi avergli fatto?» disse, ma aveva la fronte corrugata e lo sguardo cupo.
    «È un demone, ma anche un uomo» affermò Tôma. «Ancora fatico a credere che sia vivo: eravamo tutti convinti che non fosse sopravvissuto allo scontro con quel maledetto Badamon, per sottrarre Kayura al suo controllo. Passare a lei la sua yoroi per liberarla, mentre Kayura gli scaricava addosso tutto il potere di cui Arago l'aveva dotata, è stato un vero suicidio.»
    Ryo serrò la mascella, tanto da far affiorare i muscoli sul viso. «Eppure lo ha fatto, e l'ha salvata» mormorò, «mentre noi abbiamo sempre solo cercato di ucciderla. Persino io, con l'Armatura Bianca. Fu Shuten a fermarmi.»
    «Non potevi sapere che Kayura era l'ultima erede di Kaosu, nessuno di noi lo sapeva» gli ricordò Tôma.
    «Questo non mi fa sentire meglio dall'aver cercato di uccidere una ragazza innocente» replicò Ryo con durezza, rigirando la spada nel pugno con fare nervoso.
    Shû grattò la radice del naso e schiarì la voce, come imbarazzato. «Se dobbiamo essere sinceri, nessuno di noi ha più visto Shuten, né vivo né morto, dopo che abbiamo lasciato lo Yoja-kai e sconfitto Arago, qui, nel nostro mondo» disse per cambiare discorso, «ma ricordo bene che Kayura non aveva più indosso l'armatura del generale dei demoni, quando se ne è andata. Piuttosto, era vestita di un kimono così grande che pareva dovesse affogarci dentro. Già questo avrebbe dovuto farci sorgere qualche sospetto, non pensate?» domandò più rivolto a se stesso che agli amici. Raddrizzò infine la testa, come fosse giunto alla conclusione del suo rimuginare. «Per come la vedo io, Kaosu ha ritenuto di non aver ancora finito con Shuten Doji, e semplicemente non lo ha lasciato andare.»
    «Lo dici come se lo avesse in qualche modo "incastrato" per un suo fine» rispose Tôma con un mezzo sorriso.
    Shû sbuffò, con fare rancoroso. «Gli starebbe bene a quel demonio. Dopo tutto quello che ha fatto, sarebbe stato troppo comodo morire da eroe» affermò e tese il collo per guardare oltre l'angolo del tunnel, nell'ambiente luminoso da cui provenivano le voci che cantavano.
    «Kaosu non c'entra» disse d'un tratto Ryo, e non avrebbe saputo dire nemmeno lui il perché di quelle parole. Si scosse, davanti allo sguardo interrogativo di Tôma. «Comunque sia, sono felice che Shuten sia ancora con noi. Per quanto sia stato un avversario terribile, adesso è mio amico» affermò infine, ma nel pronunciare quelle parole ebbe come la sensazione che qualcosa si agitasse nel suo animo, simile a un grumo di una sorta di sostanza putrida, aggrappato da qualche parte, in fondo al cuore.
    «Ci faremo raccontare da Shuten cosa è successo, quando tutta questa storia sarà finita» intervenne Tôma, allungandosi a sua volta per sbirciare oltre l'angolo di cemento.
    «Come volete» rispose Shû, «ma non contate su di me per chiederglielo. Adesso comunque, mi preoccupano più Shin e Seiji. Vorrei solo sapere cosa ne è stato di loro.»
    Ryo rimase immobile, le spalle premute contro il muro viscido. Girò la testa, prima da un lato poi dall'altro, come a inseguire un suono o forse solo una sensazione. Fu quando sentì Tôma tirarlo per un braccio che si riscosse.
    «Stai bene?» domandò l'amico, preoccupato.
    Ryo annuì. Si protese al di là di Tôma, ponendogli una mano sul petto come a volersi sostenere a lui, e guardò nella bocca del tunnel.
    «Eccoli qua, i nostri amici del coro» sussurrò Shû, digrignando i denti.
    Uomini e donne di diverse età erano riuniti in quella che un tempo doveva essere la piattaforma di una stazione della metropolitana. Sul muro scrostato era ancora appeso il cartello arrugginito che doveva indicarne il nome, ma era talmente corroso da risultare ormai illeggibile.
    Ryo non perse tempo a contare quante fossero quelle persone, tutte vestite di una tunica bianca, il cappuccio calato sul volto. Uniti per mano, a formare più cerchi concentrici, erano serrati in una catena umana, come ad attorniare qualcosa che doveva trovarsi nel centro del gruppo, ma che Ryo e gli amici non riuscivano a vedere.
    Illuminati da una luce cangiante dei colori dell'iride, che pioveva su di loro come da lenti prismatiche appese al soffitto, i convenuti cantavano senza tregua, una canzone senza parole, fatta solo di note che si susseguivano in una melodia bassa e ipnotica. Uomini e donne si muovevano all'unisono, dondolandosi avanti e indietro, per poi scuotersi di lato e riprendere di nuovo a dondolare.
    «Chi diavolo è questa gente?» domandò Tôma, fissando a occhi sgranati la scena davanti a lui.
    «Sono i suoi adepti» mormorò Ryo. Portò le dita contratte al torace, come una fitta gli avesse improvvisamente attraversato il cuore. «Sono loro, sono loro a dargli forza. Lo sentite? Sentite questa energia?» chiese e si accorse che si stava protendendo in avanti solo quando Shû e Tôma lo afferrarono e lo trassero bruscamente indietro.
    Ryo guardò gli amici con occhi febbricitanti, mentre un'eccitazione incontrollabile gli infiammava le vene. «La musica del samisen è scomparsa, me ne rendo conto solo ora. Voi non la sentivate, ma adesso... adesso dovete avvertire questa energia! Ditemi che l'avvertite anche voi!» esclamò, da sotto la mano che Tôma gli premette sulla bocca a soffocare la sua voce.
    Tôma e Shû lo trascinarono via, arretrando di nuovo nel buio e lo tennero stretto, finché smise di dibattersi e sembrò calmarsi, nonostante il respiro affannato.
    «Uccidimi, Shû» ansimò Ryo e mise a forza la sua spada nelle mani dell'amico, costringendolo a volgerla contro di lui.
    Il Samurai della Terra si ritrasse, inorridito, gli strappò l'elsa della katana dalle dita e l'allontanò di lato con il braccio teso, fuori dalla sua portata. «Finiscila! Stai fermo ora, ti metto al collo il Gioiello della Vita, quello ti proteggerà. Lasciami il tempo di toglierlo.»
    «No!» urlò Ryo, dibattendosi nella stretta degli amici.
    «La Gemma! Liberati della Gemma del Fuoco» esclamò Tôma. Allarmato gettò uno sguardo alle persone in trance, ma nessuno pareva aver udito il loro trambusto. «Perché non ci ho pensato prima?! Shû è protetto dal Gioiello della Vita, per questo non sente l'influsso di questa energia di cui parli. Io invece non ho la mia Gemma! Gettala, Ryo!»
    Tremando Ryo portò entrambe le mani al petto, come volesse affondare le dita tra le costole e strappare via la Gemma dal cuore. Alzò il viso sofferente al soffitto, verso la fine illuminata del tunnel, gli occhi serrati e i denti stretti in una smorfia di dolore.
    Quando sentì il tepore della sua Sfera muoversi nel petto aprì le palpebre. Fu allora che li vide: sembravano fatti di filamenti di pura energia, quattro pentacoli iridescenti, il cui colore dominante era quello delle rispettive armature di Shin, Seiji, Shû e Tôma oscillavano sopra le teste incappucciate delle persone sprofondate nella trance.
    In preda all'orrore, Ryo si rese conto che mancava il pentacolo del colore rosso della yoroi del Fuoco. Un pensiero agghiacciante lo spinse a abbassare lo sguardo sulle tuniche bianche dei celebranti riuniti nel cerchio più stretto, a circondare qualcosa che lui non poteva vedere.
    Riusciva a scorgere quella gente solo di sbieco: forme bianche che ondeggiavano e beccheggiavano simili a una marea schiumosa e iridescente. D'un tratto, come in risposta all'indagare dei suoi occhi, un bagliore sanguigno s'irradiò intenso dal centro del gruppo e, con orrore indicibile, Ryo comprese infine che era lì, proprio nel punto focale del cerchio, che si trovava il pentacolo con i colori della sua Yoroi del Fuoco.

    Nella mente annebbiata di Shin la musica dolce del samisen che il giovane era convinto di star solo sognando svanì. Rimase però l'altro suono, fatto di voci lontane, a echeggiargli basso e tormentoso nel cranio, simile a un incubo da cui Shin non poteva fuggire.
    Il samurai si mosse, stendendo i muscoli. Socchiuse gli occhi, con grande fatica, come se le palpebre si rifiutassero di aprirsi, troppo pesanti del sonno innaturale ma consolatorio in cui erano rimaste a riposo sino ad allora.
    Shin impiegò alcuni istanti a realizzare ciò che stava vedendo: un soffitto di travi in legno lucido dall'aria antica lo sovrastava, leggero nella luce dorata di un'alba che aveva qualcosa di estraneo, come appartenesse a un altro mondo.
    Il giovane girò la testa, inseguendo la luce. Vide allora il telaio della porta scorrevole aperta, con i suoi pannelli in carta di riso dipinto, e vide Kayura seduta in ginocchio a pochi passi da lui. Alle sue spalle, in piedi nella stanza attigua, Shuten, Naza e Anubisu, vestiti delle loro protoarmature vistosamente danneggiate, lo guardavano simili a sentinelle silenziose, attenti a ogni suo movimento.
    Shin spalancò la bocca, ma non riuscì a emettere alcun suono. Il panico lo serrò in una morsa di gelo. Come evocato dalla vista di Kayura e dei demoni, ogni singolo ricordo di quanto era accaduto, di ciò che aveva fatto sotto il controllo dell'Entità lo assalì con violenza lasciandolo senza fiato.
    Poi sentì che una presenza estranea stava strisciando dentro di lui, portata dalle note lamentose della cantilena che gli bruciava il cervello. Dalla nenia insopportabile sembravano allungarsi dita invisibili a rovistargli il cuore, fino fargli male nella frustrazione di non trovare ciò che stavano cercando.
    Shin sentì il sangue abbandonargli il volto e un sudario di gelo gli avvolse il corpo. Sgomento, guardò Kayura implorando in silenzio il suo aiuto.
    La ragazza chinò la testa e portò una mano alle pieghe del kimono sul petto. Rialzò il capo verso il samurai, e gli rivolse uno sguardo fermo dei suoi occhi profondi mentre estraeva dal seno la gemma azzurrina della Yoroi dell'Acqua. Nel vederla Shin si scosse in un sussulto, raddrizzandosi seduto.
    «È questa che sta cercando» disse Kayura, tendendo verso Shin la Sfera che prese a palpitare piano sul suo palmo, come una cosa viva.
    Shin si raccolse attorno ai fianchi le lenzuola del suo giaciglio e si ritrasse, tremando. «Tienila lontano da me! Non deve tornare o quella cosa mi prenderà di nuovo» esclamò, quasi gracchiando con la voce rauca.
    Kayura mise giù la mano, lasciandola ricadere in grembo, ma la Gemma dell'Acqua rimase a galleggiare a mezz'aria, come indecisa se tornare da lei o raggiungere il suo padrone.
    La ragazza pose la sinistra sullo Shakujo, steso a terra al suo fianco, ma non fece niente altro, solo lo sfiorò, facendo tintinnare appena gli anelli dorati.
    A quel suono lieve, la luce del giorno parve farsi più intensa e la mente di Shin si schiarì, come destatasi dall'ultimo torpore dello stordimento. I suoi occhi videro più nitidamente e sentì che lo strano mondo in cui si trovava era vivo di molte vite invisibili, che si tenevano nascoste, timorose di lui.
    Shin girò lo sguardo attorno. Adesso era completamente sveglio e padrone di sé. Sentiva freddo e si accorse di essere nudo, con la pelle sudata e accapponata, ma dimenticò ogni suo disagio nel vedere le ferite sul viso pallido di Naza; la posizione di Anubisu, piegata e sofferente sulla gamba lesa, e il fianco sfregiato della protoarmatura di Shuten e di come il demone si reggesse in piedi a fatica.
    «Che cosa vi abbiamo fatto?» mormorò. Rabbrividì nel sentire l'Entità aliena dentro di lui che si ritraeva rabbiosa, come disturbata dal senso di pietà e di colpa che lo aveva assalito. Subito però un altro pensiero gli sorse alla mente, come suggerito da quella stessa volontà estranea, avvinghiata alla sua coscienza.
    La sfera azzurra si mosse nell'aria, come sul punto di volare da lui, poi si fermò e palpitò di nuovo immobile, tra Shin e Kayura.
    «I miei amici, dove sono? Cosa ne è stato di loro?» domandò e si protese in avanti, stringendosi addosso le lenzuola. Adesso si sentiva arrabbiato, e le ferite presero a fargli male, come si fosse ricordato di esse solo in quel momento.
    «Non sappiamo dove siano Ryo, Shû, Tôma e Seiji, ma speravamo tu potessi aiutarci a trovarli» rispose Kayura.
    Shin passò una mano alla base del collo, dove Naza gli aveva conficcato la siringa. Un vago senso di rancore si agitò dentro di lui, e poi ripensò a Anubisu che combatteva contro Seiji, e fu certo che il demone non avrebbe esitato a uccidere il samurai, se solo vi fosse riuscito. Vecchi ricordi gli riportarono alla mente con quanta crudeltà Shuten li avesse assaliti in passato, senza dare loro tregua, e il suo accanimento contro Ryo gli suscitò la stessa rabbia di allora. E poi dov'era Rajura? Lui, sempre così perfido con Shû, dov'era adesso?
    Shin rivolse gli occhi ai demoni, alle spalle di Kayura e li guardò con astio, tanto che i tre si tesero, come si aspettassero che lui volesse assalirli.
    Kayura sollevò rapida il bastone, come a interporlo tra loro. Gli anelli d'oro tintinnarono più forte al movimento brusco. Shin si scosse in un nuovo brivido, tirò un respiro profondo e poi espirò con forza, come se il suo corpo volesse liberare i polmoni da qualcosa che li soffocasse.
    Kayura lo guardò, quasi d'un tratto avesse colto qualcosa d'inaspettato in lui e Shin sentì la luce dei suoi occhi penetrargli l'animo, suscitandogli una sensazione antica, che non avrebbe mai dimenticato: la stessa sensazione provata un tempo, davanti a Kaosu. Ma fu solo un breve istante, Kayura si ritrasse, quasi sorpresa a sua volta, e distolse il viso rompendo l'incanto.
    «Cerca di ricordare sempre chi è il tuo vero nemico» mormorò Kayura. Si alzò e arretrò verso i demoni.
    Shin si protese verso di lei, allungando una mano come a volerla trattenere, ma a quel gesto la Gemma dell'Acqua guizzò nel suo palmo. Il samurai la guardò a occhi sgranati, come fosse qualcosa di orribile. Alzò il braccio, quasi volesse scagliarla via, ma poi lo ripiegò sul petto e si curvò su se stesso, scosso da singhiozzi silenziosi.
    «E così, infine, devo cedere al mio destino» sussurrò sconfitto.
    «Suiko no Shin: non puoi deporre la tua armatura, poiché essa ha deciso che tu sei l'unico degno di lei» disse Kayura e la sua stessa voce suonò strana, di una determinazione antica quale mai aveva avuto prima.
    Shin lasciò che la Gemma gli attraversasse lieve carne e sangue, per tornare al suo posto, in fondo al cuore. Nello stesso momento, si accorse che la volontà lo abbandonava, risucchiata via da un vortice di odio trionfante, mentre una risata feroce gli squassava il cranio.
    Nell'istante in cui la sua armatura azzurra lo rivestiva in un bagliore di luce accecante, Shin ebbe visione di Jun e Bayuken che arrivavano di corsa, e udì Kayura che gridava ai demoni già pronti a combattere di non indossare le loro yoroi.
    Nella voce della ragazza, Shin riconobbe con sorpresa un'eco di quella di Kaosu. Con l'ultimo barlume di coscienza che gli rimaneva, si teletrasportò via dallo Yoja-kai, ed ebbe la soddisfazione di sentire la sorpresa dell'Entità a quel suo atto di ribellione riverberargli rabbiosa nell'animo.


    Cap. XXVIII
    L'adepto

    Seduta sulla poltrona dalla fodera strappata, nel mezzo del salone devastato di casa sua, Nasti fissava con occhi di fuoco l'uomo magro e dinoccolato, semiaffondato nell'altra poltrona, lacera e ammaccata, posta di fronte a lei. Sullo sfondo, il divano rovesciato mostrava il ventre squarciato al soffitto.
    «Chi sei? Dimmi il tuo nome e chi ti ha mandato» ordinò Nasti, fremente d'ira.
    L'uomo si rannicchiò su se stesso e evitò di guardarla. «Il Maestro è la mia guida» rispose, ripetendo sempre le stesse parole a ogni domanda che gli veniva posta dal momento in cui era stato catturato.
    «Nasti, ti dispiace se lo interrogo io?» domandò Rajura con fare sornione, in piedi alle spalle dell'uomo tremante di paura. Questi sussultò e da pallido il suo volto si fece verdastro.
    Nasti gettò uno sguardo a Rajura e poi volse di nuovo gli occhi aggrottati al prigioniero. «Se non la finisci con questa nenia e mi rispondi subito, lascerò che questo demone faccia di te quello che vuole» minacciò.
    «Il Maestro è...»
    L'uomo non poté finire la frase: Nasti rivolse a Rajura un cenno col capo, che il demone accolse con un sogghigno di soddisfazione. L'istante successivo, la ragazza vide il prigioniero spalancare gli occhi e restare a bocca aperta, con un'espressione di puro terrore dipinto in faccia, mentre con le mani artigliava i braccioli e ritirava le gambe al petto infossato, come a volersi rifugiare sulla poltrona da qualcosa di spaventoso che gli fosse apparso davanti all'improvviso.
    L'urlo del prigioniero fu così acuto e straziante che Nasti provò l'impulso di tapparsi le orecchie.
    «Non è reale, non sta accadendo davvero!» gridò il prigioniero, con i capelli irti in capo e il corpo così teso da sembrare sul punto di schiantare ogni singolo nervo.
    «Bene, abbiamo cambiato registro» sorrise Rajura, abbassandosi sul prigioniero da sopra lo schienale della poltrona. «Il tuo nome, prego.»
    «Sto precipitando!» gridò l'uomo e ora guardava in basso, gli occhi strabuzzati come vedesse davvero il pavimento fuggirgli da sotto e spalancarsi in un abisso senza fondo.
    Nasti rabbrividì e non osò immaginare cosa il prigioniero stesse vivendo. Nonostante fosse terribilmente arrabbiata, cominciò a provare una certa pietà. Non abbastanza però da spingerla a chiedere a Rajura di fermarsi, così rimase in silenzio e lasciò che il demone proseguisse la sua opera di convincimento.
    «Se non ti decidi a rispondere, ti lascerò cadere nel vuoto all'infinito, o meglio, fino a che morirai» disse Rajura, e la sua voce morbida suonò così crudele che Nasti sentì i peli rizzarsi sul collo.
    «Tu sei il demone dell'inganno» farfugliò l'uomo, parlando a fatica, mentre aggricciava le labbra e la pelle del viso si tendeva sulle sue ossa, come se veramente un forte vento gli stesse investendo il volto.
    «Generale Demone dell'Illusione, prego» lo corresse Rajura, mentre gli girava intorno osservandolo con disprezzo. «Vuoi deciderti a parlare? Mi sto stancando del tuo odore sgradevole, perciò o parli ora o me ne vado, e ti lascio a goderti la caduta.»
    L'uomo sembrò lottare per mantenersi attaccato alla poltrona. Con un certo raccapriccio, Nasti lo vide infine cedere, come fosse stato sopraffatto dal vento inesistente che lo investiva. Il prigioniero si tese in avanti, levò le mani dai braccioli e allargò le braccia, poi le gambe e assunse una posa grottesca, come la caricatura di un paracadutista il quale, dopo il lancio, avesse scoperto che il suo paracadute non si sarebbe aperto.
    «Hoshino! Mi chiamo Hoshino Ryuichi!» gridò l'uomo in affanno, quasi gli mancasse l'aria. Annaspò ancora alcuni istanti, poi sbatté le ciglia e lasciò ricadere gambe e braccia, mentre sul viso cereo, madido di sudore, gli compariva un'espressione stupita. «Ho smesso di cadere...» mormorò rauco.
    Nasti fece finta di non vedere il sorriso che Rajura le rivolse, non voleva dare la sua approvazione al fatto che avesse torturato il prigioniero. Si rendeva però conto della propria incoerenza, dopo che lei stessa lo aveva invitato a fare di Hoshino quello che voleva, pur di ottenere il loro scopo. Imbarazzata, si sforzò di concentrarsi sull'interrogatorio.
    «Non puoi aver fatto tutti questi danni da solo, anche se vedo sei rimasto soltanto tu qui, a aspettare me per uccidermi» disse la ragazza, rivolgendosi al prigioniero mentre cercava di ignorare lo sguardo divertito con cui Rajura adesso la osservava. Uno sguardo che le faceva sospettare il demone avesse intuito i suoi pensieri. «In quanti siete a seguire questo vostro Maestro?» domandò, protendendosi leggermente verso l'uomo tremante che aveva davanti.
    «In molti, più di quanti potete immaginare. Lui ci conduce sulla via della pace» rispose Hoshino, rigirando nervosamente le mani sudate.
    Rajura rise sarcastico. «Piuttosto ipocrita come affermazione» osservò, indicando con un gesto del braccio la devastazione tutto attorno.
    «Una persona è morta e molte stanno soffrendo a causa del tuo Maestro» disse Nasti, severa. «I miei amici stanno soffrendo.»
    Hoshino la guardò con espressione di doloroso stupore, quasi lei avesse dichiarato una sorta di atroce tradimento nei confronti di qualcosa di sacro. «Nasti-sama, i tuoi amici sono demoni del male, servi della strega che ostacola il Maestro. Meritano di soffrire» piagnucolò, poi serrò le palpebre e urlò di terrore, quando Rajura afferrò la poltrona e la girò bruscamente verso di sé.
    «Non farglielo fare, Nasti-sama! Ti chiedo perdono per aver cercato di ucciderti, volevo solo mostrare il mio zelo al Maestro! T'imploro, Nasti-sama, non lasciare che mi faccia cadere di nuovo!» gridò Hoshino che doveva aveva scambiato il movimento della poltrona per il ripetersi dell'illusione di poco prima, tanto da afferrarsi ai braccioli come un naufrago all'ultimo relitto della sua nave.
    «Lascialo, Rajura» intervenne Nasti, lottando contro la tentazione di abbandonare quell'uomo spregevole alle mani del demone.
    Rajura le rivolse uno sguardo torvo. «Questo imbecille ha capito che siamo noi i tuoi amici, non vuoi che gli chiarisca le idee?»
    Nasti lo guardò dritto in viso e parlò senza esitare. «Non c'è niente da chiarire.»
    Il demone ebbe un'espressione perplessa, come non fosse sicuro di aver capito ciò che lei aveva detto, o, al contrario, di aver capito bene ma di trovarsi indeciso su come accogliere quelle parole. A ogni modo tenne ancora la poltrona girata verso di sé.
    Nasti temette di aver commesso un errore. Rajura non era Shuten e lei avrebbe fatto meglio a tenerlo sempre a mente. «È mio prigioniero. L'ho catturato io, in casa mia, spetta a me interrogarlo» azzardò.
    Rajura rigirò la poltrona con tanta forza che Hoshino quasi ne ruzzolò fuori, nonostante vi fosse aggrappato. «È tutto tuo, Nasti-sama» disse il demone con sarcasmo.
    «Dimmi chi è il tuo Maestro!» ordinò la ragazza.
    L'uomo la guardò come se avesse bestemmiato. «Nessuno di noi è degno di conoscerlo, lui è la Voce che ci guida.»
    Nasti aggrottò le ciglia. Come temeva, Hoshino le aveva risposto con le stesse parole che l'infermiera di Tôma aveva rivolto a Kayura. Forse, davvero quella gente non sapeva chi fosse questa Entità cui obbedivano.
    «Che aspetto ha? Come vi appare?» domandò ancora, decisa a trovare almeno un indizio.
    Hoshino scosse la testa. «Lui non ha corpo, ci parla nella mente. Il Maestro è la Voce che ci guida verso un nuovo mondo di pace, dove tutto sarà ordine e prosperità.»
    Innervosita dal ripetere della solita frase, Nasti era già sul punto di insistere con altre domande, quando si accorse di qualcosa di strano nell'atteggiamento di Rajura, che si era fatto pensieroso come stesse inseguendo un qualcosa che gli sfuggiva.
    «Non sta mentendo: per lui questo Maestro è davvero solo un voce» disse il demone. Chinò lo sguardo a guardare il nulla e carezzò il mento con le dita. «Solo una voce senza corpo» ripeté, come rivolto a se stesso.
    «No, il Maestro non è solo una voce» si risentì Hoshino, «egli è la Voce!» avrebbe proseguito a protestare, ma l'espressione terribile che d'un tratto apparve sul viso del demone lo ammutolì all'istante.
    Quando Rajura si girò infine verso Nasti e lei incontrò il suo sguardo, fu come se una luce le si accendesse di colpo nella mente. Fulminea, Nasti balzò in piedi, sentì il dolore delle ferite pungerla crudelmente, ma corse ugualmente alla libreria devastata di suo nonno. Si gettò in ginocchio, tra i libri e i quaderni sparpagliati a terra e prese a frugare tra i fogli strappati e i tomi rovesciati sul pavimento.
    «Deve essere qui!» esclamò, rovistando tra le carte.
    «Non serve più, qualsiasi cosa tu stia cercando» rispose Rajura.
    Nasti non lo ascoltò. Continuò a rigirare libri e sollevare pezzi di carta, finché le sue dita si serrarono su di una pagina antica, mezza lacerata, e lei la sollevò davanti agli occhi, a fissarla con espressione incredula.
    «Ho già capito con chi abbiamo a che fare» affermò il demone, fremente di rabbia, «e non posso nemmeno dire di non vedere l'ora di mettergli le mani addosso, visto che, come dice il nostro amico qui, è fatto di sola voce.»
    Nasti ricadde seduta, tra le macerie della sua libreria. Si girò verso il demone e gli mostrò la pagina che stringeva nella mano, recante una vecchia illustrazione sbiadita di un qualcosa che sembrava un antico tempio vuoto, davanti al quale due contadini di un ormai lontanissimo medioevo, sobbalzavano in preda al terrore.
    «Uwan, il demone senza forma» mormorò Nasti senza nemmeno leggere ciò che era scritto a margine dell'illustrazione che non guardava più.
    «Uwan, la Voce» confermò Rajura.
    Hoshino si turò le orecchie con le dita per non dover sentire il nome del suo Maestro.


    «Non ce la fa. Non riesce a liberarsi dalla Gemma» disse Shû, chino su Ryo.
    Il Samurai del Fuoco lo guardò con gli occhi dilatati. Teneva ancora le mani serrate sul petto e stringeva la stoffa della maglia, quasi sul punto di strapparla, ma era come paralizzato in quella posizione.
    «Lasciaci qui, Shû. Spezza il cerchio di quelle persone, falli smettere di cantare!» esclamò Tôma, stringendo a sé il corpo di Ryo, rigido e teso.
    «Uccidetemi» mormorò il Samurai del Fuoco, digrignando i denti fino a farli stridere.
    Shû arretrò scuotendo la testa. In preda all'orrore, gettò via la katana dell'amico che ancora teneva nella mano. La spada finì tintinnando sul cemento e rotolò in una pozza d'acqua lurida, dove sfrigolò leggermente in una nuvola di vapore, prima di giacere quieta e fredda.
    «Fai tacere quella gente, Shû!» urlò Tôma, «devi spezzare la loro catena. Sono certo che se fermiamo l'incantesimo, Uwan perderà la sua forza e non potrà più dominare Ryo e gli altri.»
    Il Samurai della Terra si girò verso il gruppo di persone che continuava a cantare, dondolandosi senza tregua. Stava per muoversi, quando tornò a volgersi verso gli amici. «Se questo Uwan della malora torna adesso, prenderà Ryo» disse cupo.
    «Shû, fa' quello che ti ho detto!» insisté Tôma, sgomento nel vedere il compagno che tornava da loro. Tra le sue braccia Ryo prese a scuotersi in brividi violenti.
    «Stai tranquillo, Tôma» rispose Shû. Alzò le mani al collo e trasse il Gioiello della Vita dal colletto che gli chiudeva la protoarmatura sulla gola. Il monile emise un lieve bagliore mentre lo sfilava da sopra la testa, e rimase inerte tra le sue dita.
    Le pupille di Ryo si dilatarono come quelle di un gatto nel fissarsi sull'oggetto sacro.
    «Cosa stai facendo?» domandò Tôma.
    «Metti il Gioiello della Vita a Ryo, lo proteggerà. Intanto io mi libero della mia Gemma. Non ho bisogno dell'armatura per far tacere quelle canaglie» rispose Shû e tese il Gioiello a Tôma.
    Il Samurai del Cielo esitò a prendere la collana di seta e conchiglie. «Non mi sembra una buona idea, Shû. Non sono certo che Uwan non potrà prenderti senza la tua Gemma, potrebbe non funzionare e tu cadresti sotto il suo potere» disse, preoccupato.
    Shû gli tese il Gioiello con ancora più forza. «Dobbiamo tentare! Non sopporto di vedere Ryo soffrire così!» chiuse gli occhi e, in un breve bagliore dorato, la sua protoarmatura gli svanì di dosso, obbedendo al suo comando silenzioso. Il Gioello della Vita brillò di una luce intensa, stretto tra le dita fasciate del pugno leso di Shû.
    Mentre ancora teneva il Gioiello teso verso Tôma, Shû portò l'altra mano al petto, ma non ebbe tempo di richiamare la sua Gemma. Ryo scattò come una molla sfuggendo alla stretta di Tôma. Con un colpo ben assestato del taglio della mano, fece schizzare via il Gioiello dalla presa di Shû e gli balzò addosso, gettandolo a terra. Con entrambe le mani lo costrinse ad allargare le braccia, come crocifiggendolo al suolo.
    Tôma si mosse per intervenire, ma si era appena mosso che con orrore vide comparire dal nulla, davanti a sé, Seiji vestito della sua armatura verde, pesantemente danneggiata e annerita come avesse attraversato un incendio.
    Tôma arretrò, trascinandosi sul cemento, incapace di togliere gli occhi da quelli dell'amico, duri e freddi, come schegge di acquamarina, puntanti malevoli su di lui attraverso la maschera chiusa dell'elmo. Non si girò quando sentì i passi di Shin che si avvicinavano alle sue spalle, ma non poté impedirsi di scambiare un ultimo sguardo sconfitto con Shû, prima che gli occhi del Samurai della Terra cambiassero e divenissero di pietra, come quelli di Seiji.
    Mentre Shin afferrava Tôma e lo sollevava di peso, il Samurai del Cielo guardò Ryo rialzarsi in piedi e rivolgergli un'espressione beffarda che non gli apparteneva. In quel momento, Tôma capì che Uwan non aveva mai lasciato del tutto la sua presa su Ryo, e si era divertito a torturarlo mentre trascinava tutti loro in quella trappola.
    «Sei un vigliacco, Uwan» ringhiò il Samurai del Cielo, con le lacrime agli occhi.
    Ryo rise piano. Crudele.
    Shû si alzò lentamente e rimase a testa china. Tôma ebbe l'impressione che stesse guardando il Gioiello della Vita caduto per terra, e che lo seguisse con lo sguardo nel momento in cui Seiji, lo spinse con la punta della sua spada al di sotto di una grata rotta.
    L'antico monile svanì tra le barre contorte e arrugginite e precipitò, finendo in un tonfo da qualche parte, giù in un qualche pozzo o condotto fognario.
    Tôma si afflosciò nella stretta di Shin, sentendo in bocca il gusto amaro della sconfitta.
    Le voci degl adepti di Uwan si levarono più forti, intonando la loro cantilena come un inno di trionfo.


    Edited by Farangis - 14/5/2018, 21:43
     
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    Va bene così,l'altro topic provvedo io a cancellarlo ;)

    Molto interessante anche il secondo capitolo, Anubis al momento è il personaggio che preferisco :lol:
    Son curioso di sapere che fine ha fatto Shin...
     
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    Giacché mi incoraggi RyoSanada io proseguo 😁

    Cap. XXIX
    La voce

    Shuten osservò l'uomo pallido come un morto che giaceva privo di sensi ai piedi di Nasti.
    Nel momento in cui Rajura si era materializzato nello Yoja-kai, con la ragazza e il loro prigioniero, questi aveva appena fatto in tempo a girare uno sguardo colmo di terrore su di lui, gli altri due demoni e Kayura. In meno di un istante era quindi finito lungo disteso per terra, la bocca semiaperta e schiumante una bava verde di bile, che adesso gli colava lungo il mento e gocciolava a terra a impiastrare il tatami.
    Mentre Rajura, più disgustato che mai, si scostava a lunghi passi dall'uomo svenuto, la figura patetica del prigioniero, che Nasti aveva detto chiamarsi Hoshino, era apparsa a Shuten come quella di un soggetto del tutto anonimo. Una persona qualsiasi, così come lo era stata l'infermiera di Tôma, ma che pure, al pari della donna, sarebbe stato capace di uccidere in nome di un sedicente Maestro di cui non conosceva nemmeno il nome e tantomeno il volto, dal momento che non ne aveva uno.
    «Uwan, possibile si tratti veramente di lui?» domandò Kayura, avvicinatasi all'uomo a terra. Dalla sua voce era evidente come ancora faticasse a credere a ciò che Nasti e Rajura le avevano riferito di aver scoperto.
    «Temo di sì» rispose Nasti e tese a Shuten il foglio strappato che aveva portato con sé.
    Il demone lo prese e aggrottò le ciglia nell'osservare le figure sbiadite dell'illustrazione che vide sulla pagina lacerata. Rievocata dalle figure in abiti e atteggiamenti antichi, la sua memoria per un momento tornò indietro, al passato che aveva vissuto secoli prima. Un passato colmo di sangue e feroce violenza. Ricordare ciò che era stato gli suscitò un profondo fastidio e, con una mossa brusca, stava per restituire il foglio a Nasti, quando Kayura pose gentilmente la mano nuda sulla sua, guantata dalla protoarmatura blu.
    Shuten si fermò, rendendosi conto con dispiacere della durezza del gesto che stava per rivolgere a Nasti, e lasciò che Kayura gli sfilasse il documento dalle dita per studiarne incuriosita il contenuto, come non si fosse accorta del suo scatto.
    Dietro di lei Naza sbirciò da sopra la sua spalla e anche Anubisu allungò il collo, ma prima del foglio il Demone dell'Oscurità gettò uno sguardo a Shuten. Uno sguardo strano, che fece voltare il compagno verso di lui, troppo tardi però per incontrare i suoi occhi.
    «Uwan, il demone fatto di solo suono» mormorò Kayura, mentre osservava le figure dei due contadini spaventati. Nella luce del nuovo giorno che entrava a fiotti dorati nel padiglione, il suo viso aveva un'espressione triste, come di rimpianto per quel mondo antico raffigurato dal disegno sbiadito e svanito nel nulla, da cui lei era stata strappata, e dove giacevano i suoi affetti perduti.
    Guardandola, Shuten aggrottò le ciglia. Non l’aveva sottratta a Arago per vederla soffrire.
    «Questo Uwan viene da qui, dallo Yoja-kai, non è vero? Voi lo conoscete?» domandò Jun, avvicinandosi a guardare con un misto di curiosità e rancore l'uomo svenuto sul tatami che non accennava a riprendersi.
    Yatate si fece avanti a sua volta, silenzioso, aggiustando gli occhiali sul naso per vedere meglio il malcapitato. Alle sue spalle, Bayuken emise un suono ringhiante e agitò la coda.
    «Sì, lo conosciamo» rispose Kayura, riscuotendosi dai suoi pensieri. «Era suddito di Arago e come tale doveva obbedienza ai suoi generali demoni, e a me. Io però non ho avuto molto a che fare con lui. Quando ero prigioniera di Arago...io...» s'interruppe, come la voce le fosse venuta a mancare, e lasciò ricadere la mano che reggeva il foglio di Nasti.
    «A volte ci siamo serviti di Uwan» intervenne Shuten, perché Kayura non si sentisse costretta a proseguire. La sofferenza che udì nella sua voce gli ferì l'anima come poche ore prima avevano fatto le lacrime di lei, che ancora gli sembrava di sentir ardere sulla pelle.
    Come potesse liberarla almeno dal peso del rimpianto, Shuten tolse delicatamente la pagina stampata dalle dita allentante della fanciulla, e lo rese a Nasti, questa volta con garbo. Kayura alzò appena gli occhi su di lui, ma lui evitò di ricambiare il suo sguardo.
    «Non era facile trovare Uwan e costringerlo a eseguire gli ordini. Cercava costantemente di sfuggirci, andando a nascondersi nei luoghi più impensati. Credo ci odiasse» disse, mentre Nasti riprendeva il foglio dalle sue mani.
    «A te, di sicuro» affermò Naza candido. «Sei sempre stato un comandante decisamente temuto, ma di certo non amato: né come uomo, né come demone.»
    Shuten si girò lentamente verso di lui, sorpreso, ma non troppo, da quell'uscita. «Ti ringrazio per avermelo ricordato» rispose con morbidezza ironica.
    «Di niente. Eri antipatico pure a noi» rispose Naza, aggiustandosi con noncuranza la medicazione sull'arco sopraccigliare ferito.
    Dal fondo della stanza dove era andato a rifugiarsi dall'odore di sudore e paura emanato dal corpo di Hoshino, Rajura bofonchiò il suo assenso. Da parte sua, Anubisu annuì con decisione.
    Shuten decise d'ignorarli tutti quanti.
    «Come ha fatto Uwan a lasciare lo Yoja-kai senza che voi ve ne accorgeste?» domandò Nasti, e vi era una nota di vago rimprovero nella sua voce tesa.
    «Uwan non era più qui quando i nostri mondi si sono separati» rispose Kayura, pensierosa. «Deve essere rimasto nella vostra dimensione dopo esservi penetrato con gli spiriti del male di Arago, nel momento in cui l'Imperatore, al culmine del suo potere, squarciò la barriera tra le dimensioni e vi invase, durante l'ultima battaglia sulla Terra tra lui e i samurai.»
    «Quando Ryo ha sconfitto Arago con l'Armatura Bianca» ricordò Jun e un fremito lo percorse, come un'eco delle emozioni intense vissute quel giorno. Poi cambiò espressione e volse uno sguardo tra l'interrogativo e l'accusatorio su Kayura e i demoni, tranne Shuten. «Perché siete rimasti qui e non veniste a combattere con noi?» domandò e dal suo tono si sentiva che da tempo aspettava di porre quella domanda.
    Naza gli rivolse uno sguardo infastidito, quasi offeso.
    «Chi credi abbia impedito alle intere schiere di spiriti del male di Arago di calare sulla vostra città?» rispose Anubisu, sgarbato, mentre aggiustava il peso del corpo sulle gambe, per gravare meno sull’arto ferito.
    Rajura si avvicinò di nuovo, girando alla larga dal corpo di Hoshino. «Sì, è stato piuttosto impegnativo trattenere quella folla di spiriti, ansiosi di venire nel vostro mondo. Poi ci siamo trovati occupati a recuperare qualcuno che credevamo di aver perduto» disse in tono distaccato.
    Shuten gli gettò uno sguardo di traverso, quando Rajura si accostò a lui e si accorse che il compagno stava osservando Nasti con un sorriso sornione sulle labbra.
    «Temo che, nonostante tu abbia cercato di ammorbidirla l'altra sera, la tua graziosa amica non ti perdonerà mai per non averle fatto sapere che eri vivo» gli sussurrò divertito all'orecchio il Demone dell'Illusione.
    «Io non...» cominciò a protestare Shuten, ma si zittì davanti agli occhi corrucciati con cui si accorse Nasti lo stava fissando. «Mi sa che hai ragione» ammise, arretrando di un passo e appoggiandosi leggermente contro l'amico. Nonostante fosse convinto di aver agito per il giusto nel non riprendere alcun contatto con Nasti e Jun, si sentì sollevato quando finalmente la ragazza distolse lo sguardo da lui e si girò verso Kayura.
    «Quello che mi domando è come ha potuto un demone come Uwan, subdolo ma non certo potente, diventare così forte da riuscire a dominare Ryo e gli altri» disse Nasti in tono perplesso e scosse la pagina che aveva in mano, come a voler far cadere fuori la risposta dal tempio vuoto che vi era dipinto.
    «Nel vostro mondo Uwan ha trovato un rifugio sicuro, da qualche parte in un posto abbandonato, come i templi e le rovine che era solito occupare nello Yoja-kai, ma comunque vicino a un luogo dove si trovano molte persone. Dalla paura e dai sentimenti oscuri di costoro, ha tratto la sua forza, fino a rapire loro l'anima e renderle sue schiave» rispose Kayura.
    «Come Arago» osservò Nasti cupa.
    «Sì, proprio come l'Imperatore» rispose Kayura, annuendo tristemente.
    «Sapevamo che Uwan non era più qui» intervenne Anubisu, «ma lo credevamo relegato nella stessa prigione dell'Imperatore, con ciò che rimane della sua corte. Ne eravamo così convinti da non porci nemmeno il dubbio che potesse trattarsi di lui, quando ha cominciato a manifestarsi nel vostro mondo.»
    «Invece era rimasto qui, nascosto, in attesa del momento giusto per prendersi la sua vendetta su di voi, e impossessarsi dell'Armatura Bianca» concluse Nasti. Portò le dita serrate al petto e guardò con astio l'uomo ai suoi piedi. «Questo vigliacco fa parte della sua setta. Sono certa che sa dove si trovano Ryo e gli altri, per questo ho chiesto a Rajura di portarlo qui da te, Kayura.»
    «Spero per te che non ti sia sbagliata, ragazzina» bofonchiò il Demone dell'Illusione. Poi avvicinò un avambraccio al viso e subito lo riabbassò, facendo una smorfia. «Puzzerò per una settimana.»
    Shuten si scostò da lui, rendendosi conto solo in quel momento di cosa fosse lo strano odore che sentiva addosso al compagno. «Nasti ha dato prova più volte della sua perspicacia e del suo coraggio» disse, gettando uno sguardo alla ragazza che aveva imparato a conoscere da tempo. «Stai tranquillo, Rajura: non puzzerai invano.»
    Rajura lo guardò storto. «La prossima volta, ci vai tu con quella bamboccia ostinata» borbottò.
    Shuten gli rispose con un mezzo sorriso ironico, certo di aver colto una nota di apprezzamento verso Nasti, nella voce del Demone dell’Illusione.
    «Avete agito bene» disse Kayura. Si avvicinò all’amica e alzò gli occhi nei suoi.
    Nasti si scosse in un fremito nel ricambiare il suo sguardo. «Ha preso Shin» intuì, prima che Kayura parlasse.
    La giovane annuì tristemente. «La sua yoroi ha scelto di tornare da lui. Mori Shin, Samurai dell'Acqua, dovrà seguire il suo destino.»
    Nasti si strinse tra le braccia e serrò la mascella. «Lui sa dove si trova, dove si trovano tutti. Svegliamolo e facciamolo parlare» disse di tra i denti, mentre fissava Hoshino con occhi di fuoco.
    «Gettiamolo nel fossato e vediamo se si riprende» propose Anubisu rude, e non stava scherzando.
    «Se non altro potrebbe servire a lavarlo e farlo puzzare di meno» rispose Naza, pungente.
    «Sia chiaro che io non intendo toccarlo!» precisò Rajura.
    «Non guardate me» ringhiò Shuten, al voltarsi degli altri tre verso di lui.
    Kayura sospirò piano. «Finitela, per favore, nessuno lo getterà nel fossato. Sento che il suo cuore è colmo di odio e di rancore, ma il suo spirito è debole. Parlerà, non dubitate» disse. Mosse lo Shakujo, traendone un lieve tintinnio dorato. Le palpebre gonfie di Hoshino vibrarono, come sul punto di aprirsi.
    «Quel poveretto è sotto shock, potrei aiutarlo a riprendersi» si offrì timidamente Yatate, avanzando di un passo verso l'uomo a terra. Subito si bloccò, fulminato sul posto dallo sguardo terribile che i quattro demoni gli indirizzarono all'istante. «Oh beh... come non detto» pigolò il medico e fece rapidamente marcia indietro, andando a nascondersi dietro Bayuken e Jun.
    «Lasci fare a Kayura, dottore» disse Jun, poco più che sussurrando come per non disturbare la concentrazione dell'erede di Kaosu, chinatasi ora su Hoshino a sfiorargli la fronte sudata con la punta delle dita.
    L’uomo fremette e si mosse, trascinando le mani per terra fino a serrarle contro i fianchi.
    Ricordando l’aggressione inaspettata con cui l’infermiera di Tôma si era scagliata contro Kayura, Shuten si mosse come a voler trarre la ragazza indietro, lontano da Hoshino, ma la presa ferrea con cui Rajura lo trattenne lo colse di sorpresa.
    «Shin deve seguire il suo destino, e anche lei» gli sussurrò il Demone dell’Illusione, stringendogli il braccio.
    Di malavoglia, Shuten rinunciò a intervenire. Rajura aveva ragione, e lui lo sapeva. Questo però non gli rendeva le cose più facili.
    Di nuovo si accorse dello sguardo di Anubisu, e anche Naza adesso lo stava osservando. D’un tratto, Shuten si chiese se i suoi compagni non avessero visto qualcosa che a lui ancora sfuggiva.
    Il movimento di Hoshino che finalmente si svegliava attirò la sua attenzione, così come quella degli altri tre. L’uomo si mosse, sbatté piano le palpebre e biascicò qualcosa con la bocca impastata. Infine, le sue pupille si dilatarono nel fissarsi su Kayura.
    «Kayura-sama» mormorò. Si trascinò sui gomiti, allontanandosi da lei poi si rigirò su se stesso e cadde carponi, la fronte sul pavimento.
    «Buon per lui che non l’ha chiamata strega» borbottò Naza, guardando con un misto di astio e disprezzo l’uomo prostrato.
    Kayura alzò una mano a chiedere che tutti facessero silenzio.
    L’uomo sollevò appena la testa, non osò guardarla ma girò gli occhi attorno. Guardò Nasti e il suo viso si fece terreo. Trasudava paura da ogni poro e la sua faccia era una maschera di terrore. Sobbalzò violentemente al ruggito sordo di Bayuken e arretrò strisciando sulle ginocchia, davanti alla tigre bianca che si avvicinava.
    «Farò tutto quello che volete, tutto! Il Maestro mi ha abbandonato, ora sono il tuo servo, Kayura-sama! Chiedimi tutto quello che vuoi» gemette, affondando il volto tra le mani giunte a terra, per sottrarsi al muso di Bayuken, che adesso gli mostrava i denti.
    Rajura sogghignò. «Bene, se tutti gli adepti di Uwan sono come questo, abbiamo già risolto il problema» disse incrociando le braccia sul petto.
    «Se fossero tutti come lui, Uwan non sarebbe diventato così potente da poter soggiogare Ryo e gli altri samurai» obiettò Shuten, osservando cupo la figura tremante, piegata davanti a Kayura.
    La ragazza si alzò in quel momento, nel tintinnio dorato del bastone di Kaosu. Hoshino non attese nemmeno che lei ponesse una sola domanda, per mettersi a parlare e riferire tutto ciò che sapeva senza neanche fermarsi a riprendere fiato.


    Cap. XXX
    L'attesa

    Avvinghiato dai filamenti di luce blu, Tôma aveva infine smesso di agitarsi e strattonare.
    Era tutto inutile, non aveva alcuna possibilità di riuscire a liberarsi. Poteva solo stare lì a galleggiare in aria, come se la forza di gravità si fosse dimenticata di lui e degli altri tre pentacoli luminosi appesi al nulla, sopra le teste incappucciate degli adepti di Uwan.
    Il Samurai del Cielo guardò le figure cantilenanti e desiderò con tutto se stesso che tacessero una buona volta, ma sapeva che il suo era un desiderio vano. Loro erano la fonte della potenza di Uwan e non avrebbero taciuto fino a che il loro padrone non avesse raggiunto il suo scopo.
    Gli occhi di Tôma si posarono sul quinto pentacolo che brillava a terra, circondato dall'anello centrale degli adepti, rosso come la fiamma dirompente e selvaggia della yoroi di Ryo. E il Samurai del Fuoco era lì, in piedi e guardava lui con gli occhi di Ryo che sembravano divenuti essi stessi carboni ardenti, al riverbero dell'energia vermiglia emanata dal pentacolo.
    «Tôma, amico mio. Vedo che infine riesci a comprendere» disse Uwan, nel corpo di Ryo.
    «Comprendo sin troppo bene che sei un vile! Non riuscirai a costringerci a evocare l'Armatura Bianca!» rispose Tôma, furente.
    Ryo sorrise e si accostò a Shû, che adesso indossava l'Armatura della Terra, immobile vicino a lui. Shin e Seiji, ai loro lati, rivolti verso il cerchio degli adepti in trance, non si mossero, né diedero segno di aver udito le parole di Tôma.
    «Tu credi, Tenku no Tôma? Ma così mi deludi. Io non vi costringo a niente, ciò che i tuoi compagni fanno, lo fanno per loro scelta, perché lo desiderano. Anche tu presto desidererai che Ryo torni a indossare la leggendaria armatura dell'Imperatore Splendente» affermò Uwan, e prese a osservare gli occhi privi di espressione di Shû, attraverso l'apertura della maschera del suo elmo.
    Tôma serrò i pugni e si mosse, come nel tentativo di protendersi verso Ryo, ma riuscì solo a trovarsi ancora più invischiato nella ragnatela di luce che lo imprigionava. «Tu vaneggi! Potrei desiderare di vedere Ryo con l'Armatura Bianca solo per distruggere te!» replicò.
    Ryo sollevò di nuovo la testa verso di lui e Tôma provò un brivido di pietà per il suo amico. Pallido, con il volto tirato e i capelli incrostati dal sangue rappreso, Ryo si muoveva come una marionetta rotta che fosse tenuta in piedi solo dai fili del suo burattinaio.
    Il Samurai del Fuoco ebbe un lieve tremito e Tôma colse un barlume di coscienza accendersi per un un brevissimo istante nei suoi occhi. Subito però disparve e Uwan parlò di nuovo attraverso il corpo in suo potere. «La compassione è la più forte delle vostre emozioni umane, Tôma» disse e vi era una nota di fastidio nella sua voce graffiante. «Voi la sottovalutate. Pensate sia una debolezza, eppure pietà e compassione sono le emozioni che minano nel profondo proprio quelle che ritenete più forti: l'odio; il rancore; il desiderio di vendetta.»
    «La compassione è la virtù nel nome della quale Kaosu forgiò la yoroi del Fuoco. Rekka no Ryo, torna in te!» gridò Tôma, ma il cantilenare degli adepti sembrò assorbire le sue parole che svanirono nella nenia tormentosa.
    Ryo rise, piegando indietro la testa. «Tentativo lodevole, Tôma» disse tornando a guardare il Samurai del Cielo. «Lodevole, ma inutile. Ormai sono diventato così forte da poter dominare completamente i tuoi amici. In quanto alle vostre preziose virtù, beh, quelle adesso posso tenerle sopite, sotto i cumuli di odio e rancore che ho trovato in quantità notevoli, in questi vostri cuori che credevate tanto puri.»
    Tôma girò lo sguardo sugli amici e le loro armature sporche e danneggiate in più punti. Quelle di Shin e Seiji apparivano messe peggio delle altre, con i loro squarci e le ammaccature profonde. La yoroi della Luce pareva aver attraversato l'inferno stesso. Quella di Ryo, priva dell'elmo e di una delle due spade sembrava aver perduto il suo splendore, tanti e tanto profondi erano gli sfregi che mostrava sulla superficie metallica, lasciati dalla catena rovente del generale dei demoni. Solo la yoroi di Shû era pressoché intatta, ad eccezione di alcune bruciature vistose.
    «Era per questo che ci tormentavi con i tuoi incubi» realizzò Tôma. «Per risvegliare la nostra paura e il rancore che provavamo verso Arago e i suoi demoni. Ti sei nutrito della nostra debolezza, fino a piegarci al tuo volere.»
    «Ci sei arrivato, solo permettimi di correggere un paio di punti: gli incubi non erano miei, ma solo vostri. Il rancore che provavate verso Arago può dirsi soddisfatto, visto che lo avete cacciato, ma lo steso non può dirsi della rabbia che vi è rimasta nel cuore per i suoi demoni, quei quattro traditori» sorrise Ryo, con un'espressione cattiva di soddisfazione. «Sarà il vostro odio verso di loro che vi farà desiderare che io li uccida tutti, con la meravigliosa Armatura Bianca.»
    Tôma scosse la testa, inorridito. «Non riuscirai a spingerci a tanto!»
    «Lo scopriremo presto, Tenku no Tôma» rispose Ryo. «Quanto presto adesso dipende solo da te» aggiunse con un gesto ironico delle mani.
    Il Samurai del Cielo lo guardò senza capire.
    Ryo ebbe un'espressione come delusa. «Dov’è finita tutta la tua intelligenza, samurai?» domandò in tono paziente. «Cercherò di spiegarmi. Se lo volessi, io adesso potrei prendere possesso anche di te, con o senza la tua Gemma, anche se, lo ammetto, la mancanza della sua energia renderebbe il mio controllo meno saldo. Ormai sono più forte delle vostre ferite, adesso non importa quanto soffriate. Voglio però lasciare a te di compiere la tua scelta: puoi richiamare la tua Gemma del Cielo, oppure attendere che Kayura e i suoi amici vengano qui a portarmela.»
    «Io non li trascinerò nella tua trappola» rispose Tôma.
    Ryo rise di nuovo, di una risata chioccia, come se il samurai avesse detto qualcosa di molto divertente e di molto sciocco.
    «Nobile samurai, sei un ingenuo» disse, mentre ancora sogghignava. «Loro verranno, puoi starne certo, sia che tu richiami la tua yoroi oppure no. Ma se adesso lo fai, quando arriveranno io avrò già l'Armatura Bianca e risparmieremo un po' di tempo a risolvere la situazione. Contrariamente, ci sarà di nuovo battaglia e, per quanto solo Rajura sia ancora in grado di combattere al pieno delle sue forze, credo che gli altri tre potrebbero infliggere ancora qualche sofferenza ai tuoi compagni. Davvero vuoi vederli soffrire? Che razza di amico sei?»
    «Kayura ti sconfiggerà, Uwan. Lei ha il sangue di Kaosu» replicò Tôma, ma parlò più per convincere se stesso che il demone nel corpo di Ryo.
    Il volto del Samurai del Fuoco si torse in una smorfia di rabbioso disprezzo. «Se è questo che speri, allora attendiamo pure. La prima cosa che farò con le mie Spade del Fervore, sarà tagliare la testa vuota di quella graziosa bambolina, e così vedremo quanto sangue di Kaosu le scorre davvero nelle vene.»

    Il cottage della famiglia Yaguy era immerso nella quiete del bosco. Poco lontano il lago mormorava, nella brezza fredda che sempre scendeva su di esso dai monti, sul fare del pomeriggio.
    Con gli occhi chiusi, Nasti ispirò il profumo familiare della sua casa e ascoltò i suoni che la circondavano, poi risollevò le palpebre e l'incanto svanì.
    Tutto attorno ritrovò la devastazione lasciata dagli adepti di Uwan. I vetri erano ancora sparsi a terra, e il vento faceva ondeggiare le tende della portafinestra distrutta, aperta sul loggiato che guardava il lago. Fogli di libri strappati e brandelli di carta volteggiavano e venivano trascinati qua e là, inseguiti da un Hoshino più servile che mai.
    Verde in volto, appena ripresosi dallo svenimento dopo essere stato teletrasportato lì da un disgustato Anubisu, l'uomo si era messo a riordinare ciò che poteva, comportandosi come un servo bastonato. Di quando in quando, lanciava occhiate lacrimose al Demone dell'Oscurità, quasi a chiedergli perdono, come fosse colpa sua se Anubisu aveva perso il sorteggio con cui i quattro demoni avevano designato il fortunato che lo avrebbe portato con sé.
    Nasti scosse la testa. Quella era stata un'altra delle uscite degli ex demoni di Arago che non si sarebbe mai immaginata, ma ormai era rassegnata ad aspettarsi qualsiasi cosa da loro. Non si sconvolse quando Naza, con la sua armatura addosso, andò in cucina e si mise a osservare le stoviglie e i vari ingredienti che lei teneva in casa, ora in buona parte sparpagliati e rovinati sul pavimento.
    «La tua cucina è un disastro» disse il Demone del Veleno, raddrizzando una bottiglia di salsa di soia, rimasta miracolosamente intatta sul piano di lavoro.
    Nasti decise di non rispondergli, ma si girò verso Kayura e la guardò mentre lei osservava con curiosità la casa e la sua architettura che dovevano apparirle così estranee.
    «Mi dispiace che tu debba vedere la mia casa in queste condizioni» disse Nasti, e davvero le sanguinava l'anima davanti agli sfregi che deturpavano il suo cottage.
    «La tua casa è molto bella» rispose Kayura e le sorrise.
    A Nasti fece un’impressione sgradevole vederla con i capelli raccolti e con indosso abiti troppo simili alla sua vecchia tenuta da battaglia. Non aveva l'armatura di allora, quella stregata da Arago che Shuten aveva distrutto nel liberarla, ma qualcosa di simile, che le fece torcere le viscere nel riportarle alla mente lo scontro micidiale tra la giovane guerriera in balia dell’Imperatore e il generale dei demoni, deciso a morire pur di farla tornare in sé.
    Nasti si morse le labbra e lottò contro il senso di nausea che l’aveva colta al quel ricordo. L'unica arma nelle mani di Kayura era il bastone tintinnante di Kaosu, ma Nasti non si sentì troppo consolata dal suo bagliore dorato.
    Il tonfo con cui Rajura raddrizzò il divano rovesciato fece voltare entrambe verso il salotto.
    «Detesto il disordine» disse il Demone dell'Illusione. Storse il naso quando Anubisu si lasciò cadere sui cuscini strappati del sofà, prendendone possesso.
    «Allora, adesso che questo verme di Hoshino ci ha detto dove dobbiamo andare, cosa stiamo aspettando a muoverci?» domandò il Demone dell'Oscurità. Stese la gamba ferita a poggiare il tallone sulla poltrona e gli speroni della sua armatura non migliorano lo stato della fodera squarciata.
    «Il mio dovere di medico mi costringe a protestare» disse Yatate, rientrando dal loggiato dove era andato a riprendere fiato, per scuotersi di dosso la nausea da teletrasporto, che Nasti ben poteva comprendere. «Non siete in condizioni di affrontare una battaglia, anzi. Non dovreste nemmeno andare in giro, e tantomeno infilarvi nei cunicoli infetti della vecchia metropolitana di Tokyo. Le vostre ferite...»
    «Grazie, dottore. Abbiamo capito» lo interruppe Shuten, appoggiato contro lo stipite rotto della portafinestra. In una mano reggeva la spada di Ryo e la guardava, pensieroso.
    Yatate si scostò da lui, gettando uno sguardo traverso, pieno di significato, alla sua armatura sfregiata e raggiunse Jun. «Questi uomini sono impossibili» bofonchiò.
    Jun annuì, carezzando il pelo di Bayuken che gli strofinò contro il muso.
    «Ci lascerete qui?» domandò il ragazzino, imbronciato.
    Kayura si avvicinò a lui. «Non possiamo portarvi con noi, significherebbe farvi correre un rischio inutile. Né potevamo lasciarvi nello Yoja-kai. Se non riusciremo a respingere Uwan, e lui dovesse sconfiggerci, restereste bloccati in un mondo che non vi appartiene, dove temo Uwan farà ben presto ritorno per prendere il posto di Arago» disse la ragazza.
    «Vuoi dire se lui vi ucciderà» rispose Jun, aggrottando la fronte.
    Kayura annuì. «Sei un ragazzo coraggioso, Jun, non ti mentirò: se non riusciremo a fermarlo, Uwan ci ucciderà tutti e cosa farà dopo, qualora entrasse in possesso dell'Armatura Bianca, possiamo immaginarlo. Avrete più possibilità di sopravvivere e forse trovare il modo di combatterlo e liberare i vostri amici, se resterete qui, nel vostro mondo.»
    Nasti sentì il sapore della bile salire in bocca, mentre la paura le serrava lo stomaco in una morsa di gelo. «Come pensi potremmo mai riuscirci, Kayura?»
    «Non lo so» ammise la ragazza, «ma finché voi vivrete, ci sarà ancora una speranza.»
    «Voglio venire con voi!» esclamò Jun serrando tra le mani l'elmo ammaccato di Ryo che aveva con sé. «Portami con te, Shuten. Ti ho seguito quando sei tornato nello Yoja-kai a combattere Arago, e sono stato io, con il Gioiello della Vita a liberare Ryo dai rottami della sua armatura. Ho il diritto di venire con voi!»
    «Sei solo un ragazzino, ci saresti d'impiccio» obiettò Naza, avvicinandosi fino a torreggiare su Jun.
    Jun gli rivolse uno sguardo fiammeggiante. Tornò a voltarsi verso Shuten e Nasti comprese che nessun altro avrebbe potuto convincere il ragazzo a restare lì, nemmeno lei.
    «Che mi vogliate con voi o no, io verrò lo stesso, a costo di seguirvi a piedi!» annunciò Jun, con assoluta determinazione girando lo sguardo sui quattro demoni e Kayura.
    Anubisu si raddrizzò sul divano e osservò il ragazzino con interesse. Anche Rajura lo guardò, squadrandolo come non aveva mai fatto prima. Naza portò le mani ai fianchi e rimase in attesa di vedere come la faccenda si sarebbe risolta.
    Nasti guardò Shuten, e anche Kayura si girò verso di lui quando infine il demone si mosse verso Jun.
    Con un movimento rigido che tradì le sue ferite, Shuten si chinò davanti al ragazzo. Si appoggiò su di un ginocchio e gli tese la spada di Ryo.
    Jun sbatté le palpebre, depose l’elmo di Ryo e prese la katana scintillante con entrambe le mani aperte, rivolte verso l’alto, a ricevere l’arma sui palmi come qualcosa di sacro che gli veniva affidato.
    «Se noi falliremo, dovrai essere tu a proteggere Nasti e il dottor Yatate» disse il generale dei demoni, e il suo ebbe tutta l'aria di un ordine.
    Il ragazzino lo guardò. I suoi occhi si riempirono di lacrime, ma Jun le trattenne con coraggio e non una rotolò sulle sue guance. Non protestò oltre, si piegò in un inchino come un giovane samurai davanti a un signore della guerra, e sfiorò la katana di Ryo con la fronte in un silenzioso giuramento di fedeltà a quanto gli era stato richiesto.
    Nasti tacque, ma strinse i pugni fino a affondare le unghie nella pelle, sentendo avvicinare il momento dell’addio. Quasi sussultò al rumore prodotto da Yatate che si soffiava il naso nel fazzoletto appena usato per ripulire le lenti degli occhiali, appannate forse di commozione.
    Kayura pose la mano sulla spalla del generale e si girò a chiamare gli altri a sé con lo sguardo. «Andiamo» disse.
    Anubisu si alzò dal divano e si accostò, zoppicando. Rajura lo seguì, si avvicinò a Shuten che si sorresse a lui per rialzarsi. Naza sogghignò e nel superare Jun, gli arruffò i capelli.
    Rivolto un ultimo saluto a Nasti, rimasta immobile, come impietrita, i quattro demoni e Kayura si avviarono quindi verso il loggiato, seguiti da Bayuken. Il rumore dei loro passi si confuse con il tintinnare dorato dello Shakuyo. Nell’uscire dalla sala, Anubisu allungò una mano ad acchiappare Hoshino, rimasto a pulire il pavimento, forse convinto che lo avrebbero lasciato lì e, prima che questi potesse emettere un solo suono, sparirono tutti, assieme alla tigre, nel bagliore delle loro sfere d'energia, nell'aria scossa dal vento.


    Cap. XXXI
    Cuore di samurai

    Dopo aver respirato il profumo di bosco e di lago che avvolgeva il cottage di Nasti, il brusco ritrovarsi immersa nell'odore di muffa e di sporcizia vecchia del tunnel abbandonato, in cui era venuta a materializzarsi, fu per Kayura un'esperienza decisamente sgradevole.
    Il tanfo le punse le narici, tanto da farla starnutire nella mano che aveva portato al volto, a difendersi dal cattivo odore, mentre la cantilena che ormai aveva imparato a conoscere echeggiava ovunque, in un suono basso e sinistro.
    Nella luce dorata irradiata dal suo Shakujo, Kayura vide Shuten, apparso accanto a lei con Bayuken, ritrarsi leggermente, in un gesto istintivo, al fetore improvviso. La tigre bianca, da parte sua, manifestò il proprio disagio arruffando il pelo e arricciando il grosso naso.
    Comparsi a qualche passo di distanza, Anubisu emise un grugnito disgustato e Naza torse il viso in una smorfia, ma Rajura fece addirittura un salto all'indietro, sul punto di smaterializzarsi di nuovo e andarsene da lì.
    «Che razza di fogna è questa?!» esclamò in tono quasi isterico, guardandosi attorno con ribrezzo. S'irrigidì tutto come una statua e il suo volto si fece di pietra, quando una goccia d'acqua lurida gli finì in testa, tra i capelli, piovuta dal soffitto ammuffito e stillante di umidità.
    «Cosa ti aspettavi, un prato fiorito?» lo schernì Anubisu. Con la punta di un piede sfiorò Hoshino, stramazzato al suolo e piegato in due dalla nausea. «Tu cerca di non peggiorare la situazione.»
    Hoshino sollevò la testa e ripulì la bocca con il dorso della mano. «Chiedo perdono, signor generale demone» farfugliò rialzandosi in piedi, il volto pallido come quello di un cadavere.
    Anubisu lo punzecchiò con uno degli artigli del suo guanto per allontanarlo. «Sei proprio patetico. Vattene!» ordinò in tono ruvido.
    Hoshino gli rivolse un'espressione incerta, poi girò gli occhi terrorizzati sugli altri demoni e infine su Kayura, quasi aspettasse da lei la conferma che davvero poteva andare via.
    Osservandolo, la ragazza pensò che fosse sul punto di perdere il senno dallo spavento e, nonostante tutto, ne ebbe pietà. «Coraggio, vai. Ti abbiamo portato con noi solo perché non ci fidavamo a lasciarti con Nasti e il ragazzo, sappiamo che saresti ancora pronto a fare loro del male» disse.
    Hoshino giunse le mani protendendosi verso di lei in atteggiamento supplice, come volesse professare la sua innocenza e respingere l'accusa che la ragazza gli aveva appena rivolto. Si ritrasse però con una mossa brusca, al biancheggiare delle zanne di Bayuken scoperte in un ringhio minaccioso.
    L'uomo cominciò a arretrare, trascinando i piedi sul cemento viscido e tenendo sempre gli occhi addosso ai demoni e alla tigre, quasi temesse che volessero assalirlo alle spalle nel momento in cui si fosse voltato. D'un tratto, giunto sul limite del cerchio luminoso irradiato dallo Shakujo, si fermò e alzò la testa, come avesse avvertito qualcosa.
    In quell'istante la cantilena cessò, ma fu solo un attimo, subito riprese più alta di prima, come se le voci adesso gridassero anziché cantare e l'onda di energia che invase il tunnel, assieme al suono divenuto un urlo, investì Kayura e i suoi compagni come una vampa di fuoco.
    Lo Shakujo reagì all'istante, irradiando il suo potere dorato a respingere l'assalto improvviso, e là dove prima era tenebra adesso ardeva una luce accecante che si scontrava e al contempo si confondeva con i bagliore bianco, scagliato dalla spada di Seiji, comparso dal nulla, e il fuoco scarlatto di Ryo, avvampato in un rogo che tutto sembrò inghiottire.
    Kayura chiuse gli occhi e si aggrappò al bastone per non venire travolta, mentre la terra le tremava sotto i piedi e ogni singola goccia d'acqua veniva strappata dalle pareti o sollevata dai rigagnoli a fondersi con quella risucchiata dai meandri dei vecchi condotti.
    Un'onda impossibile ricadde su Kayura in un vortice, ma solo per andare a infrangersi contro la barriera d'oro creata dello Shakujo a proteggerla.
    Senza bisogno di vederli, la ragazza sentì i demoni scattare attorno a lei e avvertì l'esplodere dell'energia delle loro yoroi contro quella dei samurai avventatisi all'attacco. Sapeva che sarebbe successo, Uwan era lì ad aspettarli, ma sapeva anche che quella battaglia doveva finire al più presto e l'unica che poteva porvi termine era lei.
    Riaprì gli occhi e alzò la testa in tempo per vedere Naza che impegnava Shin, mentre Anubisu incrociava la spada con quella di Seiji in un un groviglio di luce e ombra che si inghiottivano e respingevano a vicenda. Rajura aveva intrappolato Shû nella tela intessuta dalle sue lame, ma il samurai già spezzava i primi filamenti e non avrebbe tardato a liberarsi. Infine Kayura vide Shuten affrontare la katana infuocata di Ryo con la sua lama e resistere a stento all'affondo del samurai, mentre questi gli rideva in faccia, come se già pregustasse la vittoria.
    Al contrario dei suoi compagni Shuten non aveva indossato l’elmo. Lui e Ryo erano gli unici a combattere privi di protezione alla testa e, in mezzo alle esplosioni di energia e la tempesta di schegge scagliate ovunque, Kayura desiderò veramente che, almeno per una volta, il generale demoni la finisse con la sua ostinata determinazione a non voler più nascondere il volto dietro la maschera vermiglia della sua armatura.
    «Uwan!» gridò.
    Ryo si girò verso di lei e i suoi occhi ardevano come tizzoni nel volto pallido e febbricitante. «Kayura» rispose con voce roca, appena velata da un'ombra di sorpresa, come se il demone che lo controllava non si aspettasse di sentirsi chiamare per nome. Subito però cambiò espressione, respinse Shuten, disimpegnandosi da lui con una mossa brusca, e si scagliò contro la ragazza.
    Kayura alzò il bastone per difendersi, ma il Samurai del Fuoco non la raggiunse: la catena del generale dei demoni lo avvolse in una spira di lampi scarlatti e lo schiantò a terra, dove Ryo si contorse urlando di rabbia e di dolore, mentre ancora tendeva la mano libera verso la giovane, come a volerla artigliare.
    Avvolta dalle fiamme e dalle esplosioni della battaglia che imperversava attorno a lei, tra i muri che crollavano e la pioggia di calcinacci che le impolverava i capelli e le spalle, Kayura alzò il viso su Shuten quando questi, con uno strattone alla catena trascinò Ryo verso di sé, lontano da lei.
    Kayura rimase a guardarlo, mentre costringeva Ryo a affrontarlo di nuovo. Sentì che il samurai gli diceva qualcosa, qualcosa di feroce, mentre, mandata in pezzi la catena che lo imprigionava, si scagliava contro il demone con una violenza quale Kayura non aveva mai visto in tutta la sua strana vita troppo a lungo distorta. Un impulso che le veniva dal cuore la spinse a correre in aiuto del demone in difficoltà, ma quando egli la guardò, capì che non era quello che Shuten voleva da lei. Non era quello ciò che doveva fare, e lei lo sapeva.
    Arretrò d'un balzo, mentre il pavimento le si spaccava davanti, all'urto dell'arma di Shû che mancava Rajura e finiva contro il suolo, aprendo un lungo crepaccio che rivelò una sorta di stretto fiume vorticoso d'acqua putrida scorrere sotto ciò che restava della vecchia metropolitana abbandonata.
    Kayura sentì l'urlo di Hoshino che precipitava nel vuoto e il tonfo del suo corpo, quando finì inghiottito da quella specie di torrente sotterraneo, ma non si girò a guardare. Quando infine si costrinse a voltare le spalle a Shuten e Ryo, fu per mettersi a correre nella direzione da cui sentiva provenire il canto assordante degli adepti di Uwan, e dove la Gemma del Cielo adesso la guidava, palpitandole in seno come una stella.
    Dopo alcuni istanti Kayura si accorse di Bayuken che galoppava al suo fianco, e che dietro di loro qualcuno, forse Shin, cercava di fermarli senza riuscirci, ostacolato da uno dei demoni. Naza, indovinò la ragazza, nell'udire il crepitio emesso dall'energia delle sue spade.
    Uwan non aveva scelto a caso contro chi dirigere i samurai sotto il suo controllo, si disse. Era il rancore che spingeva i giovani contro quelli che erano stati i loro avversari. Avversari che avevano dato loro fin troppi motivi per farsi odiare, di un odio difficile da dimenticare, soprattutto da parte di chi non si era nemmeno reso conto di covarlo nel cuore.
    Ora però molte cose erano cambiate e altri sentimenti avevano preso forma nell'animo dei samurai. Kayura lo sentiva, e sarebbe stato per quei sentimenti che Uwan avrebbe perso.
    Kayura corse ancora più forte, tanto che le pareva di non toccare nemmeno il suolo con i piedi, mentre i muri scrostati le scorrevano ai lati in una macchia confusa. Aveva ancora tutta l'agilità di un tempo e se aveva indossato quella strana tenuta, così simile a quella impostole da Arago, e che lei odiava con tutta se stessa, era solo perché in quel modo sarebbe stata più veloce e più libera di muoversi.
    Quando infine irruppe in quella che doveva essere stata la piattaforma di una vecchia stazione, ora colma degli adepti di Uwan, saltare sopra le teste incappucciate di quella gente e atterrare in mezzo al loro cerchio ondeggiante fu per lei facile come muovere un passo di danza.
    Gli adepti sembrarono non accorgersi della sua presenza e neanche di quella della tigre bianca, che pure attraversò ruggendo in ampi balzi le loro file, mandando più d'uno a gambe all'aria, senza però che nemmeno questo spezzasse la trance in cui erano sprofondati e interrompesse il cantilenare delle loro voci.
    Kayura sollevò lo Shakujo, alto sopra la testa, ma il suo bagliore non attirò un solo sguardo, né il tintinnio dorato dei suoi anelli parve avere effetto su alcuna delle coscienze di quelle persone. La ragazza si morse le labbra. Non c'era nessuno lì da risvegliare, nessuno a cui far aprire gli occhi: ciò che quella gente stava facendo, lo faceva perché lo voleva.
    «Kayura!»
    La voce di Tomâ che la chiamava le fece alzare il capo. Vedere il Samurai del Cielo imprigionato al pentacolo luminoso e balzare da lui, in un unico agile movimento, fu tutt'uno. Kayura afferrò Tomâ, mentre con l'estremità dorata del bastone colpiva i filamenti del pentacolo che lo avvinghiavano. Questi brillarono più intensi, poi si spezzarono e svanirono in uno sfavillio agonizzante liberando il samurai che cadde giù, assieme alla ragazza.
    La tigre bianca si lanciò verso di loro e fu rapida intercettarli al volo, accogliendo entrambi sulla sua groppa possente ad attutire la loro caduta.
    Quando scivolarono a terra dalla schiena di Bayuken, Kayura sentì Tomâ irrigidirsi e gemere di dolore, ma il samurai le sorrise, nonostante avesse il volto teso e sofferente.
    «Dovrei dirti che non sareste dovuti venire, ma non posso fare a meno di essere felice di rivederti» disse Tomâ, sorreggendosi a lei.
    «Non potevamo non venire, e sono felice anch'io di rivedere te» rispose Kayura. Portò la mano al petto e dalle pieghe del suo abito estrasse la Sfera del Cielo. «Questa appartiene a te» disse tendendo la gemma al samurai.
    Tomâ cambiò espressione e si ritrasse scuotendo la testa. «No! No, è quello che Uwan vuole! Perché l'hai portata? Ora s'impossesserà anche di me e ci costringerà a evocare l'Armatura Bianca» gridò sgomento.
    «Non ci riuscirà. Tu puoi resistergli e il suo potere sui tuoi compagni non è più forte come prima, credimi» replicò Kayura. Liberò la Gemma che dalle sue dita volò dritta da Tomâ, nello stesso modo in cui la Sfera dell'Acqua era tornata a Shin.
    Il Samurai del Cielo non cercò di respingerla. Lasciò che la Gemma tornasse al suo cuore, ma Kayura vide il suo volto già pallido farsi di cera e poi un sudore mortale gli velò la fronte, mentre lo sguardo di Tomâ d'un tratto parve allontanarsi e sprofondare.
    «Guardami, Tomâ!» invocò Kayura e lasciato cadere lo Shakujo prese il viso del samurai tra entrambe le mani, costringendolo a restare su di lei. «Guardami! Guarda me. Resisti, Tomâ!»
    Il samurai le afferrò i polsi e serrò le dita tanto da farle male, ma lei continuò a trattenergli il viso e guardò attraverso i suoi occhi la coscienza di Tomâ lottare contro la volontà aliena, che cercava di impossessarsi di lui.
    «Resisti, Tomâ. Resisti» implorò Kayura.
    Il samurai inarcò improvvisamente il busto e la trascinò in avanti, fino quasi a portarla contro il proprio petto. Bayuken emise un ruggito lamentoso e si pose alle spalle di Tomâ, per impedirgli di rovinare all'indietro, portando Kayura con sé.
    «Tomâ!» chiamò ancora la ragazza. Le sue mani erano ormai livide, nella stretta del samurai che le fermava il sangue ai polsi, e lei sentiva che non avrebbe potuto trattenerlo ancora a lungo, pure non voleva lasciarlo andare.
    «Kayura... aiutami» rantolò Tomâ, mentre i suoi occhi fissi in quelli della ragazza si riempivano di lacrime, che d’un tratto parvero gocce d'oro al riflesso della luce improvvisa di cui si accese il bastone di Kaosu.
    A quel bagliore, Kayura sentì Tomâ allentare le dita strette sulla sua carne; lo vide sbattere le ciglia e guardarla con intensità disperata. Fu allora che lei comprese ciò che doveva fare. Mosse la mano destra, lasciandola scivolare sul viso del samurai, dalla guancia alla tempia e la portò alla sua fronte, dove piegò le dita a disegnare un simbolo mistico che nemmeno lei sapeva di conoscere.
    «Chi» pronunciò con voce chiara e ferma. Saggezza: era quella la virtù che ardeva nella Gemma del Cielo e l'antico ideogramma apparve simile a un aureo disegno evanescente sulla pelle sudata di Tomâ, in mezzo agli occhi ora spalancati e luminosi di coscienza, là dove le dita di Kayura la sfioravano.
    «Tomâ» mormorò la ragazza.
    Il samurai le lasciò liberi i polsi e si raddrizzò seduto. «Kayura» rispose piano e la sua voce era limpida, così come i suoi occhi.
    La ragazza portò la mano alla bocca a soffocare un singhiozzo. «Ci sei riuscito... sei libero» mormorò.
    «Grazie a te» rispose Tomâ e sorrise, mentre lacrime di sollievo gli solcavano il volto.


    Cap. XXXII
    L'ultimo canto

    Tomâ terse le lacrime dalle guance e asciugò il naso con il dorso della mano. Tirò il fiato, riprendendo a respirare con regolarità dopo che la tensione gli aveva quasi paralizzato i polmoni.
    «Questi erano per ognuno di noi» disse fremendo, mentre indicava a Kayura gli altri tre pentacoli vuoti, appesi al soffitto e poi quello rosso, vicino a loro, che giaceva inerte galleggiando luminoso sul pavimento.
    Kayura aggrottò la fronte, prese lo Shakujo e lo ruotò contro i filamenti di fiamma, spezzandoli come già aveva fatto con quelli che imprigionavano il Samurai del Cielo. Il pentacolo rosso vibrò e si dissolse in un'ultima vampa, che illuminò i volti incappucciati degli adepti più vicini. Di nuovo nessuno diede segno di essersi accorto di qualcosa.
    Tomâ alzò la testa a guardare i pentacoli rimanenti e liberò un sospiro di sollievo nel vederli sparire uno ad uno, come non fossero mai esistiti. Nel buio che seguì lo spegnersi dei filamenti iridescenti, il bastone di Kaosu rimase l'unica fonte di luce: un bagliore dorato che risplendeva fermo e caldo, come un piccolo sole in miniatura.
    Il samurai portò una mano al petto e strinse le dita sulla felpa di Ryo che aveva indosso e sentì rinascere la speranza. Bayuken gli strofinò il muso contro il braccio. Lui sorrise, carezzandole la pelliccia imbrattata e umida, ruvida di calcinacci.
    «Shû si sbagliava su di te, ne ero certo» disse girandosi verso Kayura che si era alzata e ora sembrava intenta a osservare i fedeli di Uwan, incuranti di ogni cosa, persino delle esplosioni della battaglia in corso poco distante e delle vibrazioni violente che scuotevano la terra e i muri fino al soffitto.
    «Immagino cosa deve averti detto» rispose la ragazza. Si volse e lo guardò con un'ombra negli occhi. «No, non si sbagliava: ti ha detto la verità. Non sono stata capace di aiutare né lui né Ryo, e nemmeno Shin, quando ne ho avuto l'occasione, e ho lasciato che lo Yoja-kai venisse quasi distrutto.»
    Sorreggendosi a Bayuken, Tomâ si tirò su a fatica. «Ma hai salvato me e ora assieme fermeremo tutto questo» disse e le afferrò una mano a stringerla per farle coraggio.
    Kayura ricambiò la sua stretta e gli rivolse un sorriso tirato.
    Tomâ sentì una sensazione strana attraversargli il cuore davanti al viso pallido della ragazza, così diverso da come lo ricordava, privo com'era dell'espressione crudele di un tempo. Espressione che sin dal primo istante al samurai era parsa solo una maschera. La Kayura che aveva adesso davanti gli sembrava persino più giovane e il suo volto, determinato ma dolce, era così bello che lui faticava a distoglierne lo sguardo.
    Kayura d'un tratto sembrò a disagio, come avesse intuito i suoi pensieri. Si voltò e annuì. «Sì, ora fermeremo tutto questo» disse piano. Come sorpresa guardò il bastone di Kaosu e la sua stessa mano chiusa su di esso. «Adesso so cosa devo fare, ma è strano: è come se d'un tratto ricordassi cose di cui non credevo di essere a conoscenza.»
    Tomâ non fece in tempo a risponderle. Prima che potesse parlare, lei volse gli occhi alla bocca del tunnel da cui era arrivata assieme e Bayuken e si protese verso di esso, come sul punto di tornare indietro di corsa, quasi avesse avvertito qualcosa che la richiamava là dentro.
    Tomâ seguì la direzione del suo sguardo e vide alla luce dei lampi violenti che illuminavano il tunnel, rombante dei suoni della battaglia, grosse crepe aprirsi minacciose nelle pareti di cemento. Qualcosa dentro di lui gli suggerì però che non era di quelle crepe che Kayura si stava preoccupando.
    «Se non fermiamo lo scontro tra i miei amici e i demoni, qui finirà col crollarci tutto addosso» disse comunque, senza porre domande.
    «Dobbiamo far tacere questa gente, spezzare la loro catena» rispose Kayura accennando con lo Shakujo alle persone tutto attorno, che ancora cantavano e si dondolavano imperterrite. I suoi occhi però rimasero sul tunnel come vedessero ciò che accadeva al di là della coltre di polvere e detriti, che ormai lo velava in un tendaggio di morte.
    «Sì, lo so: sono loro la fonte della forza di Uwan» affermò Tomâ. «Ma come faremo a farli smettere? Non reagiscono al tuo bastone e sembra che niente possa turbare la loro trance. Io...» s'interruppe allo schianto improvviso che scosse con violenza immane ogni cosa attorno, in una pioggia di pezzi d'intonaco e calcinacci.
    Il samurai finì dolorosamente a terra, mentre Kayura scivolava davanti a lui, come se le fosse mancato il terreno sotto i piedi. Anche la tigre bianca slittò e ruggì nell'artigliare in uno stridio raccapricciante il pavimento viscido.
    Tomâ riconobbe il potere della Yoroi della Terra, ma non si rese subito conto di cosa fosse accaduto: vide un'ala della folla degli adepti scuotersi e ondeggiare per poi svanire, come inghiottita dal nulla. Subito dopo, un getto d'acqua emerse nel punto in cui la gente era sparita e invase la piattaforma da dove essa era sprofondata nel terreno. Allo stesso tempo, il soffitto si piegò, come sotto un colpo di maglio, e una valanga di detriti e pezzi di ferro arrugginito cadde sulle teste delle persone assiepate sotto.
    Un fiotto di luce penetrò attraverso la profonda crepa apertasi in fondo alla piattaforma sotterranea a rivelare uno squarcio verso il cielo aperto, tra barre di ferro contorte che emergevano dal suolo come dita rattrappite.
    «Sta per crollare tutto!» gridò Tomâ. Trattenne Kayura dallo scivolare, allo stesso tempo, con la mano libera si aggrappò alla tigre riuscita a artigliare una spaccatura per terra e assicurarsi a essa.
    Kayura si trascinò accanto a lui, mentre l'acqua risaliva sempre di più sul pavimento inclinato e già bagnava i piedi di entrambi. Un grosso blocco di cemento si staccò in quel momento da un lato del tunnel e precipitò sulle persone riunite nell'anello più esterno.
    Fu solo allora che gli adepti smisero di cantare.
    Con raccapriccio, Tomâ vide i seguaci di Uwan scuotersi in un unico brivido e alzare infine la testa, mentre le loro mani si lasciavano e rompevano la catena che li aveva tenuti uniti nella trance. Qualcuno vide i cadaveri sotto le macerie, cominciò a urlare e di colpo fu un caos di persone che cercavano di fuggire su per scale di metallo contorte affisse alle pareti, ma che ormai non portavano più in nessun luogo. Altre, del gruppo riunito alle spalle di Tomâ, presero a spintonarsi nell'apertura opposta dello stesso tunnel. Chi si trovava dal lato del crollo s'inoltrava invece nell'altra bocca del condotto mezzo diroccato ma poi tornava indietro e veniva respinta da quelli che spingevano per entrare.
    Nella calca molti caddero e sparirono nel vorticare dell'acqua nera, dilagante ormai ovunque. Qualcuno si arrampicò sopra ai corpi degli altri, tendendo le mani verso il brandello di cielo visibile attraverso la spaccatura nel soffitto. Tutti invocavano il loro Maestro, chiamandolo a gran voce, ma a rispondere erano solo le grida di panico e il rotolare di altri crolli, lontani nel buio delle diramazioni della vecchia ferrovia sotterranea.
    «Non combattono più!» realizzò d'un tratto Tomâ. Aggrappato a Bayuken era riuscito a raggiungere una parete laterale assieme a Kayura, evitando così di venire travolti dalla calca. «Si sono fermati!» aggiunse guardando verso il tunnel ora buio ed echeggiante solo delle urla della gente in fuga.
    «No, non ancora» rispose Kayura e una nuova esplosione seguì le sue parole illuminando il tunnel di un vampa infuocata.
    «Andiamocene da qui. Raggiungiamo gli altri e facciamola finita!» esortò Tomâ. Si alzò con uno sforzo doloroso e chiamò a sé la protezione della protoarmatura. Essa subito lo rivestì, in uno sfavillio silenzioso che per un istante gareggiò con la luce dorata dello Shakujo.
    «Salvaci, Angelo del Cielo!»
    Sorpreso, Tomâ si girò alla voce che risuonò alle sue spalle. Alcuni adepti di Uwan avevano interrotto la loro fuga e ora lo guardavano, fissando la sua protoarmatura bianca e blu con occhi avidi di soccorso. Ben presto però gli sguardi spaventati si spostarono su Kayura accanto a lui e si accesero di una luce malevola.
    «Quella è la Strega» mormorarono alcuni.
    «Sì, è la Strega. Ha portato qui i suoi Demoni del Male!» ringhiarono altri.
    «Perché l'Angelo è con lei?» domandarono altre voci, sospettose e cattive.
    Tomâ si accostò a Kayura, spalle contro spalle, pronto a difendersi. Bayuken girava loro intorno, ringhiando verso quella gente che cominciava a farsi sempre più vicina e minacciosa.
    «Andatevene, se non volete morire. Qui sta crollando tutto!» intimò il samurai e indicò il soffitto, su cui correvano sempre nuove crepe a far piovere sulle teste sottostanti polvere e detriti.
    «Ti sei venduto alla Strega, traditore!» strillò d'un tratto una donna, indicandolo con il dito proteso. «Non sei più un angelo, sei diventato uno dei suoi Demoni!»
    Tomâ inghiottì l'imprecazione che gli era salita alle labbra. Ci mancava solo questa, si disse. Lui, un demone!
    «Non prendertela, Tomâ. Date le circostanze, consideralo un complimento» disse Kayura e a Tomâ parve di cogliere una nota ironica nella sua voce tesa.
    «Perdonami, ma mi riesce difficile» rispose, girandosi a guardarla da sopra la spalla. Fu in quel momento che Kayura s'irrigidì e si tese in avanti, come avesse visto qualcosa in mezzo alla folla diguazzante nell'acqua, sotto lo squarcio aperto sull'esterno.
    Sempre tenendo d'occhio i fanatici di Uwan che lo fissavano minacciosi, ma senza il coraggio di avvicinarsi, Tomâ seguì la direzione dello sguardo della ragazza. Gli parve di vedere un uomo emergere in mezzo alle gambe della gente che si agitava, indecisa su dove scappare e che a tratti scivolava nell'acqua per rialzarsi gemendo.
    Il samurai aguzzò la vista: sì, era un uomo. Magro e allampanato, con i vestiti fradici e gli occhi così dilatati dalla paura da apparire come due globi bianchi nel volto scavato. Mentre veniva spintonato da ogni lato, tossiva e sputava come fosse stato sul punto di annegare. Pareva l'acqua lo avesse trascinato si lì da chissà dove, poiché non indossava la tunica degli altri adepti, e aveva qualcosa stretto in una mano. Qualcosa che luccicava al fiotto polveroso della luce del giorno discendente nel sottosuolo dallo squarcio sopra di lui.
    Tomâ non riuscì a capire cosa fosse, ma Kayura dovette indovinarlo e doveva essere qualcosa di molto importante, perché la ragazza volò letteralmente via, in un balzo da gazzella, e si gettò in mezzo alla folla. Allontanò roteando il bastone le persone che attorniavano l'uomo fradicio e gli fu addosso. Questi gridò e tese le mani per tenerla a distanza, ma lei, rapida, gli strappò dalle dita l'oggetto luccicante e saltò di nuovo, in alto, stavolta all'indietro.
    Tomâ la vide compiere un'abile capriola a mezz'aria e di nuovo Kayura fu accanto a lui. Il samurai inghiottì a vuoto e pensò che davvero Shû si era sbagliato, checché dicesse Kayura stessa. Di certo lei non era più la terribile combattente di Arago, e di ciò il samurai ringraziò le stelle, ma non pareva aver perso niente dell'agilità e della determinazione di allora.
    «Andiamocene. Usa la tua Sfera, raggiungiamo gli altri. Ora!» ordinò Kayura e prese Tomâ per mano.
    Il samurai non se lo fece ripetere, agguantò Bayuken per un ciuffo di peli e richiamò la sua energia. Nell'istante prima di svanire, riconobbe stretto tra le dita di Kayura chiuse sull'asta dello Shakujo il Gioiello della Vita.


    Tomâ e Kayura si materializzarono con Bayuken nel tunnel squassato e invaso di detriti, in un tremolio luminoso della sfera di energia della yoroi del Cielo.
    Shuten non fu sorpreso della loro comparsa, li aspettava anzi già dal momento in cui aveva visto Ryo fermarsi, anche se solo per pochi istanti, così come gli altri tre samurai, impegnati contro i rispettivi avversari demoni. Era stata una tregua breve, ma dopo di essa Shin, Seiji e Shû avevano ripreso a combattere con minor violenza e, sempre più spesso, esitavano o addirittura si tiravano indietro. I tre giovani sembravano dibattersi in una lotta interiore contro la volontà aliena che, con sempre maggiore difficoltà, cercava ancora di controllarli.
    Il solo su cui la presa di Uwan sembrava immutata era Ryo, con l'unica differenza che adesso il samurai respirava a fatica, mentre serrava la mascella come a imporsi uno sforzo che diventava sempre più grave.
    Shuten evitò l'ennesimo affondo di Ryo e arretrò, allontanandosi da lui. Se il Samurai del Fuoco era in difficoltà, lui non era messo meglio, fu costretto ad ammettere a se stesso. Le ferite gli facevano male e irrigidivano i suoi movimenti. Shuten sentiva le forze venire meno, pure non aveva alcuna intenzione di cedere. Avrebbe resistito, fintanto che fosse stato necessario, decise e ricambiò con fermezza lo sguardo preoccupato di Kayura, a volerla rassicurare.
    Lei però non parve troppo convinta, tanto che esitò a distogliere gli occhi dai suoi, ma infine si costrinse a concentrarsi su Ryo e fu con un gesto deciso che sollevò il bastone magico a illuminare l'ambiente distrutto della luce d'oro dello Shakujo.
    «Fermati Uwan, è finita!» gridò.
    Ryo si volse appena verso di lei e emise un suono strano, inumano, a metà tra un lamento e un ringhio. Portò un braccio a proteggere gli occhi dalla luminosità che irradiava dal bastone e strinse le palpebre, a fissare stupito il Gioiello della Vita tra le dita della ragazza.
    Shuten gettò uno sguardo a Shû, rammentando che aveva l'amuleto al collo quando Ryo lo aveva portato via dallo Yoja-kai. In qualche modo doveva averlo perso, o gli era stato sottratto, e Uwan non pareva aspettarsi di rivederlo ricomparire. Comunque fosse, adesso il Samurai della Terra non pareva curarsi dell'antico monile: era come paralizzato in una strana posa davanti a Rajura, verso cui sembrava tendersi per colpire ma al contempo trattenersi dal farlo.
    «Amici, reagite! Tornate in voi, Uwan non può più controllarvi» esclamò Tomâ e Bayuken ruggì forte, come a unirsi alla sua invocazione.
    «È il rancore che avete nel cuore a permettere a Uwan di manovrare le vostre volontà» intervenne Kayura, «dimenticate l'odio e ricordate chi siete, Samurai!»
    Seiji tremò vistosamente a quelle parole. Alzò una mano alla maschera chiusa del suo elmo e serrò le dita sul metallo. Anche Shin si scosse, si girò verso Kayura e mosse un braccio come sul punto di protenderlo verso di lei. Da sotto l’elmo di Shû provenne un suono strano che altro non era se non lo stridere dei suoi denti serrati.
    «Abbassate le armi!» ordinò Shuten ai suoi compagni. Lui per primo si fece ancora indietro, davanti a Ryo, tenendo giù la sua lama e lasciando scivolare inerte la catena.
    Ryo gli rivolse uno sguardo di fuoco e gli protese contro un pugno minaccioso, ma Shin, Seiji e Shû rimasero dov'erano mentre Naza, Anubisu e Rajura arretravano obbedendo al comando del Generale dei Demoni.
    Seiji fu il primo a reagire. Gettò un grido e spalancò le braccia, quasi a spezzare finalmente una catena invisibile che lo tenesse legato. Scagliò quindi via la sua spada che rimbalzò contro il muro lesionato e finì in una pozzanghera di fango. Come se il venire meno del controllo di Uwan su di lui lo avesse privato della forza che lo teneva in piedi, il Samurai della Luce crollò a terra in ginocchio, nel clangore metallico della sua armatura terribilmente danneggiata. Rimase così, a testa china con gli occhi chiusi, davanti a Anubisu che lo studiava attento, evidentemente non del tutto convinto di potersi fidare.
    «Seiji!» chiamò Tomâ e cercò di raggiungerlo, trascinando la gamba rigida che gli impediva di correre. Percorsi pochi passi sarebbe caduto, ma quando fu vicino a Shû questi d'un tratto si mosse e lo afferrò per sorreggerlo, lasciando andare la sua arma sul cemento bagnato. Tomâ si aggrappò al suo braccio e lo guardò sfilare l'elmo. Pallidissimo ma padrone di sé, il Samurai della Terra gli rivolse un sorriso teso.
    Al movimento di Rajura che riponeva le sue lame, Shû gli indirizzò un ghigno ironico che il demone non tardò a ricambiare.
    «Sei venuto anche tu?» domandò Shû rauco, mentre grosse lacrime gli rotolavano giù per le guance.
    «Mio malgrado» rispose Rajura e fece una faccia infastidita.
    Con le mani che gli tremavano, Shin mise a terra la lancia e sfilò l'elmo. I suoi occhi limpidi si posarono sugli amici, poi, quasi titubanti, su Naza.
    «Perdonami» mormorò il Samurai dell'Acqua.
    «Va' al diavolo» rispose il Demone del Veleno, ma rinfoderò le spade e si affrettò a sorreggere il ragazzo, quando questi vacillò sulle gambe sul punto di cadere come Seiji prima di lui.
    «I tuoi seguaci non possono più aiutarti, Uwan» disse Kayura e mosse una cenno verso l'apertura semicrollata alle sue spalle, da cui provenivano ormai solo gemiti di dolore e grida sempre più lontane, tra il rovinare di altri crolli e il gorgogliare incessante dell'acqua.
    «Questo lo dici tu» rispose Ryo, rigido e come rannicchiato su se stesso. Girò lo sguardo acceso di una luce folle da lei agli altri samurai e ai demoni, per fermarsi infine su Shuten.
    Nell’incontrare gli occhi febbricitanti del samurai, Shuten capì cosa Uwan stava per fare e si mosse senza riflettere. Scattò avanti, per impedire al Samurai del Fuoco di richiamare la sua Sfera e scomparire con essa, in un luogo dove Uwan potesse ricominciare e trovare altri adepti per rinnovare le sue forze. Fu veloce, ma Ryo non si lasciò sorprendere. Mulinò la sua katana e Shuten si abbassò appena in tempo. Sentì sibilare la lama sopra la testa. Affilata come un rasoio, la spada gli tranciò una ciocca di capelli, ma prima ancora che il samurai ritirasse il braccio teso, il demone lo afferrò alla spalla, mentre con l’altra mano gli serrava il polso e lo torceva fino a costringere Ryo a lasciar cadere la spada.
    Le due armature sfrigolarono di energia nel venire a contatto, poi d’improvviso, Kayura fu su entrambi e, incurante dei lampi scarlatti che le bruciavano i vestiti e la pelle, infilò con una mano il Gioiello della Vita al collo del Samurai del Fuoco, mentre frapponeva lo Shakujo tra lui e il demone, a separarli.
    Shuten si scostò, ma qualcosa nel viso della ragazza lo spinse a tornare avanti, mentre il volto di Ryo assumeva un’espressione indescrivibile, gli occhi e la bocca spalancati mentre il torace chiuso nell'armatura rossa si gonfiava nell’ispirare con uno sforzo violento.
    Troppo tardi, Shuten si accorse delle dita di Kayura che si posavano sul suo petto a disegnare un simbolo che lui non seppe interpretare. L’attimo dopo si sentì respingere all’indietro da una forza quale aveva conosciuto solo in Kaosu, mentre dalla gola di Ryo prorompeva un grido assordante, più simile all’ululato di una tempesta d’inverno che a una voce umana.
    Tutti, demoni e samurai, si mossero verso di lui e Ryo che si afflosciava al suolo come un sacco vuoto, ma Shuten rimase immobile mentre Kayura gli rivolgeva un ultimo, intenso sguardo, e poi svaniva nel nulla, portando con sé il suono assordante che altro non era che Uwan stesso.
    Shuten sentì ogni singolo nervo vibrare in una dolorosa scossa elettrica, al tonfo tintinnante dello Shakujo che cadeva per terra.
    «Dove è finita?!» gridò Anubisu.
    «Ha portato via Uwan con sé» rispose Tomâ sgomento, mentre con Shû si piegava su Ryo, privo di conoscenza.
    «Ha lasciato cadere lo Shakujo» osservò Rajura, corrugando le ciglia. «Come farà a tornare? O come faremo noi a trovarla?»
    «L'abbiamo perduta» mormorò Shin con voce rotta e tutti si girarono verso di lui. Nei volti di ciascuno era espresso lo stesso pensiero del giovane samurai.
    Tutti tranne Shuten. Il demone fissò lo Shakujo e gli parve che la sua luce adesso flebile palpitasse allo stesso ritmo del suo cuore. In quel momento non sentì e non vide più niente, né le parole dei suoi compagni, né i volti smarriti dei samurai e gli occhi di Ryo che lentamente si riaprivano. Shuten non sentì né vide niente altro che il battito del suo stesso cuore e la luce del bastone di Kaosu.
    Senza una sola parola, afferrò lo Shakujo e lo stinse a sé, mentre si lasciava avvolgere dal bagliore accecante emesso ora dal bastone magico. Shuten si lasciò smaterializzare dal suo potere, senza sapere dove esso lo avrebbe portato, se non che ovunque fosse, era lì che avrebbe ritrovato Kayura.


    Cap. XXXIII
    Al di là del tempo e dello spazio

    Uwan era una voce che gridava senza posa. Il demone non aveva bisogno di riprendere fiato, era esso stesso fatto di solo suono. Un suono che non poteva essere paragonato a niente, se non all'urlo incessante di un vento di tempesta incanalato in strette gole di montagne.
    Uwan poteva anche sussurrare o vibrare piano, come un lieve ruscellare d'acqua o il frinire di un grillo. L'unica cosa che non poteva fare era tacere, poiché il silenzio sarebbe stata la sua stessa fine. Per questo continuava a urlare, prigioniero della gabbia di energia generata dal potere che l'ultimo membro del clan di Kaosu aveva ereditato dai suoi avi, e che ora stava trascinando entrambi attraverso le infinite dimensioni del tempo e dello spazio.
    Rannicchiata su se stessa, come un feto nel grembo della madre, Kayura sentiva Uwan gridare ora rabbioso, ora implorante. Lo sentiva, ma non lo ascoltava. Non era più certa nemmeno di essere viva, di avere ancora un corpo anziché essere divenuta essa stessa pura energia. Forse era morta nel momento in cui aveva deciso di portare via Uwan dal mondo degli uomini, smaterializzandosi e catturando il demone con quel potere che non sapeva di avere. Ora anche lei era solo uno spirito che vagava tra le dimensioni di molti mondi.
    Teneva gli occhi chiusi, o forse solo lo credeva dato che non era più sicura di avere ancora un corpo, ma poteva vedere ciò che la circondava, anche se avrebbe preferito non farlo. Mentre Uwan continuava a gridare e implorare, lei aveva visto svanire la Terra, azzurra e verde, come risucchiata da un vortice. Lo Yoja-kai le era apparso in una visione fugace del palazzo distrutto, ancora fumante degli incendi che lo avevano arso.
    Come in sogno, aveva quindi attraversato strani mondi, dall'aspetto a volte familiari, a volte sconosciuti, dove persino le era sembrato di vedere altre lei stessa vivere altre vite, o ripetere ancora all'infinito l'esistenza di orrore e violenza che ricordava con tormento.
    Kayura sentì qualcosa di caldo sfuggirle da sotto le ciglia e fu allora che si rese conto di essere viva. Socchiuse gli occhi. Erano lacrime quelle che le galleggiavano sul viso. Gocce iridescenti nel bagliore tenue dell'energia che la circondava, in un abbraccio protettivo nel vuoto privo di gravità. Kayura stava piangendo per tutto il male che aveva fatto; per il male che aveva subito e per ciò che avrebbe voluto essere, ma non era mai stata.
    Arago le apparve d'un tratto, nitido, enorme e spaventoso nello spettro della sua armatura scura irta di lame, con i lunghi capelli d'argento fluttuanti attorno alla maschera feroce dell'elmo crestato. Kayura s'irrigidì e portò le mani alla testa, come a proteggersi, mentre anche l'Imperatore la vedeva e protendeva verso di lei la mano artigliata, nel tentativo di ghermirla con un gesto carico di rabbia e di odio.
    Lei gli sfuggì solo per un soffio. Adesso aveva paura e si sorprese nel sentire il cuore battere nel petto così forte da farle male.
    Perché era ancora viva? Si chiese. Poi si diede da sola la risposta: c'era ancora una cosa che doveva fare: liberare Uwan. Lì, in quella sorta di limbo fatto di silenzio e vuoto in cui le dimensioni si intersecavano l'una con l'altra, senza mai venire a contatto.
    «Non farlo!» Il grido di Uwan si trasformò in parole che scrosciavano assordanti, mentre la volontà del demone cercava un varco nella mente sbarrata della ragazza. «Se rompi l'incantesimo morirai! Solo quello ti protegge, stupida umana. Riportami indietro!»
    Kayura non rispose. Lasciò scivolare le mani dal capo e le giunse sul petto, pronta a spezzare la fragile bolla di energia che la circondava.
    «Non farlo, ti prego! Sarò il tuo servo fedele, farò tutto ciò che vorrai» implorò Uwan.
    Kayura sentì tutto il suo sgomento, ma avvertì anche la falsità delle sue promesse e rimase ferma nella sua decisione. La paura di Uwan si trasmise anche a lei e il cuore le salì in gola, non per il timore della morte, ma perché sarebbe rimasta sola in quel vuoto senza fine, dove forse nemmeno il suo spirito avrebbe ritrovato la via di casa.
    Sperduta nel nulla, l'anima di Kayura non avrebbe potuto riunirsi a sua madre, a suo padre e nemmeno a Kaosu, che la ragazza a malapena ricordava ma che l'aveva designata come sua erede ancor prima che lei nascesse. Era stato per quello che Arago l'aveva rapita. Era stata quella scelta, che lei non capiva, a tracciare il suo destino.
    Kayura pensò allo Shakujo, simbolo stesso del suo clan e antica arma del monaco guerriero. Non si pentì di averlo abbandonato sulla Terra. Se lo avesse portato con sé, sarebbe andato perduto per sempre, e lei questo non poteva permetterlo. Chiese perdono a Kaosu, per averlo deluso, e chiese perdono a Shuten, perché sapeva che lui non avrebbe voluto che finisse così. Non dopo tutto quello aveva fatto e rischiato per lei.
    E nemmeno lei lo avrebbe voluto. Sorrise tra le lacrime al calore che sentì correre nelle vene, fino a raggiungere il cuore a farlo battere più forte, di una vita nuova, come fosse un cucciolo che si risveglia alla carezza tiepida dell'alba dopo una lunga notte di gelo.
    «Piccola Kayura, sarai pure l'erede di Kaosu, ma rimani sempre solo un essere umano» mormorò Uwan. «Arago non è riuscito a disseccarti il cuore. Io lo sapevo, l'ho sempre saputo. Voi umani siete così ostinati nei vostri sentimenti, persino quando non vi rendete nemmeno conto di averli.» Rise e si fece suadente. «Riportami indietro, servirò entrambi, te e il tuo generale dei demoni. Non mi nasconderò più davanti a lui, obbedirò a ogni suo ordine. Vedrai, nessuno sarà più fedele di me, anch'io ho dei sentimenti.»
    «L'unico sentimento che conosci, Uwan è l'odio» rispose Kayura in un sussurro.
    Uwan gettò un grido assordante e ancora gridava, quando lei aprì le mani come a liberare qualcosa che tenesse tra le dita. In quel momento la barriera di energia iridescente si ruppe in un baluginio dorato, che subito si spense. La voce di Uwan svanì e tutto fu silenzio.
    Mentre il gelo le mordeva le carni e i suoi polmoni non trovavano più aria da respirare, Kayura si raggomitolò su se stessa, abbandonandosi al sonno dell'incoscienza, cui sapeva non sarebbe seguito risveglio.


    La voce di sua madre le giunse nitida, come se la donna fosse lì con lei in quel luogo dove tempo e spazio non avevano significato. Kayura, figlia mia, dove stai andando?
    Torno da te, madre mormorò Kayura in sogno.
    Guardami.
    Kayura aprì gli occhi. Nella luce diafana che sembrava provenire da ogni luogo nel nulla che la circondava, guardò il volto di sua madre. Era così giovane, pensò, ed era morta. Adesso anche lei aveva cessato di vivere e fu felice, perché aveva avuto paura di non riuscire a ritrovarla, ma, a quanto pareva, era stata sua madre a ritrovare lei.
    Devi tornare a casa disse la donna e sorrideva mentre muoveva la mani di alabastro come a respingerla dolcemente da sé.
    Nel guardarle le mani, Kayura rammentò quelle dita muoversi agili sul telaio di casa e, d'un tratto, ricordò anche i disegni e i simboli che sua madre, con quelle stesse dita, le aveva insegnato a tracciare come fosse un gioco, mentre suo padre vestito dell’abito dei monaci guerrieri, le osservava entrambe, in silenzio. Lei non rammentava il volto del padre, solo il suo sorriso.
    La sua famiglia apparteneva al clan di Kaosu, ma era sua madre ad avere il suo sangue. Quel sangue che scorreva nelle sue stesse vene.
    Adesso però era tutto finito.
    Portami a casa, madre mia disse Kayura dentro di sé e richiuse gli occhi.
    Non udì risposta. Un bagliore dorato le attraversò le palpebre e lei si accorse che c'era qualcun altro ora con lei, e quel qualcuno la stava prendendo in braccio. Kayura non sentiva più freddo e si abbandonò di buon grado nella stretta che adesso la circondava.
    Doveva essere Kaosu, pensò. Sì, era Kaosu che veniva a prenderla per riportarla al loro villaggio assieme a sua madre, dove il padre già le stava aspettando.
    Resta con me, madre mormorò nei suoi pensieri, mentre lasciava cadere la testa sulla spalla di Kaosu.
    Sarò sempre con te, figlia mia.
    Kayura sorrise e strinse con la mano quella che doveva essere la stoffa della veste di Kaosu. Vagamente si accorse di qualcosa di strano: era una stoffa insolita, forse non era nemmeno un vero tessuto, inoltre vi era qualcosa come di metallico sotto di essa, che reagì al contatto con la sua pelle dandole la sensazione di una scossa elettrica.
    La ragazza impiegò qualche momento a rendersi conto che stava respirando di nuovo, poi, d'un tratto il cuore le balzò in petto e il sangue prese a correrle nelle vene, caldo e vivo, a scacciare il gelo della morte.
    Kayura aprì gli occhi e sbatté le palpebre alla luce dorata che quasi le ferì le pupille, ormai abituate al semibuio in cui era stata immersa fino a qualche istante prima. Alzò debolmente il capo ma già sapeva che non era Kaosu l'uomo assieme a lei.
    «Toshitada, sei venuto a prendermi» mormorò stupita.
    Il demone cui apparteneva quel nome la guardò e vi era una luce di rimprovero nelle sue iridi verdi, adombrate dalle ciglia aggrottate. «Credevi davvero ti avrei lasciata andare?»
    Kayura sorrise e alzò una mano per sfiorargli il viso. «Dove stiamo andando?» domandò con un filo di voce.
    «A casa» rispose Shuten e la stinse più forte.
    Kayura ricambiò debolmente la sua stretta. Gli affondò il viso nel petto e protese il braccio dietro la sua nuca, tra i folti capelli ramati. Chiuse di nuovo gli occhi, mentre la sfera generata dallo Shakujo chiuso nel pugno di Shuten brillava più intensa attorno a loro.
    Silenziosa, la sfera di energia si aprì un varco tra le pieghe del tempo e dello spazio, e percorse le dimensioni vorticanti nel nulla, fino a che un vento d'aria pura investì il demone e la ragazza, quando stretti l'uno all'altra essi precipitarono in una scia d'oro verso la chiazza scura di un lago lontano, in cui si riflettevano le stelle del cielo notturno.


    Cap. XXXIV
    Un legame indissolubile

    Nel cottage, di nuovo illuminato dalla luce elettrica e dove tutto aveva finalmente ripreso a funzionare, Nasti gettò uno sguardo distratto al telegiornale. Il televisore era miracolosamente rimasto intero, appeso al suo supporto sulla parete, dopo il passaggio di Hoshino e dei suoi.
    Sullo schermo stavano scorrendo le immagini di una voragine apertasi in un quartiere della città, dove, alla luce di fari abbaglianti, squadre di soccorso erano al lavoro per cercare di trarre fuori delle persone, che il cronista diceva dovevano trovarsi ancora imprigionate là sotto.
    Guardando i corpi che venivano estratti, alcuni privi di vita, e che le telecamere riuscivano a inquadrare stesi sulle barelle, Nasti avrebbe voluto provare pietà. Ma per quelle persone che si erano votate a un mostro come Uwan e avevano cercato di sostenerlo fino all'ultimo, senza un briciolo di pentimento per il male causato, la ragazza scoprì dentro di sé solo un sentimento confuso, in cui la pietà aveva un ben misero posto.
    Mentre si sforzava di preparare una cena decente con quanto le era rimasto di utilizzabile nella cucina mezza devastata, Nasti ripensò al momento in cui i samurai erano tornati al cottage, diverse ore prima. Dei cinque solo Shû era in grado di tenersi in piedi e sosteneva Ryo, quasi privo di conoscenza. Seiji era apparso aggrappato a Anubisu e la sua armatura era così danneggiata da fare paura. Shin, che si reggeva a Naza, le aveva rivolto un sorriso pallido, mentre Tôma, sorretto da Rajura, aveva un'espressione cupa e tirata sul viso sofferente.
    Gli otto uomini erano apparsi sul loggiato, come venuti dal nulla, senza far rumore. Era stato il ruggito di Bayuken, tornata con loro, a attirare di corsa fuori lei e Jun, accompagnati da Yatate.
    La ragazza per poco si tagliò con il coltello affilato, con cui stava affettando delle verdure ancora commestibili rinvenute nel frigorifero saccheggiato. I suoi amici samurai erano tornati a casa e tre demoni erano con loro, ma cosa ne era stato di Shuten e Kayura?
    «Kayura ha portato Uwan in una qualche dimensione, non sappiamo dove. Shuten l'ha seguita con il bastone di Kaosu, prima che potessimo fermarlo. Adesso non ci rimane altro che sperare possa trovarla e che entrambi riescano a tornare indietro» le aveva spiegato Tôma, scuro in volto.
    «Noi andiamo a cercarli» aveva deciso Anubisu ed era sparito di nuovo, lasciando Seiji lì, sul pavimento del loggiato. Naza e Rajura avevano fatto altrettanto. Neanche il tempo di una parola ed erano subito svaniti.
    Nasti stessa aveva afferrato Tôma, per aiutarlo a restare in piedi, mentre Shin si appoggiava a Yatate e Jun correva da Seiji, seduto malamente per terra e piegato in avanti come sul punto di cadere.
    Per un momento, Shû era apparso come indeciso se seguire i demoni o restare con gli amici. Guardandolo adesso, seduto per terra a gambe incrociate e il viso imbronciato, a lato del divano su cui era disteso Ryo, Nasti si convinse che se era rimasto era stato solo perché i demoni non gli avevano lasciato il tempo di capire come e dove pensassero di andare a cercare Shuten e Kayura.
    Silenzioso ma cosciente, Ryo guardava il telegiornale. La sua espressione era però lontana ed era evidente che il giovane stava pensando a altro. Jun gli aveva restituito con deferenza la sua katana e l'elmo danneggiato. Nasti non avrebbe mai dimenticato come il Samurai del Fuoco avesse però lasciato cadere i due oggetti e, abbracciato il ragazzo, avesse pianto sulla sua spalla come a liberarsi da una tensione che troppo a lungo lo aveva logorato, e del senso di colpa per tutto ciò che aveva fatto.
    «Non piangere, Ryo. Non è stata colpa tua» lo aveva consolato Jun, con un tono da adulto che gli aveva attirato addosso lo sguardo sorpreso di tutti.
    Nasti osservò Jun, anche lui seduto sul pavimento accanto a Shû e con la schiena appoggiata contro il divano di Ryo, vicino alla sua testa che Yatate aveva medicato e fasciato con la solita cura. Il bambino di un tempo si era ormai trasformato: quello che ora si trovava con loro era un giovane ragazzo, che non avrebbe saputo indossare una delle armature di Kaosu con minor coraggio o dignità di coloro che le indossavano adesso.
    «Possa Dio proteggerlo da un simile destino» mormorò Nasti, rabbrividendo. Tornò a concentrarsi sul suo lavoro e non si accorse che Jun si era girato verso di lei, come se l'avesse udita.
    «Molte persone sono morte a causa nostra» mormorò tristemente Shin, affondato in una delle poltrone strappate, nel guardare l'ennesima vittima che veniva estratta dalle macerie del crollo.
    «Non a causa nostra, ma di quel demonio di Uwan e della devozione con cui quella gente ha scelto di servirlo» replicò Seiji con freddo distacco.
    Nasti gli gettò uno sguardo. Il Samurai della Luce era seduto nell'altra poltrona, rigido e pallido in volto. Quando le era ricomparso davanti nella sua armatura verde pesantemente danneggiata e sorretto da Anubisu, la ragazza aveva temuto il peggio, ma Seiji, come gli altri amici, si stava riprendendo in fretta. Adesso che erano definitivamente liberi dal controllo di Uwan, tutti e cinque recuperavano rapidamente le forze e anche le loro ferite sembravano meno gravi di quanto fossero apparse in un primo momento.
    Nasti si ricordò di Yatate e si girò a cercarlo, poi rammentò che si era recato fuori sul loggiato. Non poteva vederlo, poiché Shû era riuscito a rabberciare la porta finestra distrutta con pezzi di stoffa e di cartone, là dove i vetri erano andati in frantumi. Un rimedio che riusciva almeno un po' a tenere lontano il freddo, anche se non del tutto, ma impediva la visuale sull'esterno.
    Per un istante, Nasti si domandò cosa stesse facendo Yatate là fuori, ma poi rammentò la sua faccia quando Shuten e Kayura non erano tornati e si rese conto che il medico voleva stare un po' da solo. Era dunque davvero innamorato di Kayura, come le era sembrato sin dal primo istante? Si domandò Nasti, e sì, pensò, era proprio così e ora il poveretto doveva star soffrendo moltissimo nel non sapere cosa fosse stato di lei.
    Nasti sospirò e riprese ad affettare la verdura, senza rendersi conto che l'aveva ormai ridotta a una sorta di purea verde. «Torneranno» mormorò, «Shuten la troverà, ne sono certa. Lui... » s'interruppe e le sue mani si fermarono di nuovo, mentre un pensiero improvviso le prendeva forma nella mente. Tutto d'un tratto, Nasti fu certa che non era per un debito, del resto già ampiamente ripagato, verso Kaosu che Shuten aveva seguito Kayura nel nulla, da dove i suoi stessi compagni dubitavano entrambi sarebbero potuti tornare.
    «Ma come Nasti, te ne accorgi solo ora?»
    Nasti sussultò alla voce di Jun. Il ragazzo la stava guardando dall'altro lato del piano da lavoro della cucina e lei si sorprese di non averlo sentito avvicinare.
    «Jun» mormorò la ragazza.
    Il giovanissimo amico le rivolse un sorriso triste. «Tu sai meglio di me come funzionano le armature di Kaosu» portò una mano al petto, «è qui che vivono, nel profondo del cuore e quando lo abitano una volta, puoi stare certa che ne mantengono qualcosa. Shuten e Kayura hanno vissuto insieme per quattrocento anni, Nasti. Quando Shuten l'ha liberata da Badamon e le ha fatto vestire la sua armatura, togliendo la Gemma dal suo cuore per darla a lei, deve averle trasmesso anche qualcosa che forse nemmeno lui sapeva di avere dentro di sé. Qualcosa che il controllo di Arago gli aveva fatto dimenticare.»
    Nasti guardò Jun piena di stupore. Il ragazzo aveva ragione, come aveva potuto non realizzare lei stessa ciò che lui le stava dicendo? L'armatura del demone era poi tornata a Shuten e doveva aver portato con sé la parte più profonda del cuore di Kayura, assieme a sentimenti e emozioni così intimi e nascosti, che nemmeno l'Imperatore o il suo ministro erano riusciti a cancellare.
    «Kayura ha avuto con sé anche le armature di Tôma e Shin, ma le ha solo custodite senza indossarle. Quelle yoroi non sono mai entrate nel suo animo» mormorò Nasti, riflettendo tra sé.
    «Io mi sono accorto subito, nel primo momento che li ho rivisti, che Shuten e Kayura erano legati in modo indissolubile. L'ho visto dal modo in cui stavano vicini, da come si guardavano» proseguì Jun.«Forse tu non te ne sei accorta, perché sei rimasta troppo sorpresa nello scoprire che Shuten era vivo.»
    «Tu non sei stato sorpreso» disse Nasti, ripensando a come il ragazzo fosse subito corso dal demone, senza dar mostra di alcun stupore.
    Jun scosse la testa. «Ero troppo felice per esserlo, Nasti. Non avevo mai accettato che Kaosu avesse aperto gli occhi a Shuten solo per lasciarlo morire.»
    Nasti annuì e alzò gli occhi al televisore senza vederlo. «Hai ragione, Jun: non l'ho mai accettato nemmeno io.» Sentì la mano del ragazzo sul polso e tornò a guardarlo.
    «Torneranno, vedrai» affermò Jun con convinzione.
    Nasti riuscì a sorridere, rinfrancata dalla fiducia del ragazzo. Quando sollevò di nuovo gli occhi si accorse che Tôma li stava osservando. Seduto sul divano, ai piedi di Ryo, con la gamba ferita distesa sopra uno sgabello, il Samurai del Cielo sembrava sul punto di dirle qualcosa, forse perplesso dal suo sorriso fiducioso, ma la voce concitata di Yatate che prese a gridare dal loggiato, lo interruppe prima che potesse parlare.
    Bayuken, rimasta quieta e silenziosa appallottolata accanto al divano di Ryo, saltò sulle zampe e puntò le orecchie verso la portafinestra spalancatasi sotto la spinta del medico. Alcuni pannelli di cartone caddero giù dal telaio, ma nessuno vi fece caso.
    «Venite a vedere!» gridò Yatate protendendosi verso la stanza a metà, mentre restava sul loggiato con un braccio teso verso l'alto. «C'è qualcosa nel cielo, sta cadendo nel lago! Venite, presto!»
    Bayuken lo raggiunse in due salti e mentre anche Nasti, Jun e Shû arrivavano di corsa sul loggiato, la tigre balzò oltre la balaustra, atterrò sulla ghiaia davanti alla casa, dove era parcheggiato il fuoristrada di Nasti, e corse via, verso il bosco avvolto nella tenebra della notte in direzione del lago.
    «Lassù!» esclamò ancora Yatate, ma già Nasti guardava in alto, nel cielo stellato la sfera dorata che scendeva veloce come una stella cadente, verso lo specchio d'acqua poco distante. D'un tratto altre tre sfere luminose comparvero vicino ad essa e presero a girarle intorno, mentre scendevano assieme in una danza di luce.
    «Che mi venga un accidenti!» esclamò Shû, arrivato di corsa, primo tra i compagni che sopraggiunsero poco dopo, sorreggendosi a vicenda.
    «Sono loro» disse Ryo e lasciò il sostegno di Shin per reggeri alla balaustra, nel protendersi in avanti con impeto.
    «Sì» confermò Tôma, aggrappato a Seiji. «Sono loro, ce l'hanno fatta.»
    «Ma... e la signorina Kayura, l'avranno trovata?» domandò Yatate, preoccupatissimo.
    «Può esserne certo, dottore» rispose Nasti e scambiò uno sguardo con Jun mentre aggiungeva: «Shuten non sarebbe mai tornato senza di lei.»


    Il lago era ormai a pochi metri, quando Shuten riuscì a rallentare la caduta. Atterrò sulla riva ghiaiosa, e crollò in ginocchio, con Kayura tra le braccia. Lo Shakujo gli cadde di mano e finì tintinnando a terra, tra i sassi bagnati dalla lieve risacca dello specchio d'acqua. La bolla di energia dorata brillò ancora diversi istanti attorno a loro, sfrigolando piano sulle pietre bagnate. Infine non si dissolse come sempre, ma sembrò ritirarsi su se stessa, e scivolare come una velo dorato sull'acqua dove rimase a galleggiare, simile a un pulviscolo leggero.
    Shuten alzò la testa quando si accorse di Anubisu, Naza e Rajura che atterravano attorno a lui. I tre demoni sfilarono gli elmi e rimasero a distanza, a guardare lui e Kayura come fossero tornati dall'aldilà. E forse, si disse Shuten ripensando alle dimensioni incredibili che aveva attraversato, era davvero così.
    Kayura si mosse, attirando la sua attenzione. La ragazza si scostò leggermente da lui e alzò gli occhi limpidi nei suoi. L'aria pura e fredda del bosco le rinfrancava il viso pallido, che riprendeva lentamente colore. La ragazza respirò a fondo, come volesse saziarsi di quell'aria pulita che le inondava i polmoni e le arrossava le guance. Levò una mano, poi l'altra e Shuten sentì il tepore dei suoi palmi delicati sul volto, prima che la ragazza si sollevasse verso di lui a deporre le labbra sulle sue.
    Il demone s'irrigidì, colto di sorpresa, e fu sul punto di ritrarsi temendo di sporcare con il sangue di secoli di crudele violenza, che ancora gli pareva di avere addosso, quella ragazza innocente, il cui cuore sentiva pulsare nel suo. Lei lo trattenne, con fermezza e fu allora, al calore delle sue labbra e alla dolcezza delle sue mani che il generale dei demoni si sentì cadere da dosso tutto il peso del male che aveva commesso; delle troppe scelte sbagliate; dell'arroganza vuota di una vita spesa al servizio di un demonio assetato di potere e di vendetta.
    Abbracciò Kayura e ricambiò il suo bacio, mentre lei gli affondava le mani nei capelli e si abbandonava nella sua stretta, come se al mondo altro non fossero che loro due. Non si accorsero del ruggito di Bayuken, quando la tigre emerse dal bosco per raggiungerli, e nemmeno del bagliore dello Shakujo che si affievoliva. Nè videro lo svanire nell'acqua del pulviscolo dorato, che affondò sotto le onde leggermente increspate, come la memoria di un antico tormento che avesse trovato finalmente la pace.
    Quando infine si separarono, Shuten vide nel volto di Kayura un'espressione stupita che non doveva essere troppo dissimile dalla sua.
    «Scusami, io... mi sono lasciata trasportare. Non avrei dovuto lasciarmi andare così» mormorò Kayura. Si fece indietro, ma non distolse lo sguardo.
    «Nemmeno io» rispose Shuten, «ma non ti chiederò scusa, perché non mi dispiace per niente e lo rifarei.»
    «In effetti era ora, sono secoli che aspetto» sbottò Anubisu nel buio, facendo sussultare entrambi. «Cominciavo a temere di aver perso la mia scommessa.» Sogghignò e tese una mano a Naza, come a invitarlo a consegnargli qualcosa.
    «La scommessa non valeva più: lui era morto» obiettò il Demone del Veleno in tono seccato.
    «Ti sembra morto?!» scattò Anubisu indicando Shuten con il dito teso, nel lieve bagliore emanato dal bastone di Kaosu, in un gesto così brusco che Bayuken gli ringhiò contro.
    «Hai perso, Naza. Ti avevo detto sin da subito di lasciar stare» s'intromise Rajura e incrociò le braccia sul petto con fare saputo. Piegò appena la testa al rumore di un'auto che sopraggiungeva dalla strada sterrata. La luce dei fari lo investì da dietro, proiettando la sua ombra sul lago.
    «Di cosa state parlando?» chiese Shuten, e già aggrottava lo sguardo intuendo che i tre dovevano aver macchinato qualcosa alle sue spalle. Fece per alzarsi, ma scoprì di non riuscirci. Kayura scivolò dal suo abbraccio e gli rimase davanti, in ginocchio, anche lei incapace a rimettersi in piedi. Bayuken si strofinò a entrambi, ronfando come un gatto.
    «Niente d'importante, solo una scommessa di qualche secolo fa tra quei due» rispose Rajura e si scostò di lato, mentre il bagliore inconfondibile della yoroi della Terra illuminava le cime egli alberi e, in meno di una frazione di secondo, precipitava come un bolide sulla riva, quasi nel punto in cui si era trovato il Demone dell'Illusione.
    Pochi attimi dopo, il fuoristrada di Nasti emerse dal bosco e venne a fermarsi a lato all'imbocco del pontile proteso sul lago. Jun si lanciò fuori dallo sportello posteriore della macchina, prima ancora che Nasti spegnesse il motore. Yatate gli corse dietro, seguito da Ryo e gli altri che, un po' camminando, un po' trascinandosi nel sorreggersi a vicenda, raggiunsero i demoni. Nasti scese per ultima dal lato del guidatore.
    Abbagliato dai fanali dell'auto, Shuten vide in controluce la sagoma della ragazza che si avvicinava, mentre Jun già lo raggiungeva e si fermava trafelato davanti a lui e Kayura. Il giovane si lasciò cadere in ginocchio tra loro e li guardò entrambi, poi osservò il lago prima di ritornare con gli occhi sul generale dei demoni.
    Shuten ricambiò il suo sguardo, chiedendosi perché il ragazzo lo stesse fissando in quel modo.
    «Questa volta almeno non sei finito in acqua» disse Jun e sorrise attreverso le lacrime che gli inondavano gli occhi.
    Kayura ebbe un singulto e rise piano, mentre Shuten afferrava il ragazzo alla nuca e lo attirava a sé, fino a premere la fronte contro la sua. Con gli occhi chiusi, il demone non vide Ryo che sorrideva, finalmente sereno, e Rajura che porgeva con galanteria a Nasti un fazzoletto, tratto da chissà quale piega della sua armatura, perché potesse asciugare gli occhi.


    Cap.XXXV
    Luce e ombra

    Le ore che precedono l'alba sono sempre le più fredde, si disse Ryo.
    In piedi sul loggiato della casa di Nasti, il giovane osservava le stelle impallidire nel cielo, dove già l'indaco della notte si tingeva dei riflessi rosati dell'aurora.
    Faceva freddo, ma c'era qualcosa di purificante nell'aria gelida del mattino. Ryo ispirò a fondo, ignorando il dolore delle costole ammaccate sotto la maglia leggera, come volesse lavare nell'aria limpida la sua stessa anima.
    «Non mi ero reso conto di quanto rancore covassi nel cuore contro di voi. Contro di te» disse e si girò verso Shuten, che lo aveva raggiunto avvicinandosi silenzioso.
    Il demone lo affiancò andando ad appoggiarsi alla balaustra. Guardò il lago che cambiava colore al riflesso del cielo. «Non ti posso biasimare» rispose laconico.
    Ryo abbassò lo sguardo. «Dovresti invece. Kaosu non mi avrebbe mai scelto per indossare l'Armatura del Fuoco e tantomeno quella dell'Imperatore Splendente, se avesse saputo quanta oscurità avessi nel cuore» replicò con amarezza. Si stupì nel sentire l'altro ridere sommesso.
    «Credi veramente che Kaosu non conoscesse il tuo animo? Sei il solito ragazzino ingenuo, Ryo» rispose il demone. «Se quell'uomo, o qualsiasi cosa fosse, riuscì a scorgere un barlume di luce dentro di me, vuoi che non avesse visto l'ombra che invece tu portavi dentro? O forse, piuttosto che ingenuo, sei così arrogante da crederti esente dai difetti di ogni essere umano?»
    Ryo sentì l'orgoglio agitarsi nel cuore alla durezza inaspettata delle parole che Shuten gli aveva appena rivolto. «Proprio tu parli di arroganza?» replicò d'impeto in un tono a metà tra il dimesso e il seccato.
    Il demone erse le spalle e si girò verso di lui. Ryo sentì il suo sguardo attraversarlo come una lancia e già era sul punto di mettersi in guardia, quando Shuten si mise a ridere. Smise subito però e si piegò leggermente, portando una mano al fianco ferito.
    Il samurai si protese d'istinto per aiutarlo, ma l'altro lo respinse con un gesto fermo. «La tua fiamma si risveglia, Rekka no Ryo» disse il demone. Reggendosi alla balaustra si raddrizzò con prudenza.
    «Perdonami, sono stato io a ferirti» mormorò Ryo, mortificato dall'impulsività della sua reazione.
    «Siamo pari» rispose Shuten e tese la mano a toccare con la punta delle dita la fasciatura sulla testa del samurai.
    Ryo ebbe un mezzo sorriso ironico. «Veramente, credo di averti fatto più danni di quanti tu ne abbia arrecati a me» replicò, «e quella camicia è mia» aggiunse indicando i vestiti che il demone aveva indosso.
    «Hai avuto solo la fortuna che non volessi farti del male sul serio. Sì la camicia è tua, e mi sta stretta. Dopo esserci infilati in quella specie di fogna, per causa tua e dei tuoi amici, i vestiti che avevate lasciato qui sono l'unica cosa pulita che Nasti poteva dare a me e agli altri, se voleva evitare di trovarsi quattro armature luride e ammaccate in giro per casa, oltre alle vostre cinque» ribatté Shuten con una certa asprezza.
    Il samurai non rispose. Entrambi guardarono l'interno buio della casa.
    «Nasti è una ragazza speciale» disse Ryo, dopo diversi istanti.
    «Hai ragione, non so come ha fatto a sopportare Naza che le girava intorno a criticare ogni cosa, mentre lei cercava di cucinare. Secondo te, si è accorta che Rajura le ha inondato il bagno nel lavarsi?» domandò Shuten e davvero sembrava preoccupato.
    «No, ma vi conviene sparire prima lo scopra» rispose Ryo serio.
    I due tacquero di nuovo. Il sole spuntò da dietro la collina alle loro spalle e investì il lago in un'onda di luce dorata, che si riflesse sulle acque ferme circondate dal bosco.
    «Shuten» chiamò Ryo e il demone si girò verso di lui. «Credevo avessi deciso di non combattere mai più.»
    Shuten alzò il viso a guardare il lago. «Sai che non mi fu possibile mantenere fede alla decisione di allora, sebbene nell'indossare di nuovo la mia yoroi fossi convinto di star affrontando la mia ultima battaglia» rispose e aggrottò le ciglia mentre la sua espressione s'induriva. Poi sembrò distendersi e il suo sguardo era limpido quando tornò a voltarsi verso Ryo. «Un tempo combattevo solo per il mio orgoglio, ma da quell'ultima battaglia, ho imparato a combattere unicamente per ciò che vale veramente la pena, come difendere il mondo nuovo che abbiamo costruito, laddove erano solo odio e paura. E difendere ciò che amo.»
    Ryo annuì e sorrise con franchezza, ripensando a quando aveva visto l'ex demone di Arago, sulla riva del lago con Kayura tra le braccia. «Hai deciso a chi dedicare la tua Lealtà, generale Shuten Doji.»
    «C'è stato un giorno in cui tu hai dedicato a me la tua Compassione, Rekka no Ryo. La mia Lealtà è e sarà sempre rivolta anche a te» rispose Shuten.
    Il samurai si avvicinò al demone e pose entrambe le mani sulle sue spalle. «Sono felice di riaverti con me, amico mio» disse trattenendo a stento la commozione.
    Un rumore di passi e il rincorrersi di voci che giunsero dall'interno della casa attirò l'attenzione di entrambi. Sulla soglia della portafinestra rotta, apparve Kayura accompagnata da Bayuken. La ragazza aveva indosso gli abiti di Nasti e stava come raggomitolata dentro una maglia di lana pesante, da cui spuntava la mano che reggeva il bastone di Kaosu. I lunghi capelli neri le incorniciavano il viso pallido ricadendo sciolti sulle spalle.
    Ryo la guardò sorridere e gli fece un effetto strano vederla con quegli abiti moderni. Se non fosse stato per lo Shakujo, Kayura sarebbe potuta sembrare una qualsiasi ragazza di Tokyo. O forse no, si disse il samurai. C'era comunque qualcosa di diverso in lei, come nei demoni. Un qualcosa nel loro modo di muoversi, di parlare o anche solo di essere che li rendeva estranei al mondo degli uomini, al quale, in realtà, da secoli non appartenevano più.
    «È ora di andare» disse Kayura e si avvicinò a Shuten, mentre Bayuken dopo essersi stirata come un grosso gatto, si accostava a Ryo mugolando per attirare la sua attenzione.
    Il samurai le grattò con affetto dietro le orecchie, ma i suoi occhi rimasero sul demone e quella che sembrava una semplice ragazza, ma non lo era. Li guardò e gli sembrò di vederli per la prima volta, o forse erano loro a essere diversi da come li ricordava. Di una cosa però fu certo, lo Yoja-kai sarebbe davvero diventato un luogo migliore, come Kayura aveva promesso il giorno in cui se ne era andata, dopo la sconfitta di Arago, tanto tempo prima.
    Il movimento degli altri tre demoni che uscivano sul loggiato lo fece voltare, in tempo per vedere sopraggiungere anche i suoi amici, tra cui un imbronciatissimo Shû che fissava torvo Anubisu, con indosso una camicia dai colori sgargianti, che Ryo non faticò a riconoscere.
    «Gradirei riavere la mia camicia hawaiana, prima che te ne vai» mugugnò il Samurai della Terra.
    Anubisu gli rispose con sogghigno. «Puoi venire a riprendertela quando vuoi» disse, ma era chiaro che non aveva alcuna intenzione di restituire il vistoso indumento al legittimo proprietario.
    «Vediamo di andarcene in fretta, qui fa un freddo cane» bofonchiò Naza, raggomitolato in una grossa maglia di lana al pari di Kayura.
    «Sì, andiamo. Ho bisogno di fare un bagno vero, dentro una vasca con acqua profumata e le mie geishe a strofinarmi per bene il sudicio di dosso. Quella cosa che chiamate doccia non è un modo civile di lavarsi! Puzzo ancora» protestò Rajura.
    Un silenzio imbarazzato calò sul loggiato al comparire di Nasti scura in volto.
    «Ahia» fece Ryo e indietreggiò. Shuten fece altrettanto, portando con sé una Kayura stupita che non comprendeva cosa stesse accadendo.
    «Tu!» esclamò Nasti quasi in un ringhio, puntando un dito accusatore contro Demone dell'Illusione.
    Rajura sfoderò un sorriso ammaliante, ma con scarso successo. Nasti continuò a fissarlo piena di astio.
    «Non bastava che quei fanatici mi devastassero la casa; che Anubisu finisse di distruggere il mio salotto con la sua armatura e Naza mettesse a soqquadro quel poco che mi era rimasto in cucina, per fare uno dei suoi intrugli...»
    «Intruglio? Ma no, era un dolce, e pure buono» intervenne Yatate, spuntato sulla porta con Jun che lo tirava per la manica a dirgli di tacere.
    Nasti lo ignorò e continuò a tenere il dito teso a guisa di pugnale contro Rajura. «...ci mancavi tu, a inondare l'unica stanza da bagno che Hoshino e i suoi non avessero distrutto! Cosa diavolo hai combinato là dentro? Sembra ci sia passato un elefante!»
    Rajura fece una faccia innocente e guardò gli altri, demoni e samurai, rimasti in silenzio e che facevano finta di non esserci.
    «Perché di tutti i qui presenti pensi sia stato proprio io?» domandò in un tono così offeso e sincero che Ryo dubitò per un istante potesse davvero essere lui il colpevole del misfatto.
    Il volto di Nasti divenne paonazzo. «Perché hai ancora addosso il profumo del sapone francese che tenevo là dentro e che hai consumato fino all'ultima goccia!»
    Rajura aggiustò con fare noncurante il colletto della maglia elegante che aveva indosso, e che Ryo riconobbe come una di quelle di Seiji, poi avanzò verso Nasti fino a che il dito di lei gli premette contro il petto. «Profumo francese, posso fartene avere quanto ne vuoi» disse suadente.
    «Vai a ripulire il bagno, invece di fare il cascamorto!» sbottò Nasti, fece per ritrarre la mano ma il demone la prese al volo e la tenne tra le sue.
    Ryo sgranò gli occhi alla confidenza che Rajura mostrò alla ragazza.
    «Ehi!» scattò Shû, dando voce all'inquietudine che aveva colto lui e i suoi amici, mentre Kayura e i demoni osservavano con curiosità il loro compagno chinarsi su Nasti a sussurrarle qualcosa all'orecchio.
    Quando Rajura si scostò, la giovane rimase a guardarlo con le ciglia ancora aggrottate, ma senza più livore. A Ryo sembrò persino perplessa, come se il demone le avesse detto qualcosa d'inaspettato che l'aveva sorpresa.
    «Hai finito di fare il cretino?» domandò ruvido Naza che rabbrividiva avvoltolato nel maglione.
    Rajura gli lanciò uno sguardo di sbieco. Rivolse un inchino a Nasti e indietreggiò, andando a accostarsi a Shuten e Kayura.
    «Che cosa le hai detto?» domandò Kayura.
    Naza e Anubisu si avvicinarono a loro volta e Ryo si scoprì curioso quanto loro, tanto che rizzò le orecchie per sentire la risposta di Rajura.
    «Il mio nome: Kuroda Jirôgorô» rispose il Demone dell'Illusione con aria solenne.
    «Ma se ci avevi detto di averlo dimenticato quando Arago ti portò nello Yoja-kai!» lo investì Anubisu.
    Rajura fece un'espressione vaga. «Ho mentito.»
    «Come al solito» disse Shuten incrociando le braccia sul petto.
    «Tu, anziché del mio nome, preoccupati del tuo» replicò Rajura rivolgendo al demone un sogghigno sardonico. «Temo dovrai rassegnarti a cambiarlo in Kaosu no Toshitada, dal momento che sembra chiaro come tu non appartenga più al clan dei Koma, sempre che esista ancora.»
    Al lampo minaccioso che attraversò lo sguardo di Shuten, Ryo si scostò per prudenza. Il demone però non reagì alla provocazione dell'altro. In fondo, pensò il samurai, Rajura non aveva tutti i torti, ma preferì tenere quella considerazione per sé. Gli rimase comunque una sensazione strana, nello scoprire che quegli uomini divenuti demoni avevano altri nomi, prima che Arago desse loro un'identità diversa, nomi umani che non erano riusciti a lasciarsi alle spalle.
    Ryo si domandò cos'altro era loro rimasto della vita di un tempo, e gli dispiacque rispondersi da solo che non gli era rimasto niente di più di quei nomi dal suono antico. Negli occhi ancora corrucciati di Nasti, Ryo lesse il suo stesso pensiero e comprese perché la ragazza avesse deposto così facilmente la sua ira contro Rajura.
    Il bagliore dello Shakujo che rifletteva la luce del sole lo fece voltare di nuovo verso Kayura. La giovane gli sorrise, ma lui faticò a ricambiarla poiché sapeva che era giunto il momento dell'addio.
    «Non essere triste, Sanada Ryo. Ci rivedremo e allora avrai tutte le risposte alle tue domande» disse Kayura, come gli avesse letto nella mente.
    Il Samurai del Fuoco le rivolse un inchino, poi si allontanò, andando a raggiungere i suoi compagni assieme a Bayuken. Nessuno di loro sembrava avere parole da scambiare un'ultima volta, o forse c'era ancora troppo che avrebbero voluto dire e troppo poco tempo per farlo.
    «Grazie» disse d'un tratto Nasti. «Grazie, a tutti voi.»
    «Sì, ecco» fece Shû schiarendo la voce. «Vi ringrazio per avermi aiutato all'inizio di questa brutta storia. E se vi serve una mano contro quegli affari... cosi... insomma quella specie di esercito di nemici nello Yoja-kai, fatemelo sapere.»
    «Quelli cui ti riferisci Shû sono coloro che ambiscono a dominare lo Yoja-kai al posto di Arago, o che rivorrebbero l'Imperatore o solo non accettano noi e il mondo che abbiamo creato» rispose Kayura. «Sono però i nostri demoni, voi, qui sulla Terra, ne avete altri da combattere.»
    Sollevò lo Shakujo e sorrise a Jun che mosse un passo avanti, come a voler trattenere lei e i demoni ancora un istante, ma a fermarla fu Yatate che superò di corsa Nasti e i samurai per andarsi a inchinare davanti a lei.
    «Portatemi con voi» implorò il medico. Rialzò il capo e guardò Kayura negli occhi. «Il mio posto non è più qui, non lo è più da tanto tempo. Io... io so che devo restare con voi, l'ho sempre saputo fin dal giorno in cui sono stato liberato dalla prigione di Arago. C'era una voce, una voce di donna, che mi diceva dovevo stare con voi, Kayura-sama. La stessa voce che mi ha portato in quel bar dove vi ho trovata, ma che sapevo non esisteva. Quella donna, Kayura-sama, io non so chi sia, ma mi ha ordinato di non lasciarvi.»
    Kayura s'irrigidì e mosse una mano, come per portarla stupita alla bocca. Fermò il gesto a metà, mentre i demoni guardavano perplessi il piccolo medico ancora piegato in un inchino implorante davanti a loro. Perplessi quanto lo fu Ryo quando vide Kayura tendere infine la mano al dottore e sorridergli con le lacrime agli occhi.
    «Siete sempre stato il nostro angelo, Yatate-san» disse Kayura e, nel momento in cui il medico toccò le sue dita, lei i demoni e il piccolo dottore svanirono tutti, nel bagliore accecante irradiato dal bastone magico di Kaosu, come non fossero mai esistiti.


    EPILOGO
    Epilogo

    Quando Ryo riuscì a vedere di nuovo, sul loggiato erano ormai solo lui, i suoi amici e Nasti. Sentì Jun che tirava su col naso e Bayuken mugolare piano. Per un momento provò uno strano senso di vuoto nel cuore, come se avesse perduto qualcosa di appena ritrovato, ma la sensazione svanì presto poiché lui sapeva che quello con Kayura e i demoni non era un addio, ma solo un arrivederci.
    Un giorno, si disse, ci ritroveremo e quel giorno non ci saranno più ombre nel nostro animo.
    Levò gli occhi e sorrise al cielo limpido, poi guardò i suoi amici e fu felice, perché erano tutti lì, attorno a lui. Liberi da vecchi rancori che non avevano mai avuto ragione di esistere.
    «Prima o poi andrò a riprendere la mia camicia» bofonchiò Shû, infilando le mani nelle tasche.
    «La maglia che aveva Rajura non era quella firmata da uno stilista italiano e che pagasti un occhio della testa, Seiji?» domandò Shin, come avesse ritrovato la voce solo allora.
    Il Samurai della Luce rimase impassibile, ma un muscolo guizzò sulla sua mascella mentre lanciava uno sguardo traverso a Nasti.
    «Se ci tenevi tanto, dovevi portarla a casa tua invece di lasciarla qui» rispose la ragazza al rimprovero muto del samurai. Girò i tacchi e tornò in casa.
    Tôma la seguì per primo, zoppicando pensieroso sul bastone da passeggio che era stato del nonno di Nasti.
    Rientrato nel cottage, Ryo andò a sedersi sulla poltrona. Jun si accoccolò sul bracciolo accanto a lui, quando il Samurai del Cielo accese la televisione e la sintonizzò sul notiziario del mattino, prima di abbandonarsi sul divano strappato.
    Sullo schermo presero a scorrere le immagini di un bosco che il cronista diceva trovarsi distante dalla città. Un bosco devastato per chilometri dalla misteriosa esplosione di un deposito chimico posto nelle vicinanze.
    Shin emise un gemito davanti alle immagini di distruzione, ma Seiji quasi imprecò facendo voltare tutti verso di lui per la sorpresa.
    «Scusate» mormorò il Samurai della Luce, ricomponendosi.
    «Naza ha combinato un vero disastro» disse Shin in tono sgomento.
    «Noi nello Yoja-kai non abbiamo fatto di meglio» rispose Ryo tetro, «per non parlare della vecchia metropolitana» aggiunse vedendo che il servizio ora si spostava in città e mostrava di nuovo la voragine aperta nella periferia di Tokyo.
    Tôma sussultò quando sullo schermo apparve la foto della donna dal viso da luna piena che era stata la sua infermiera. Uno dei dispersi, annunciò il cronista: l'infermiera Aino Minako, di cui nessuno aveva più notizie dall'inizio del black-out.
    «Dunque era questo il suo nome» mormorò Ryo, mentre la visione del corpo della donna mortalmente schiacciato sotto la trave spezzata del Palazzo di Arago gli affiorava alla memoria, come fosse un incubo vissuto da qualcun altro.
    La foto di Yatate seguì quella di altri dispersi.
    «Credevo fosse innamorato cotto di Kayura» disse Shû, «invece si crede solo il suo angelo custode.»
    «Forse Yatate è davvero un angelo. Non mi meraviglierei, dopo tutto quello che gli ho visto fare per Kayura e gli altri» rispose Nasti «Di certo lo è più di quanto possiamo esserlo noi» affermò Tôma cupo.
    Ryo fece per rispondere, ma in quel momento una voce isterica proruppe dagli altoparlanti della televisione e tutti tornarono a voltarsi verso di essa.
    «Hoshino!» esclamò Nasti e si protese quasi a voler afferrare dal teleschermo l'uomo dall'aspetto folle, che parlava come un ossesso di una battaglia tra gli angeli di un non meglio definito Maestro e i demoni di una qualche strega. Battaglia che avrebbe causato la distruzione di quel tratto di metro abbandonato inquadrato ora dalla telecamera.
    Un superstite che aveva perduto il senno nella tragedia di cui era stato vittima, lo definì un cronista, mentre ancora Hoshino farneticava tra due infermieri intervenuti a portarlo via.
    «Quello è l'uomo a cui Kayura ha preso il Gioiello della Vita, mi chiedevo chi fosse» disse Tôma.
    «Si chiama Hoshino ed è lui che insieme a una torma di adepti di Uwan ha devastato casa mia. Rajura e io lo abbiamo catturato qui, era rimasto per uccidermi» spiegò Nasti. «Non è stato difficile convincerlo a dirci tutto quello che sapeva e riuscire così a ritrovarvi tutti.»
    «Hai di nuovo rischiato molto per causa nostra, Nasti» disse Ryo, guardando la giovane.
    Lei gli sorrise. «Non siete voi la causa del Male, Ryo. Voi siete coloro che lo combattono, e siete miei amici. Vi aiuterò sempre, non m'importa di quali pericoli dovrò affrontare.»
    «Lo stesso vale per me» si unì Jun.
    «Davvero non siete delusi?» domandò Seiji e la sua voce vibrò di una strana tensione.
    Ryo si alzò e spense la televisione. La domanda di Seiji era troppo seria per non meritare la completa attenzione di tutti.
    «Delusi? Perché?» domandò Jun giratosi verso il Samurai della Luce.
    «Perché questa volta i demoni eravamo noi» rispose Shin al posto dell'amico.
    Nasti scosse la testa con decisione. «Voi non avete alcuna responsabilità in quanto accaduto.»
    Un silenzio teso calò nella stanza. Per alcuni minuti gli unici suoni furono il frusciare del bosco e il canto degli uccelli che intrecciavano i loro voli nel cielo.
    «Siamo solo esseri umani, con la nostra luce e la nostra ombra» disse infine Tôma. «Abbiamo ricevuto una lezione, amici miei. Una lezione che dovremo tenere bene a mente quando ci troveremo davanti un nuovo nemico. Dovremo ricordarci di ciò che è accaduto e del perché, affinché non siamo troppo rapidi a formula giudizi, come lo siamo stati in passato.»
    Ryo annuì piano, lasciando che le parole dell'amico attraversassero il suo cuore come quelli degli altri.
    «Non ci rimane che far pace con noi stessi» disse dopo alcuni momenti, «e accettare le nostre debolezze.»
    «I nostri errori» aggiunse Shin.
    «La nostra umanità» sottolineò Seiji.
    «Io ho fame» se ne uscì Shû e non fece una piega quando tutti si girano verso di lui. «Beh, che c'è? Non stiamo qui a ribadire i nostri difetti e il fatto che siamo esseri umani? Ebbene, la mia umanità reclama la colazione. C'è rimasto qualcosa dell'intruglio di Naza?»
    Senza attendere risposta infilò dietro il banco da lavoro della cucina e aprì il frigorifero.
    «Shû, alle volte sei imbarazzante» disse Seiji, con la solita severità.
    «Non più di quanto lo sia stato tu sotto il controllo di Uwan» replicò Shû. Si voltò e aveva tra i denti una fetta del dolce preparato dal Demone del Veleno la sera prima. «A proposito, hai informato Tôma che tu e Anubisu gli avete distrutto la casa?» biascicò con la bocca piena.
    Il volto di Seiji avvampò, mentre quello di Tôma si faceva bianco come un lenzuolo lavato.
    «State scherzando» mormorò il Samurai del Cielo con un filo di voce. Al silenzio colpevole di Seiji rovesciò la testa all'indietro e nascose il volto tra le mani. «Prima l'aereo, ora pure la casa!»
    Shin si guardò le unghie della mano. Ryo attorcigliò tra le dita un ciuffo del pelo di Bayuken, non sapendo cosa dire per consolare l'amico. Nasti colpì Shû dietro la nuca con un ceffone, facendogli quasi sputare la torta, mentre Seiji sembrava voler sprofondare sotto al pavimento.
    «Scusa, Tôma» disse timidamente Jun, «ma poi hai capito come è successo il tuo incidente con l'aereo?»
    Il samurai tolse le mani dalla faccia e guardò sconsolato il giovane amico. «Sì, ho sbagliato io. Ho frenato troppo presto e sono uscito di pista.»
    Tutti lo fissarono come avesse appena detto qualcosa di assurdo. Nessuno a quanto pareva dubitava che l'incidente fosse stato dovuto a Uwan.
    «Hai sbagliato tu?!» esclamò Jun incredulo.
    Tôma si strinse nelle spalle mentre rispondeva. «Sono solo un essere umano.»


    Edited by Farangis - 14/5/2018, 21:50
     
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    E certo,devi proseguire :lol:
    Ho letto anche la terza parte,sempre interessante,mi piace come ti soffermi sui dettagli :) :)
    Sul più bello è finito XD,ma è giusto lasciare suspance per l'episodio successivo ;)
    Azzardo ad ipotizzare chi sia la figura che vede Ryo,
    Essendo un proseguo dopo la vittoria su Arago è improbabile che lo sia ma dico Shuten!!!
     
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  9. Farangis
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    Vediamo se hai indovinato 😋
     
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    Bellissima storia,mi stai facendo immaginare un seguito dopo le due serie tv! Prosegui ti prego :lol:
     
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  11. Farangis
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    Mi fa piacere che la mia FF ti piaccia, spero non ti deluderà in futuro. Se preferisci leggerla per intero, ho quasi finito di pubblicarla su EFP.
     
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    A me va bene capitolo per capitolo,ma come preferisci ;)

    Ho letto anche il quinto capitolo,
    Ormai gli ex demoni del male si sono integrati tra gli umani, da vedere anche Naaza che fa buonissimi pasticcini ahah :lol:,probabilmente avrei preferito Rajura in queste vesti dato che era stato il principale nemico di Shu(così come Seiji si è ritrovato Anubis alla guida del taxi :lol:),e mi sono immaginato Shin che andava a scuola di nuoto e si ritrovava Naaza come istruttore di nuoto :asd:. Ma sicuramente per Rajura è previsto qualcos'altro :).
    Interessante anche questo quinto capitolo, mi è piaciuta soprattutto la parte dove Shuten entra nel locale sanguinante,con la spada di Ryo in mano e Shu nel pensiero mette in dubbio il convertimento dell'ex Demone Supremo :D,divertente la parte dove Shu chiede informazioni a Naaza sui pasticcini e il Demone del Veleno gli dice che ha provato certi ingredienti prima di ottenere quel risultato,chissà quali :lol:
    Non ho capito alla fine se la bolla di energia che ha portato via Anubis,Nasty e Jun fosse causata dall'Entità sconosciuta.
     
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  13. Farangis
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    Come preferisci tu, RyoSanada 😊

    Attento, non tutto è come appare e Rajura lo sa bene 😉
    Shu poverino si è ritrovato preso per il collo (in senso letterale) dall'ex Demone Supremo,cosa doveva pensare? 😂
    Naza istruttore di nuoto non lo avevo pensato,ma mi hai dato un'idea,se mai dovessi scrivere una nuova FF sui samurai 😅
    Chissà cosa ha intrugliato Naza con quelle paste, io non le mangerei 😂
    Sul finale sono stata poco chiara, grazie per avermelo fatto notare. Mi riferivo alla bolla di energia di Anubis, è lui che porta via Nasti e Jun.
     
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    Ho letto anche il sesto capitolo.
    Non mi è stato molto chiaro come Shu,Kayura e Shuten siano arrivati nello stesso posto dove Anubis aveva teletrasportato Nasty e Jun? E anche il medico,sembravano già tutti nella stessa area...
    Poi penso sia un'errore e te lo faccio presente,quando il medico chiede a Shu quanto pesa dice una settantina e il medico lo risponde che ne pesava 80,quindi Shu è dimagrito e non ingrassato come hai scritto ;).
    Ha spunti interessanti anche questa parte,i Demoni sembrano sapere qualcosa riguardo l'Entità! Seiji vs Shu è uno scontro che vorrei vedere ahah :lol:
     
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  15. Farangis
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    Grazie per le segnalazioni,mi rendo conto che un passaggio rimane poco chiaro, lo devo correggere.

    L'ambiente in cui vengono a trovarsi tutti è l'appartamento sopra il locale dove Shu ha trovato Kayura e Naza, e dove arriva Shuten con Bayuken. Il medico era già lì. Questo posto è il loro "quartier generale", è Anubis che li raggiunge con Nasti e Jun.
    Nella vecchia versione era specificato, ma qui mi accorgo ora che non l'ho detto e così creo confusione. Da correggere 😀

    In merito al peso di Shu, è lui che si sbaglia nel dire che pesa 70 chili (o mente di proposito), ne pesa 80, come dice il medico,ma a Shu scoccia ammettere di essere ingrassato 😉
     
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100 replies since 24/3/2018, 13:47   2061 views
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